La prima relazione dell’Assemblea ecclesiale delle Chiese umbre (Foligno, 18-19 ottobre 2019) è stata quella del prof. Luca Diotallevi, ordinario di sociologia all’Università di “Roma Tre”. Poi, c’è stata quella di mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e Vice presidente della Conferenza episcopale italiana. Gli interventi sono stati pensati e costruiti sulla base del materiale giunto dalle varie Diocesi: i delegati oggi presenti all’Assemblea, nell’ultimo anno, si sono incontrati più volte per riflettere e fotografare la situazione attuale delle Diocesi umbre. Materiale poi trasmesso ai due relatori.
Diotallevi ha evidenziato le difficoltà pastorali che vivono le Chiese nella terra dei Santi Benedetto e Francesco: il quadro non è roseo, a causa anche di una chiusura mentale e del prevalere della logica dei campanili, ma comunque ci sono prospettive di vitalità. Un primo fattore di crisi è determinato dal calo negli ultimi due decenni dei praticanti, scesi di oltre un quarto, così come sono diminuiti i preti diocesani in servizio (sempre più anziani) e i matrimoni con rito religioso, mentre crescono separazioni e divorzi. “La Chiesa umbra – ha detto Diotallevi – inoltre risente della mancanza di laici formati, specie giovani, e della grande frammentazione del tessuto ecclesiale che minano la comunione”. Il sociologo poi ha indicato tre punti sui quali lavorare in maniera sinodale tra le Chiese. Il primo è quello che Diotallevi definisce “lo sguardo troppo corto, inteso come l’incapacità di avere una visione che vada oltre il presente e le limitazioni territoriali e organizzative”. Poi, c’è quello chiamato “lo sguardo troppo stretto, inteso come concentrarsi su porzioni di realtà relative ai riti e alla sfera individuale, mentre il resto della vita sociale e della fede resta marginale”. Infine, c’è “lo sguardo che non scava abbastanza, inteso come il rimanere nella superficialità delle vicende sociali e culturali, ma soprattutto intesa come mancanza di vivere pienamente la vita di fede e la gioia del Vangelo nella quotidianità”. “In sintesi, dai lavori preparatori – ha sottolineato Diotallevi – sono emerse comunità che riconoscono questi limiti e che possono da qui ripartire per produrre, specialmente i laici, una spinta di gran lunga maggiore nel vivere ogni scelta secondo la fede ed una consapevole capacità di discernimento”.
Mons. Brambilla, nel suo intervento dal tema “Chiesa di pietre vive”, ha fornito alcune istanze ai delegati dell’Assemblea ecclesiale regionale dell’Umbria per immaginare la Chiesa di domani. Il Presule, basando la sua relazione sulla prima lettera di S. Pietro (2, 1-3) ha descritto cinque atteggiamenti che minano la vita di comunità anche buone: la cattiveria, ossia il gusto di voler gratuitamente il male dell’altro; la frode, mostrare agli altri ciò che non si è o non si ha; l’ipocrisia, fingere di avere un’immagine che non si ha; le gelosie, quando si sente l’altro trattato meglio di noi; la maldicenza, dire male degli altri insinuando denigrazioni. “E’ urgente – ha detto – che nelle nostre comunità deve emergere prima o poi, meglio se presto, che la ragione della nostra speranza è il Signore. Vi sono, invece, persone – vescovi, preti e laici – che sembrano dire con i loro giudizi, i loro gesti, i loro mezzi che il centro è il proprio io, la realizzazione di sé, un attivismo sfrenato, che trasforma la comunità in una sorta di pro loco e che sequestra le attività come in un piccolo regno in cui primeggiare, lamentandosi poi di essere lasciati soli”. Mons. Brambilla ha insistito molto con i pastori e i fedeli umbri sul fatto che la missione cristiana non può essere fatta in proprio, da soli: “non prevede – ha detto – profeti isolati. Magari ci saranno alcuni pionieri, ma non potranno essere profeti unici. Chi si isola, farà anche del bene, potrà avere tanta gente intorno, ma quando non ci sarà più lui, tutto sarà finito”. Poi, il grande richiamo alla formazione delle comunità cristiane, formazione – ha chiarito Brambilla – “per imparare a leggere i bisogni della vita della gente, per scegliere e puntare su due o tre momenti della vita delle parrocchie che valorizzino l’aspetto formativo della coscienza cristiana”.
Il card. Gualtiero Bassetti arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale italiana prima dell’avvio dell’Assemblea ha incontrato la stampa e alla domanda se siano maturi i tempo per un Sinodo della Chiesa Italiana ha detto: “Non sono un profeta o figlio di profeta – ha – penso che per l’Italia bisogna realizzare tanti progetti, magari sul modello dell’assemblea della Chiesa umbra, che possano creare un clima di sinodalità. Allora potrebbe essere maturo anche il tempo di un Sinodo. Ma il cammino giusto è questo, a livello diocesano e regionale. Se si comincia a camminare insieme ad affrontare insieme i problemi è chiaro che poi tutto è possibile”.