Trevi – festa del patrono S. Emiliano. L’Arcivescovo Boccardo: «Il martire ci ricorda che l’amore non si vende, si dona; la fedeltà non si compra, si vive»

«Emiliano non ha temuto di andare incontro al carnefice, ben sapendo che suprema disgrazia non è perdere la vita ma, per amore della vita fisica, perdere le ragioni del vivere». È uno dei passaggi dell’omelia che l’Arcivescovo ha tenuto domenica 28 gennaio 2024 nel Duomo di Trevi per la festa del martire Emiliano, patrono del secondo Comune più popoloso dell’Archidiocesi dopo Spoleto. Tanti i trevani che hanno reso omaggio al Santo: nel triduo in preparazione alla festa, nella storica processione dell’Illuminata con la statua del Santo portata nelle vie del centro storico il pomeriggio del 27 gennaio e nel solenne pontificale dell’Arcivescovo.
Ricordiamo che Emiliano – ma sarebbe più corretto chiamarlo Miliano, come viene citato nei più antichi documenti e come viene ancora chiamato correntemente in Trevi – venne a Spoleto dall’Armenia alla fine del III sec. Consacrato vescovo da papa Marcellino, fu inviato a Trevi dove già esisteva una comunità cristiana evangelizzata, ormai da un secolo, da Feliciano vescovo di Foligno. Fu messo a morte sotto l’imperatore Diocleziano il 28 di gennaio del 304, insieme a tre suoi compagni, dopo innumerevoli supplizi invano inflittigli per indurlo ad abiurare. Fu decapitato a tre chilometri da Trevi, in località Bovara, zona sacra per i pagani, legato ad una pianta di olivo (albero monumentale ancora esistente).

Con mons. Boccardo hanno concelebrato: il pievano della Pievania del beato Pietro Bonilli don Jozef Gerčák, don Luca Gentili cancelliere arcivescovile e don Fabrizio Maniezzo. Diaconi: Paolo Eleuteri e Claudio Vandini. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi diocesani e dai ministranti. La liturgia è stata animata dalla corale della Pievania diretta da Mauro Presazzi. Per l’occasione è giunta a Trevi la presidente della Giunta regionale dell’Umbria Donatella Tesei. C’era naturalmente il sindaco della Città Ferdinando Gemma, che ha donato l’olio per alimentare la lampada votiva alla statua di S. Emiliano. Presenti anche le autorità militari, tra cui il comandante della Compagnia Carabinieri di Foligno, il maggiore Giuseppe Agresti.

L’omelia dell’Arcivescovo. «Emiliano – ha detto mons. Boccardo – non esitò a dare la vita per Cristo. Per lui scelse la morte, preferì la via stretta e solitaria della tribolazione e del sacrificio anziché quella luccicante e affollata del successo terreno. Perché l’amore non si vende, si dona; la fedeltà non si compra, si vive. E la Chiesa che propone la figura di S. Emiliano alla venerazione dei fedeli dichiara vero il suo modo di giudicare: “riconoscere Cristo davanti agli uomini” significa prendere pubblicamente posizione a suo favore, implica il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle circostanze più gravi. Forse – ha proseguito il Presule – non saremo chiamati ad imitare S. Emiliano nel martirio cruento. Tutti però siamo chiamati al martirio incruento della professione quotidiana della fede, senza fratture tra il credere e l’operare». L’Arcivescovo, poi, ha delineato alcune caratteristiche del martire: «Non muore per un’idea, se pur elevata; egli muore per Cristo, che è morto e resuscitato per lui. I martiri – ha chiarito il Presule – non sono eroi, ma gente abitata da una sola forza: quella umile della fede e dell’amore. Essi non rubano la vita, ma la donano. E allora il ricordo del nostro patrono di Trevi ci offre l’occasione per interrogarci sulla qualità della nostra fede. Perché se il seme della fede ricevuto nel battesimo non cresce e matura, diventa sterile e resta chiuso in sé. La vita cristiana – ha sottolineato mons. Boccardo – non può ridursi ad un’abitudine (frequentare la chiesa per la Messa domenicale, celebrare battesimi, matrimoni e funerali, recitare preghiere) che non cura la crescita della fede, che non osserva i comandamenti, che non si impegna a capire cosa si deve fare e cosa no. La fede professata con le labbra deve esprimersi nella visione e comprensione del mondo e nel modo concreto di pensare e di agire. Perché sono le opere che attestano e certificano il valore della testimonianza: se visibilità ci deve essere, ha da essere visibilità di persone più che di sigle, di azioni più che di parole, di comportamenti più che di proclami».