La Chiesa di Foligno celebra oggi l’evangelizzatore che ha annunciato nelle nostre terre la fede in Gesù, il testimone di Cristo a lui fedele fino all’effusione del sangue.
Le letture bibliche che abbiamo ascoltato illuminano questa identità. San Feliciano è «messaggero che annuncia la pace… messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Is 52,7). Nella sua parola e nel suo agire ha mostrato ai nostri padri che «Dio è per noi» (Rm 8,31b), e così ci ha introdotti nell’esperienza dell’«amore di Dio, che è in Cristo Gesù» (Rm 8,39. Nella certezza che nessuno «ci separerà dall’amore di Cristo» (Rm 8,35), il nostro santo non ha avuto «paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28), e ha riconosciuto Gesù «davanti agli uomini», così che ora è da lui glorificato «nei cieli» (Mt 10,32), “gemma dei martiri”.
Le parole del libro di Isaia descrivono la missione di un evangelizzatore. Per gli Ebrei esuli in Babilonia si annuncia un rivolgimento del mondo: Ciro, il re persiano, sta per abbattere l’impero babilonese. Il profeta legge la storia e vi scorge le ragioni di una speranza nuova. Dio stesso è all’opera nelle vicende degli uomini, così che «il ritorno» del popolo di Dio in patria diventa possibile e Sion, Gerusalemme, la città santa potrà essere riedificata. Dio «regna»: è lui il Re, «il Signore» della storia.
Anche il tempo di san Feliciano registra i segni di un cambiamento epocale. Per l’Impero romano, alla metà del III secolo d.C., si preannunciano instabilità del potere, crollo delle antiche istituzioni civili, perdita di credibilità del mondo religioso pagano, corruzione crescente, popoli nuovi che irrompono minacciosamente sulla scena del mondo. Continuano le persecuzione dei cristiani, a cui alcuni, come Feliciano, rispondono con fedeltà e perseveranza, mentre altri vengono meno, ma per la Chiesa sta per giungere un’età nuova, non meno problematica: si stanno per aprire spazi di libertà e, con essi, anche le insidie dell’essere coinvolti nell’esercizio del potere.
Il nostro pure è un mondo che cambia. Lo è nei processi sempre più espansivi di globalizzazione economica, in cui i più deboli rischiano di rimanere schiacciati da ingranaggi di produzione e di consumo anonimi, spersonalizzati e spersonalizzanti. Idee, parole e immagini viaggiano e si mescolano velocemente tra noi, e l’impatto fa oscillare tra il conflitto delle civiltà, le chiusure xenofobe e razziste, la confusione delle opinioni, la rinuncia al confronto con la verità. La pace è continuamente minacciata. L’immagine stessa dell’uomo è posta in discussione dall’arroganza di una tecnica che pretende di essere misura a se stessa.
Tutto questo, negli ultimi mesi, è stato ed è attraversato dalla pandemia, che ha messo in luce la precarietà del nostro rapporto con il mondo della natura, la fragilità della condizione umana minacciata dalla morte, l’intreccio delle esistenze dei singoli e dei popoli nel male come nel bene. Gli stessi percorsi di cura non sono esenti da pericoli. Occorre vigilanza per contrastare le derive eugenetiche nascoste nella proposta di una gestione delle risorse che misuri l’intervento sanitario in base all’età e all’avere maggiori probabilità di trarne beneficio. Qualcuno vuole forse convincerci che si debba pensare prima ai più forti e poi, se ce n’è, ai più deboli? E questo a riguardo di popoli, ceti sociali e singole persone?
Qual è il «lieto annuncio» che i cristiani debbono oggi offrire al mondo? Come san Feliciano, dobbiamo proclamare una parola di verità, che possa ridare speranza, perché in grado di sconfiggere le tenebre della ragione lasciata a sé stessa e di abbattere le chiusure dei cuori induriti dai risorgenti egoismi. Dobbiamo tornare a essere evangelizzatori. Dire il Vangelo oggi: questa è la missione che il Signore ci affida. È il Vangelo della dignità della persona umana, della famiglia come luogo dell’amore, dell’ecologia integrale, della fraternità sociale. Sono i grandi temi del magistero di Papa Francesco, che debbono illuminare il nostro pensiero e guidare il nostro agire.
A questo magistero occorre fare riferimento nel delineare il volto delle nostre comunità di fede, superando ogni tentazione di arroccamento in difesa di forme che vanno sbiadendo e accettando di metterci in gioco nel confronto con la storia, come suggerisce la ripetuta esortazione del Papa a essere una “Chiesa in uscita”, con la precisa identità che viene dalla contemplazione del volto di Cristo, come invitò a fare cinque anni fa a Firenze, indicandoci in Gesù i sentimenti dell’umiltà, del disinteresse e della beatitudine.
San Feliciano, il santo martire, ci ricorda che la nostra appartenenza a Cristo non può che essere totale, con la radicalità del testimone pronto a mettere in gioco la vita. E questo perché la totalità del dono, fino all’annientamento di sé, fa parte della logica cristiana, in quanto riflesso dell’immagine di sé che ci ha offerto Gesù.
Questa immagine di Gesù è quella che incontriamo nelle Sacre Scritture. Ricordiamolo oggi, domenica che il Papa ci chiede sia dedicata a rafforzare in noi la coscienza dell’importanza e del valore della Parola di Dio per la vita cristiana. Frequentare con assiduità le pagine della Bibbia è indispensabile per condividere una corretta immagine di Dio e della sua volontà d’amore per l’umanità.
San Paolo, san Feliciano, i cristiani annunciano un Dio che si fa povero per arricchirci, si fa debole per risanarci, si annienta per edificarci. La nostra gloria è infatti la croce e il nostro annuncio è che Dio ci ha tanto amati fino a dare il suo Figlio per noi. Tale è l’amore di Dio per l’uomo, da morire per lui; e tale è l’amore del Padre per il suo Figlio, da vincere la morte e risuscitare lui e tutti noi, suoi fratelli, a vita nuova.
Da questo fatto impensabile che è la risurrezione, realmente accaduto duemila anni fa, scaturisce la possibilità di un mondo nuovo, nel segno della giustizia, della riconciliazione, dell’amore. Per questo fatto incommensurabile san Feliciano ritenne di dover mettere in gioco la propria esistenza. Di questo dobbiamo farci «sentinelle» che «alzano la voce», «esultano», cantano «di gioia» (Is 52,8.9).
Questo è il Vangelo per il quale San Feliciano ha ritenuto di dover vivere e di dover morire. Sia anche la nostra vita.
Giuseppe card. BETORI