Perugia – l’intervento conclusivo del cardinale Gualtiero Bassetti al convegno “Giorgio La Pira: un ponte di speranza” promosso da Archidiocesi, Università degli Studi e Università per Stranieri

Una gremita e attenta Sala dei Notari del Palazzo comunale dei Priori di Perugia ha seguito, nel pomeriggio del 19 maggio, l’interessante convegno di rilevanza internazionale dal titolo “Giorgio La Pira: un ponte di speranza”, promosso in collaborazione dall’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, dall’Università degli Studi di Perugia e dall’Università per Stranieri del capoluogo umbro, che ha visto la partecipazione di noti studiosi del pensiero del sindaco “santo” di Firenze.
Il convegno, come ha evidenziato nella sua lectio magistralis Andrea Riccardi, «suggella l’accoglienza di Giorgio La Pira nella Chiesa italiana», rendendo merito al cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, perché «ha reintrodotto la figura di La Pira nel cattolicesimo italiano senza forzature, ma con tenacia».

Di seguito si riporta il testo integrale dell’intervento del cardinale Bassetti con cui ha concluso il convegno.

Cari amici e cari amiche,
questa mia riflessione conclusiva avrà soprattutto una dimensione personale. Come sapete, infatti, Giorgio La Pira rappresenta una figura di grande importanza nella mia vicenda biografica. Mi ha sempre accompagnato nello svolgimento del mio ministero episcopale e l’ho sentito spiritualmente vicino in questi cinque anni da Presidente della CEI. Ma non solo. Giorgio La Pira è stato decisivo anche nella mia crescita come uomo, come credente e come sacerdote. Il “sindaco santo” ha segnato infatti la formazione dei fiorentini della mia generazione. Noi tutti lo chiamavamo “il professore”.
Era infatti impossibile non confrontarsi con le sue prese di posizioni, le sue iniziative internazionali e le sue azioni politiche. Egli è stato un punto di riferimento audace per tutti coloro – ed eravamo tanti negli anni che precedettero il Concilio – che sentivano che la fede ricevuta richiedeva una testimonianza nuova di impegno a favore degli ultimi e di liberazione da tante incrostazioni che rischiavano di offuscare – invece che rivelare – il Volto di Dio[1].
Cosa rimane oggi di La Pira? Io penso che rimanga moltissimo, che la sua eredità, non solo sia estremamente attuale, ma sia ancora tutta da sviluppare e comprendere nei suoi risvolti più profondi. Quindi, ben vengano anche in futuro iniziative di riflessione e di studio come questa.
La Pira, per me, è stato indubbiamente un mistico prestato alla politica. Un cristiano autentico che non ha mai trasformato la sua fede in una ideologia politica. Oggi questo è il rischio più grande per le società contemporanee: finite le grandi ideologie del XX secolo rimane l’uso politico della fede, ovvero la manipolazione e la parcellizzazione del messaggio evangelico per scopi mondani.
In La Pira tutto ciò non è mai stato presente. Egli è stati un uomo dotato di grandi visioni che ha saputo leggere il movimento delle correnti più profonde e ha indicato una destinazione. Ha visto prima e, meglio degli altri, quello che si stava agitando nelle viscere del mondo e, con grande anticipo, ha agito di conseguenza. Permettetemi una sintesi estrema: se De Gasperi è stato lo Statista italiano, La Pira è stato il profeta. Un profeta dei tempi odierni, una «sentinella per la casa d’Israele» che ha espresso con passione e generosità, fino a sembrare stolto e ingenuo, questa sua missione.
Voglio chiudere questa mia breve riflessione citando un discorso che fece La Pira ai giovani de “La Vela” a Castiglion della Pescaia, nell’estate del 1975. Egli disse che il “primo problema” della società odierna è la bomba atomica. “Essa è veramente il problema della vita e della morte del genere umano e dello spazio. Tutti i problemi politici, culturali, spirituali sono legati a questa frontiera dell’apocalisse. O finisce tutto, o comincia tutto”.
Dunque, con il pericolo di una guerra nucleare “o finisce tutto, o comincia tutto”. Queste parole sono oggi straordinariamente attuali ed hanno un significato duplice. Innanzitutto, la drammatica carneficina in Ucraina ha riportato alla luce quello che avevamo dimenticato: la guerra in Europa e il rischio, finora solo paventato, di un conflitto nucleare.
Le parole di La Pira, “o finisce tutto, o comincia tutto”, hanno però anche un significato esistenziale più profondo che investe la vita di ognuno di noi e su cui vorrei richiamare la vostra attenzione. La nostra esistenza ha un termine, al di là di qualunque prova a cui siamo sottoposti. E anche i nostri compiti, le nostre missioni e le nostre attività hanno una fine. Tutto finisce, ma in un certo senso, tutto inizia nuovamente. Fa parte della vita e dobbiamo accettarlo con serenità e gioia, con fede retta e speranza certa, come diceva San Francesco.
La Pira, nell’agosto del 1977, ormai sofferente, scrisse un’ultima lettera all’amico Paolo VI in cui diceva:
Beatissimo Padre, le scrivo all’estremo di forze in cui mi trovo. (…) Resta il fatto di una vita votata agliideali che ogni giorno mi avevano guidato in questa situazione.
Queste parole ci restituiscono la cifra morale e spirituale della sua personalità. All’indomani della morte, Aldo Moro ne tracciò un ricordo affettuoso su «Il Giorno».
Quel che più colpiva erano il candore e il calore della sua speranza, quell’ottimismo assolutamente privo di faciloneria e di cinismo, che derivava dalla sua straordinaria capacità di andare al di là della superficie delle cose, fino alle ragioni ed ai dati di fondo e dalla sua intatta fede nella dignità dell’uomo e nella grandezza del suo destino. Sono certo che non si tratti di una persona come le altre, di un’esperienza come le altre.
Faccio mie le parole di Aldo Moro. Giorgio La Pira non è stata “una persona come le altre”. Possa aiutare tutti noi ad uscire da questa drammatica guerra in Europa e a guidarci lungo le nuove strade che la vita ci riserverà in futuro.

Gualtiero card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve
Presidente della Cei