Perugia: solenne concelebrazione in cattedrale in onore di San Costanzo patrono della città. Il cardinale Gualtiero Bassetti: «Accettare la fede povera e umile dei piccoli è la grande e stupenda buona novella che la Chiesa ancora oggi ha il coraggio di annunciare al mondo»

Con la solenne concelebrazione eucaristica del pomeriggio del 29 gennaio, nella cattedrale di Perugia, presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti insieme ai vescovi dell’Umbria e alla presenza dei rappresentanti delle massime Istituzioni civili e del mondo della cultura del capoluogo regionale, si sono conclusi i festeggiamenti in onore del santo patrono Costanzo, vescovo e martire, «padre della fede perugina», così definito dallo stesso cardinale durante i Primi Vespri della vigilia, celebrati il 28 gennaio nella basilica intitolata al santo, al termine della processione della “luminaria” che ha visto una numerosa partecipazione di fedeli. Partecipazione che ha rinsaldato il legame tra la città civile e quella religiosa, come ha evidenziato, all’inizio dell’omelia in cattedrale, il cardinale Bassetti.

«Sono lieto di celebrare con le rappresentanze religiose e civile di tutta l’Arcidiocesi la festa di San Costanzo, padre e fondatore di questa santa Chiesa perusino-pievese – ha esordito il presule –. Ieri sera si è svolta, in modo gioioso e solenne, una molto partecipata “luminaria” dal Palazzo comunale dei Priori alla chiesa dedicata al Santo. Sono contento che, da alcuni anni, siano state ripristinate tradizioni antiche che possono rinsaldare stretti legami tra la Perugia civile e quella religiosa, uniti nella ricerca del bene comune per l’intera cittadinanza. Oggi vogliamo porci in devoto ascolto del Santo Patrono. Il messaggio del martire San Costanzo è ancora oggi una buona notizia per la nostra chiesa e la nostra città, con i loro problemi, le loro ferite e soprattutto le loro speranze».

«Costanzo ci addita Cristo e ci dice: guardate a Lui: Lui solo ci comprende fino in fondo perché è passato attraverso tutte le nostre prove. Egli ci ripete con Papa Francesco: “la fede non è una luce, che dissipa tutte le nostre tenebre, ma una lampada che guida, nella notte, i nostri passi e questo basta per il cammino”. San Giovanni Paolo II ha usato una espressione molto forte: “una fede che non diventa cultura, è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta”. Soprattutto oggi custodire la fede significa comunicare il Vangelo in un mondo in continua trasformazione. Comunicare il Vangelo con una particolare attenzione alle nuove generazioni di adolescenti, per trasmettere ad essi l’unico mistero della croce di Cristo che può illuminare le loro inquietudini».

«Carissimi fratelli e sorelle – ha proseguito il cardinale –, il primo pensiero che la parola di Dio ci suggerisce è la parola di Isaia sul Messia. Il Messia inaugura un tempo nuovo che rovescia la logica umana. Egli verrà nel mondo a considerare e ad innalzare gli ultimi. Il suo annuncio sarà ai poveri. La sua opera sarà sui cuori spezzati, la sua testimonianza e il suo dono per gli schiavi e i prigionieri. Come a significare che l’intervento di Dio sul mondo parte da coloro che non hanno potenza, né orgoglio, né primato, né autonomia, in una parola da coloro che sono poveri. La ragione per cui Gesù morirà sarà anche per aver ripetuto nella sinagoga di Nazaret questa profezia di Isaia applicandola a se stesso: la profezia cioè del Messia che è povero, che è senza decoro, né aspetto, e muore inerme, come “gli ultimi” per la giustizia, la santità e la pace fra gli uomini. Tutto ciò è talmente vero che Gesù nel XXV capitolo di Matteo, identifica se stesso con coloro che non hanno parola, potere, autosufficienza e sono gli ultimi della vita».

«A questo proposito, la testimonianza di San Costanzo che sarebbe stato martirizzato attorno all’anno 170, è davvero eloquente – ha commentato Bassetti –. Come quello di Gesù, il suo martirio fu denso di torture. Il Preside Carisio lo fece gettare nelle terme aumentandone sette volte il calore. E quel calore sprigionò una luce così intensa che abbagliò tutti: era la luce della sua santità e della sua testimonianza. Fratelli carissimi, stasera siamo chiamati a purificarci e a testimoniare il Vangelo, perché mai nelle nostra vita i doni di Dio siano senza frutto».

«San Costanzo, padre di questa nostra Chiesa e in parte di alcune Chiese dell’Umbria, fu artefice di vera pace e volontario dell’amore, perché egli per primo visse il messianismo cristiano della “pietra scartata” e si fece ultimo donando la sua vita. Anche a noi è chiesto di essere operatori di pace e servi dei fratelli, servi per amore, come ci ha detto l’evangelista Giovanni. E questo è dovere di tutti nella Chiesa perché, pur essendo noi “un corpo solo”, “a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo”. Per questo ciascuno di noi, nella fondamentale vocazione cristiana, ha nella chiesa “un ministero” e un compito insostituibile. Il Santo Padre nella sua esortazione apostolica “Evangeli Gaudium”, afferma spesso che siamo una “chiesa di delega”, di sostituzione, nella quale si aspetta che uno passi al posto dell’altro, e alcuni compiano quello che tutti debbono compiere».

San Costanzo ci esorta ad essere operatori di pace e servi dei fratelli – ha evidenziato il cardinale avviandosi alla conclusione –, dopo essersi lui stesso identificato con l’amore povero e umile di Dio e aver scelto, come Gesù, di donare la propria vita. Solo il Vangelo ci espropria dai nostri egoismi, dai nostri orgogli, dai nostri idoli e ci pone nella condizione di accettare la fede povera e umile dei piccoli. È questa la grande e stupenda buona novella che la chiesa ancora oggi ha il coraggio di annunciare al mondo, che cammina su ben altre strade. Essa aspetta da ciascuno di noi la sua attuazione, non solo nel segreto della nostra anima, ma nella testimonianza forte e decisa della nostra vocazione».