Giovedì Santo, 28 marzo, alle 18, la Messa nella Cena del Signore, presieduta dall’Arcivescovo Ivan Maffeis nella Cattedrale di Perugia, con il rito della lavanda dei piedi sarà compiuto ad una rappresentanza di cittadini prevenienti da Paesi dilaniati dalla guerra.
L’OMELIA
Un catino, dell’acqua, un asciugamano. Non ci è difficile rappresentarci la scena della lavanda dei piedi: durante la cena pasquale, Gesù si alza da tavola, depone le vesti, si cinge di un grembiule e si mette a lavare i piedi ai commensali. È semplice, se non fosse che Colui che compie il servizio dello schiavo è “il Maestro e il Signore”. Di qui lo stupore e la confusione che sconvolgono, per cui si può capire la ritrosia e la resistenza di Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”.
Certo che lo comprendiamo Pietro! Come lui, siamo anche noi attenti a non dover niente a nessuno, a non dover dire grazie, a non farci toccare da quello che succede. Perché, lo intuiamo, potrebbe chiamarci in causa, chiederci di dare la nostra risposta. “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Sì, farsi lavare i piedi potrebbe rivelarsi un gesto estremamente rischioso; potrebbe esporci a dover fare altrettanto. Meglio ritrarsi…
Il fatto è che questa possibilità non c’è. È soltanto un’illusione pensare di poter disertare, volgendo altrove lo sguardo: l’unica via per diventare persona è quella di rendersi disponibili, di allacciarsi il grembiule e mettersi a servire. L’esistenza si realizza solo così, altra via non ci è data.
Del resto, ciò che siamo, con buona pace del nostro orgoglio, è frutto di chi ci ha amato, di chi si è chinato su di noi, di chi ci ha donato tempo, energie, vita. A quante persone dobbiamo riconoscenza: genitori, fratelli, amici, educatori…
La stessa lavanda dei piedi, compiuta da Gesù, più che un gesto straordinario è un’istantanea, che fissa quella che in realtà è la cifra di tutta la sua vita, la chiave per entrare nel mistero della sua identità, il filo delle sue giornate. In ogni momento, in ogni incontro, Gesù ci ha manifestato il volto di un Dio che si inginocchia davanti agli uomini, che si lascia mangiare dalla loro fame. Non per nulla resterà fra i suoi fino alla fine del mondo nel Pane spezzato. E chi si nutre alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia – chi si lascia lavare da lui – non può vivere altra logica. Non c’è comunione con il Signore, se questa non porta al servizio dei fratelli. Più ancora: non c’è vita. Perché, quando la trattieni, la vita si accartoccia e si spegne. Noi viviamo nella misura in cui ci doniamo.
Con questi sentimenti, questa sera ci chiniamo sui piedi di fratelli e di sorelle che sono stati costretti a fuggire dal loro Paese: dalla “martoriata Ucraina, sull’orlo di una catastrofe umanitaria di ancora più ampie dimensioni”, da cui provengono Katerina, Myroslava, Anna e Iryna; dal Burkina Faso di Billa e Yoda, Paese insanguinato dalla guerra civile in corso tra il governo e i gruppi di matrice islamica. Questa sera ci chiniamo anche sui piedi di Adriana, Ameen, Rudolph ed Elian, studenti universitari, provenienti da Gerusalemme, dai territori israeliani, da Betlemme e da Nazaret: impossibilitati a far ritorno a casa dalla violenza che ha già causato decine di migliaia di morti innocenti.
Facciamo nostre le parole della Lettera che ieri il Papa ha inviato ai Cattolici di Terra Santa: “In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti”.
Cari fratelli, care sorelle, più che acqua vorremmo versare sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza. Sentiteci vicini con la nostra amicizia e la nostra accoglienza. Come scrive ancora Papa Francesco, “non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa”.
La celebrazione della messa in Coena Domini, del giovedì santo, è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale di Terni, il secondo anno che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere cittadino.
La messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del direttore della Casa Circondariale Luca Sardella, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, dei volontari, formatori e operatori all’interno del carcere.
Nel corso della celebrazione, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a dieci detenuti.
«In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena – ha detto il vescovo ai detenuti –. Ultima ma che è prima, perché è l’inizio di qualcosa che coinvolge tutti e che si ripete sempre: il servizio vicendevole, la donazione della vita gli uni per gli altri. Da questo dono nasce quello che sogniamo sempre: la liberazione e la pace. Nella misura in cui facciamo entrare Gesù nel nostro cuore, la nostra vita si trasforma, rinasce. Chiediamo al Signore la capacità di essere disponibili ad accoglierlo nel nostro cuore e farlo entrare nella nostra esistenza, lui che ha dato la sua vita per noi, perché diventiamo capaci di donarla agli altri.
Il gesto della lavanda dei piedi non è un gesto di cortesia, ma è un gesto profondo di donazione, un gesto di amore. E di gesti amore tutti abbiamo necessità. Se manca l’amore non c’è più niente nella vita, ma solo odio, prevaricazione, conflitto. Seguendo gli insegnamenti del Vangelo apparirà il senso profondo della pace e della riconciliazione di cui tutti abbiamo necessità, abbandonando gli egoismi, l’egocentrismo e ciò che appesantisce la vita, per essere capaci di farsi prossimo con i doni che Gesù ci dà ed aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova».
Al vescovo è stata donata una croce pettorale realizzata dai detenuti di Casal del Marmo e Rebibbia nell’ambito del progetto Croce della Speranza promosso dall’Ispettorato generale dei Cappellani, per tutti i vescovi impegnati nella pastorale carceraria.
Mercoledì 27 marzo 2024 nella Basilica Cattedrale di Spoleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha presieduto la Messa crismale con tutti i sacerdoti della Diocesi. La celebrazione è stata animata dalla corale diocesana diretta da Mauro Presazzi, con all’organo Angelo Silvio Rosati. Diversi anche i fedeli presenti: si è espressa così un’unità di fede e di intenti tra Vescovo, presbiteri e popolo di Dio. Una bella varietà di esperienze che fa emergere la ricchezza della Chiesa: tutte le membra diverse, eppure unite nella fede e nell’amore per Dio. La Messa del Crisma, poi, è caratterizzata anche dalla benedizione degli olii santi: il crisma usato per i battesimi, la cresima e l’ordinazione dei sacerdoti e dei vescovi; l’olio dei catecumeni utilizzato nel battesimo; l’olio per l’unzione degli infermi.
Una Chiesa “in stato di formazione”. «Il cammino intrapreso con le pievanie – ha detto l’Arcivescovo nell’omelia – esige di riservare particolare attenzione alla formazione dei sacerdoti e dei fedeli laici. Si tratta di ridare vigore dell’esistenza cristiana, perché la freschezza del Vangelo incontri la vita degli uomini e accenda la scintilla della vita buona del testimone di Gesù. Non abbiamo bisogno di cristiani “padroni della fede” o “gestori della parrocchia”; abbiamo uno straordinario bisogno di credenti e di preti umili e coraggiosi, tenaci e appassionati, liberi di cuore e testimoni credibili, perché tutti possano incontrare il Signore risorto e vivente. Vediamo questa situazione nel progressivo costituirsi delle nuove parrocchie, i cui membri scoprono e sperimentano la bellezza e la fecondità del pensare insieme, dello stare insieme, del celebrare insieme, facendo della comunità che si aggrega per la celebrazione della liturgia, specialmente la domenica, il segno visibile della presenza sacramentale di Cristo nel mondo. Il convergere delle differenze rivela la bellezza e la ricchezza della nostra Chiesa, aiuta a superare resistenze e campanilismi, alimenta la nostalgia di essere un luogo di fraternità e di comunione dal quale traspaia la gioia del Vangelo accolto, assimilato e vissuto. E si scopre che il condividere quanto si è e ciò che si ha non costituisce un impoverimento ma un arricchimento reciproco; che è meglio fare un po’ meno ma insieme, piuttosto che correre isolati su strade diverse, spesso in modo disordinato».
Il Vescovo ai preti: è necessario aver cura delle relazioni, dei beni, degli affetti, della bocca e del cuore. «Non c’è nessuna cura del popolo di Dio – ha detto l’Arcivescovo rivolto ai “suoi” preti – che non si accompagni alla cura di sé. La cura di sé è lo specchio in cui si riflette la cura che abbiamo per la nostra gente. E la gente ama il suo prete, talvolta anche gli perdona le debolezze, talaltra lo ammira, talaltra ancora lo critica ferocemente, ma è necessario che egli sappia comunque proporsi come umile esempio di testimone da imitare. Non possiamo continuare ad essere preti senza rimanere profondamente uomini e cristiani. Perciò vi dico fraternamente e paternamente: è necessario aver cura delle relazioni, dei beni, degli affetti, della bocca e del cuore. Specialmente, la cura della bocca e del cuore invita a custodire la parola e le intenzioni. Domandiamoci onestamente: se il popolo cristiano ascoltasse i nostri discorsi ne rimarrebbe edificato perché sentirebbe che in essi trapela passione per il Vangelo? Oppure ne resterebbe sorpreso e scandalizzato per l’invidia e la gelosia che talvolta li attraversa, o addirittura per la maldicenza che deforma anche le imprese più belle? Non è forse questa la causa di un ministero deludente e deprimente, che sottrae energia ad un ministero entusiasta e tonico?».
In una gremita cattedrale di Terni è stata celebrata la Messa Crismale del mercoledì santo, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, alla presenza di tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, diaconi, religiose, laici e di 350 ragazzi e ragazze di tutte le parrocchie della diocesi che riceveranno la cresima nei prossimi mesi, insieme ai catechisti e genitori.
Una significativa espressione di unione e comunione di tutti i presbiteri nel ministero del sacerdozio e della missione evangelizzatrice a cui sono stati chiamati, ma anche di unione con l’intera comunità ecclesiale.
Il vescovo ha benedetto gli oli sacri che saranno usati nell’amministrare i sacramenti: l’olio dei catecumeni col quale sono unti coloro che vengono battezzati; del crisma, una mistura di olio e essenze profumate usata nel battesimo, nella cresima, nella ordinazione di sacerdoti e vescovi, nella dedicazione delle chiese; l’olio degli infermi, che viene utilizzato per dare conforto ai malati e per accompagnare all’incontro col Padre, i moribondi. L’olio è stato donato in parte dalla parrocchia di San Lorenzo Martire in Narni nella quale sarà consacrato l’altare il 7 aprile, e parte dalla Polizia di Stato, ricavato dalla molitura delle olive prodotte nel Giardino della Memoria sorto a Capaci, luogo della strage in cui perse la vita il giudice Giovanni Falcone insieme a tutta la sua scorta, mentre l’essenza del bergamotto, con cui vengono profumati gli oli, è stata donata dalla Diocesi di Locri-Gerace in segno di comunione con tutte le Diocesi italiane.
«La bellezza della Messa Crismale ci porta a considerare l’incommensurabile grandezza dell’amore di Dio – ha detto il vescovo – il quale si fa presente nei doni che oggi riceviamo.
Dio, interessandosi della storia, delle vicende delle persone agisce attraverso lo Spirito infondendo, suggerendo e dando il suo pensiero, la forza vivificante del suo alito di vita e la potenza straordinaria del suo amore verso tutti, specialmente i più bisognosi. Presupposto essenziale per ogni nostra azione è la presenza, anzi l’immanenza dello Spirito Santo nella nostra vita. Ogni nostra azione non potrà che essere il riflesso dei doni che lo stesso Spirito effonde su di noi. Lo Spirito guida e spinge la Chiesa, e in essa ciascun cristiano. Spinge ma senza obbligare, senza costringere, al contrario incoraggia con tutti i modi a percorrere le vie del bene, le vie di Dio.».
«Il Signore Gesù entra nella storia, non come una sorta di arbitro che si limita ad osservare il gioco oppure a dirigere ed ammonire. Egli entra nella storia come vero e proprio protagonista, non ha paura di giocarsi il suo essere Dio e uomo; in definitiva non evita di sporcarsi le mani. Egli prende l’unzione dello Spirito e spiega il motivo per cui è unto: è consacrato e quindi inviato. Questo significa che la nostra consacrazione non è alla stregua di un attestato onorifico o di merito. Non siamo costituiti cavalieri della chiesa o commendatori della parrocchia. Molto di più: con il Battesimo, siamo diventati Figli di Dio e come il Figlio siamo consacrati e inviati per un compito, ossia per una missione».
«Nella misura in cui siamo in grado di accogliere l’amore di Cristo – ha poi aggiunto -, nella misura in cui siamo pervasi dalla Carità, saremo anche capaci di camminare e progredire nella via del bene. L’inverso equivale a rimanere fermi, ingessati, cristallizzati, prigionieri del proprio io, in definitiva del peccato e magari della ricerca dell’apprezzamento di tutti e del successo umano». Rivolgendosi ai sacerdoti ha ricordato l’essenzialità di vivere in comunione: «Non ci capiti di opporre resistenza allo Spirito che ci spinge verso l’inestimabile tesoro della comunione e non della ricerca di interessi personali o di parte. Curiamo perciò la comunione tra noi, a tutti i costi, ben sapendo che il contrario significa dare spazio al maligno. Lo Spirito ci guida e sorregge lungo i sentieri – certamente intricati e faticosi – della tessitura di legami di fraternità ed accoglienza di tutti coloro – nessuno escluso – che ci sono stati affidati, attraverso la costruzione di tasselli di misericordia e non di scarto o di giudizio».
In conclusione il riferimento a quanto anche oggi sia necessario essere autentici testimoni nella chiesa e nella società: «Siamo mandati a portare il Vangelo: ad essere il segno concreto di speranza, di gioia e di vita rinnovata; nella nostra vita, con le nostre azioni, con il nostro modo di essere e di rapportarci. Lo Spirito è sempre presente nella vita di Gesù e in quello che è il suo prolungamento nella storia, ossia nella Chiesa e quindi in ogni cristiano, in ognuno di noi, in forza dell’unzione battesimale che abbiamo ricevuto e per noi sacerdoti anche nella consacrazione sacerdotale.
In ogni tempo, ma in modo speciale oggi, ai nostri giorni e nella nostra vita, abbiamo urgente necessità dell’annuncio di salvezza, abbiamo bisogno della buona notizia, abbiamo bisogno del Vangelo, abbiamo bisogno di Gesù.
Davanti a tanto bisogno, davanti a tanta necessità ci chiediamo: a che punto è l’annuncio: “mi ha consacrato e mi ha mandato ad annunciare”. Rimane perciò davanti a noi un grande problema, che richiede assoluta urgenza di intervento, ossia come trasmettere la fede oggi. Questo è valido per tutti: per i sacerdoti, ma anche per ogni cristiano, in modo particolare per voi ragazzi, che sarete cresimati.
La crismazione, che significa consacrazione di Cristo, è per essere testimoni, trasmettitori credibili. Questo vale per i cresimati, per i sacerdoti, per il vescovo, per ogni cristiano secondo il proprio stato di vita».
Il vescovo ha ricordato quei sacerdoti e diaconi che in questo anno celebrano un particolare anniversario: i 55 anni di sacerdozio per mons. Salvatore Ferdinandi; i 50 anni di sacerdozio per don Gianni Sabatini; i 45 anni di sacerdozio per don Francesco Vaccarini; i 40 anni di sacerdozio di don Lino Franzoloso, i 35 anni di sacerdozio can. Alessandro Rossini; i 25 anni di sacerdozio per don Giuseppe Creanza, don Jacek Jung, don Jeanpierre Kaolongisa Muninai, padre Massimo Lelli Ofm, padre Michele Pellegrini Ofmconv; i 15 anni di sacerdozio di don Matteo Antonelli e padre Johnson Perumittath Ocd; i 25 anni di ordinazione del diacono Ruco Luciano e i 15 di ordinazione del diacono Triola Salvatore.
Lo scorso anno, in occasione della Messa crismale, vi esprimevo la gratitudine per la cordialità con cui avete accolto un sacerdote che scendeva dal nord, chiamato a diventare vostro Vescovo. Quest’anno giungo a questa celebrazione da sud, dalla Visita ad limina, e porto a tutta la Comunità diocesana la premura e la vicinanza del Santo Padre.
A quella del Papa unisco la mia riconoscenza per il servizio che, voi sacerdoti, assicurate al nostro popolo, per il tanto bene – per lo più nascosto – che fate, per il perdono che donate in nome di Dio, per quel vostro passare di casa in casa, ancor più visibile in questo tempo di benedizioni: siete il volto della Chiesa, disponibile a incontrare ogni famiglia nella sua umanità, ad ascoltarne la voce, a condividerne ferite, preoccupazioni e speranze. Ne sono segno e strumento gli oli che benediremo fra poco e che, attraverso di voi, rafforzeranno i catecumeni, confermeranno i cresimati, porteranno conforto agli ammalati.
Eminenza e cari confratelli: è un cammino di santità quello che abbiamo abbracciato con l’ordinazione; una santità che non è spenta dalla nostra debolezza e nemmeno dalle nostre miserie, se sappiano affidarci con umiltà e fiducia alla misericordia di Dio, come la donna peccatrice che a Betania unse di olio profumato i piedi di Cristo: un gesto che suscitò lo sdegno di Giuda, che lo considerò come uno spreco sconsiderato.
Non è spreco, amici, il tempo che dedichiamo al Signore. Non è spreco la nostra preghiera, il sostare nel silenzio delle nostre chiese, la nostra frequentazione della Parola di Dio, il nostro amore all’Eucaristia. Non è spreco, è condizione per leggere con occhi di fede la vicenda umana.
Rinnoveremo tra poco le promesse del giorno della nostra ordinazione proprio per ridirci chi siamo, in Chi abbiamo posto la nostra speranza, a Chi abbiamo affidato la nostra vita. È questa amicizia che ci abilita a chinarci – come simbolicamente faremo domani sera – sui piedi dei fratelli, per “portare il lieto annuncio ai miseri, fasciare le piaghe dei cuori spezzati, promulgare l’anno di grazia del Signore”.
L’amicizia con il Signore rimane la condizione per andare avanti come uomini di Dio, in un ministero che si svolge spesso tra tante fatiche e pochi riconoscimenti. Avvertiamo il peso di strutture, ereditate da un passato che non c’è più. Soffriamo il peso del carico pastorale, gravato dall’accorpamento di più parrocchie. Si fa sentire il peso della salute e dell’età. Non è senza conseguenze nemmeno il peso per la fine di un certo modello di Chiesa: la portata del cambiamento in cui siamo coinvolti, ci mette a confronto con una società plurale, con linguaggi non immediati e insieme con la necessità di non attendere, ma di saper andare incontro a persone che spesso non sono cresciute in una cultura cristiana.
Non è facile. Anzi, in certi momenti di solitudine o di incomprensione si può arrivare a provare un senso di smarrimento, di inutilità e di amarezza. Più che la gioia del profeta sperimentiamo l’afflizione, che ci fa essere noi per primi bisognosi di consolazione.
Dove attingere fiducia e respiro pastorale per attraversare questa stagione?
Indico due ambiti che considero indispensabili.
Il primo è la coscienza di appartenere a un presbiterio, all’interno del quale non solo condividiamo i problemi, ma ci stimiamo, animati da sentimenti di fraternità e di collaborazione. La verità del nostro ministero passa dalla ricerca e dalla custodia di questa comunione tra noi. Costa la fatica di alimentarla con l’amicizia, il ricordarsi l’uno dell’altro, la fedeltà agli incontri spirituali e formativi sia a livello diocesano che di zona.
L’altro ambito è quello delle comunità. Ringrazio l’intero popolo di Dio per il rispetto e l’amore che porta ai sacerdoti, non a una loro figura ideale, ma a voi, alle vostre persone concrete, prese nella loro umanità e nella loro storia. Questa vicinanza delle comunità – oltre che sostenervi – contribuirà a promuovere e a suscitare la disponibilità di nuove vocazioni.
Lavorate per coinvolgere e formare gruppi di uomini e di donne che possano assicurare – anche nella realtà più piccola – la preghiera, l’ascolto della Parola, l’annuncio, la visita alle famiglie, la Comunione ai malati e l’attenzione ai bisognosi. Sono ambiti in cui aiutarci a precisare e a valorizzare al meglio la ricchezza costituita dai nostri diaconi. Sono tematiche su cui dovremo confrontarci con coraggio e con pazienza nei nostri organismi, anche con il nuovo Consiglio pastorale diocesano, che stiamo mettendo a punto. Sono argomenti che affido a tutte le parrocchie, unità e zone pastorali, al cuore di ogni credente: solo insieme riusciremo a individuare la strada per continuare a far risuonare in noi e nella città degli uomini la parola liberante del Vangelo.
Ci accompagni la tenerezza materna di Maria, Madonna delle Grazie.
Don Ivan
Vescovo
IL SALUTO INTRODUTTIVO DEL VICARIO GENERALE DON SIMONE SORBAIOLI
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale tifernate dei Santi Florido e Amanzio, stringendosi intorno al vescovo Luciano Paolucci Bedini. Si sono ritrovati insieme sacerdoti e diaconi delle due diocesi unite “in persona episcopi” (nella persona del vescovo) per rinnovare le promesse pronunciate in occasione della loro ordinazione. Il vescovo Luciano ha consacrato gli oli santi che saranno utilizzati durante l’intero anno liturgico per la celebrazione dei sacramenti: il crisma per il battesimo, la confermazione, l’ordinazione dei sacerdoti, la consacrazione di chiese e altari; l’olio dei catecumeni usato anch’esso nel battesimo; l’olio per l’unzione degli infermi. Nel corso della celebrazione, mons. Paolucci Bedini ha pronunciato l’omelia che riportiamo nel video e con il testo integrale.
Il video della celebrazione e dell’omelia
La galleria fotografica della celebrazione
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
Le Chiese diocesane di Città di Castello e di Gubbio celebrano insieme la Messa Crismale nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio
L’omelia del vescovo Luciano per la Messa Crismale
Grazia a voi e pace da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra. A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.
Sorelle e fratelli carissimi, in questa solenne liturgia, ci uniamo alla gloria del Cielo che celebra in Cristo risorto la fedeltà di Dio che ha compiuto l’azione della nostra salvezza nel sacrificio pasquale che in questi giorni santi riviviamo insieme. Nei segni della preghiera comune la Chiesa contempla la novità della vita redenta, finalmente liberata da ogni zavorra di male e di morte. L’amore divino, manifestato sull’altare della croce di Cristo, ha lavato nel suo sangue ogni bruttura del nostro animo, per riportare alla luce della fede il volto originario della creatura che Dio stesso ha scolpito, a sua immagine e somiglianza, splendente del riflesso della sua bellezza eterna.
Dice infatti il Vangelo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.
Con le parole del profeta Isaia, Gesù presenta il suo ministero di Salvatore. Il suo cammino di incarnazione si compie nel servizio di liberazione della creatura umana dal male che l’affligge. E questo è reso possibile dall’unzione dello Spirito Santo che consacrata la missione di Gesù. In questa scia, e sotto questa potente guida, l’azione del maestro di Nazaret prosegue, nella storia e nel mondo, attraverso la vita e il servizio degli apostoli che lui si è scelto. Da questa santa stirpe discendono tutti i sacerdoti, vescovi e presbiteri, consacrati anch’essi con l’unzione dello Spirito. Stessa dunque è la missione e medesimo il mandato: portare a tutti il lieto annuncio.
Solo per questo, fratelli sacerdoti, noi siamo stati chiamati e ordinati. Nelle nostre povere mani è messa la parola di misericordia di cui il mondo ha una sete mortale. Dell’unico pane necessario, e della sua distribuzione a tutti, siamo stati resi responsabili nel nostro quotidiano ministero. Chi attende i beni della salvezza, e spesso fatica a trovarne la via, sperimenta la povertà del non conoscere il vero tesoro, la prigionia della schiavitù del male e dei suoi inganni, la cecità di chi non vede la luce che può guidare i suoi passi e l’oppressione data dalla mancanza di speranza in una vita piena ed eterna.
L’olio crismale, segno del Cristo morto e risorto, sacerdote, re e profeta, che ci ha consacrati il giorno della nostra ordinazione, per opera dello Spirito Santo ha intriso la nostra vita del profumo dell’amore di Dio. Consapevoli della nostra debolezza mortale, e della miseria che ci accomuna ad ogni uomo, non dimentichiamoci che cosa il Signore ha fatto di noi, unendoci a sé perché Egli potesse continuare a servire il suo popolo come Buon pastore. La nostra vita è stata dedicata totalmente e per sempre per l’edificazione del regno del Padre. Non ci apparteniamo più, e non possiamo fare della nostra vita altro che un dono continuo per l’annuncio del Vangelo. I nostri giorni, i nostri pensieri, le nostre azioni e il nostro amore, se con docilità rimaniamo uniti al Cristo, sono consacrati nella sua Chiesa e per la sua Chiesa. Sappiamo bene quanto anche oggi la Chiesa abbia bisogno di essere amata e servita con umiltà e fedeltà, e di questo tra poco chiederemo grazia nella nostra comune preghiera e nel rinnovo delle promesse sacerdotali.
“Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti”, dice il testo di Isaia. Fa tremare il cuore sapere di essere stati scelti per questa enorme missione, ma lo riempie anche di tanta consolazione e tenerezza se ci ricordiamo chi ce l’affida e la sostiene. Non abbiamo una missione nostra, e vani sono i nostri progetti se sono solo “nostri”. Siamo costituiti come pastori per il popolo che Dio si è acquistato a prezzo del sacrificio pasquale di Cristo, ma a questo popolo siamo anche affidati, perché insieme, e solo insieme possiamo camminare nell’ascolto della voce dello Spirito che guida la Chiesa. Questo ministero allora ci colloca dentro questa famiglia che è la Chiesa, tra gli altri e con gli altri, perché ciascuno cresca nella conoscenza e nell’amore al Signore, e tutti insieme si possa testimoniare questo amore in ogni situazione.
Siamo chiamati, fratelli sacerdoti, a imparare a essere preti insieme. Non ci sono alternative vitali. Insieme, tra noi, gli uni con gli altri, ma anche gli uni per gli altri. Da soli siamo poca cosa. Le nostre chiusure chiudono la Chiesa, le nostre divisioni dividono la Chiesa e le nostre durezze feriscono la Chiesa. C’è una chiamata alla libertà e alla condivisione che non possiamo ignorare. Ci è chiesto di vivere la nostra fede non solo per gli altri, ma anche con gli altri. Di mettere il nostro ministero a servizio del cammino della fede dei nostri fratelli, e non viceversa. Di sognare e pensare insieme, noi preti, con i diaconi, i religiosi, gli sposi e tutti i battezzati, il volto bello della Sposa di Cristo.
Dice il Vangelo: “…gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato»”.
Non siamo stati consacrati solo per un tempo, per una stagione di Chiesa, per un territorio, o per alcune condizioni particolari. La nostra esistenza, e perciò anche il nostro ministero, si dipanano nell’oggi, nella realtà che ci è data, nel tempo e nella cultura che ci ospita. Anzi è proprio la realtà odierna che offre alla parola eterna dell’amore di Dio di continuare il mistero dell’incarnazione. Dentro le vene di questo tempo della storia, l’unico che ci è dato di vivere, scorre il fiume di grazia che scaturisce dall’albero della croce. Non possiamo che vivere, in presenza, questo squarcio di cielo che il buon Dio ci da di scorgere, al di là delle nubi e delle notti che l’offuscano.
Per questo abbiamo bisogno di tanto discernimento e di una fede viva, che fa eco alla gioia del Vangelo e scommette sulla follia della fraternità. Per questo, con rinnovata fiducia, ci affidiamo alla grazia di Dio Padre, per continuare a seguire le orme del maestro Gesù di cui siamo innamorati, sicuri della forza e del coraggio che lo Spirito, che ci ha unti, e consacrati continua a inoculare nel nostro cuore di pastori.
Padre santo e misericordioso, con tutto il popolo qui riunito ti preghiamo con fiducia di figli. Tu che hai consacrato il tuo Figlio Gesù con l’unzione dello Spirito Santo per donarlo a tutti noi come Salvatore, concedi ai tuoi sacerdoti, resi partecipi della sua consacrazione, di essere fedeli testimoni e umili servitori del tuo amore per l’umanità. Amen.
“Quello che ci è stato consegnato e che dobbiamo irradiare è un messaggio di felicità, quella vera, quella profonda, quella che si radica nell’eterno e si diffonde nel tempo. Non una gioia piccola, ma una gioia piena, come la chiama Gesù. ‘Vi ho detto queste cose, perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena’”. Lo ha detto il vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, durante la santa messa crismale del mercoledì Santo celebrata dalla cattedrale di San Rufino, ringraziando i presbiteri per aver consegnato il progetto Casa Felice a tutti i parrocchiani durante le benedizioni delle case.
“Oggi la liturgia – ha detto il vescovo – ci fa vivere il nostro ‘anniversario’ di ordinazione. La mente va a quel momento in cui sui nostri corpi abbracciati alla terra fu invocata l’intercessione dei Santi, perché la nostra vita, nonostante le sue fatiche, fosse una vita felice e capace di donare felicità. Il Paradiso si curvò su di noi. In quel contesto di Paradiso, le mani del vescovo, e poi quelle degli altri sacerdoti presenti, furono poggiate sul nostro capo. Quante mani, ridondanti di amicizia e fraternità, si avvicendarono quasi a plasmarci, come le mani stesse di Cristo. E nel cuore della preghiera consacratoria il vescovo implorava per ciascuno di noi: ‘Rinnova in lui l’effusione del tuo Spirito di santità; con il suo esempio guidi tutti a un’integra condotta di vita’”.
Oggi, “giorno di gioia”, il vescovo ha invitato i confratelli a domandarsi “se siamo gioiosi e portatori di gioia. Non credo di dover spiegare a voi, che questa felicità promessa da Gesù non è banale, non consiste nella mancanza di problemi o nella loro magica soluzione. È una gioia che prevede persino la croce, quale percorso di amore, sulle orme di Cristo. “Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua”. La parola della gioia e quella della croce non stanno in contraddizione: Sono due facce dell’amore. Interrogarci sulla gioia è interrogarci sull’amore. Quanto Gesù è veramente il nostro amore e il nostro tutto, come diciamo nella nostra preghiera?”.
Infine un invito: “La causa di una cristianità in declino, che esige una ri-evangelizzazione ormai a tappeto, ha bisogno di preti ‘preti’. È tempo di fedeltà e di santità – le parole di monsignor Sorrentino – non tempo di vivacchiare. Le statistiche che la settimana scorsa, con gli altri vescovi umbri, ho portato al Santo Padre e ai suoi collaboratori in occasione della Visita ad limina danno da pensare. Ho dovuto dire, ad esempio, che tanti sono i funerali cristiani, ma davvero pochi sono i battesimi, ed è un dato in questa nostra diocesi spicca anche al confronto con la diocesi sorella di Foligno. Ho dovuto dire che da diversi anni non ci sono vocazioni assisane nel nostro Seminario. Sono soltanto alcuni indici di una crisi ben più vasta, a stento occultata nella nostra città di San Francesco dalle folle dei pellegrini.
Al termine della santa messa il vicario generale don Jean Claude Kossi Anani Djidonou Hazoumé ha fatto gli auguri al vescovo da parte sua e del clero diocesano per il ventitreesimo anniversario della sua ordinazione episcopale, avvenuta il 19 marzo del 2001 nella Basilica di San Pietro a Roma per l’imposizione delle mani dell’allora Papa Giovanni Paolo II
La comunità cristiana si appresta a vivere il Triduo pasquale: Passione, Morte e Resurrezione del Signore, il “cuore” della fede, preceduto dalla “Messa crismale” del Mercoledì Santo, celebrata a Perugia nella cattedrale di San Lorenzo, il 27 marzo, alle 17. In questo giorno, come ogni anno, numerosi fedeli, tra cui i cresimandi provenienti un po’ da tutte le parrocchie, si ritrovanno attorno al loro vescovo e ai loro sacerdoti e diaconi per partecipare al rinnovo delle promesse sacerdotali e alla benedizione degli olii santi (l’olio crismale, destinato ai battezzati, ai cresimandi, alla consacrazione dei sacerdoti; l’olio dei catecumeni, per quanti lottano per vincere lo spirito del male in vista degli impegni del Battesimo; l’olio degli infermi, per l’unzione sacramentale degli ammalati).
Vera festa del sacerdozio ministeriale. «La benedizione del crisma – ricorda l’arcivescovo Ivan Maffeis – dà il nome di “Messa crismale” a questa liturgia e orienta l’attenzione verso il Cristo, il cui nome significa “consacrato per mezzo dell’unzione”. Per questo, l’invito a partecipare – sottolinea mons. Maffeis – è esteso in particolare ai cresimandi. La “Messa crismale” è una vera festa del sacerdozio ministeriale, all’interno di tutto il popolo sacerdotale: è considerata una delle principali manifestazioni della pienezza del sacerdozio del vescovo e un segno della stretta unione dei presbiteri con lui».
Il particolare dell’olio di quest’anno. È frutto di tre donazioni: da parte delle parrocchie della città, dell’Associazione “Olio di San Luca”, che coltiva gli ulivi a Montemorcino, e da parte della Polizia di Stato. La Questura di Perugia ha infatti consegnato al vescovo dell’olio ricavato dalla molitura delle olive prodotte a Capaci, vicino al luogo dove furono uccisi per mano mafiosa i magistrati Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo con gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. All’olio crismale è aggiunta anche una resina profumata, che è stata acquistata dagli artigiani di Terra Santa, per contribuire – almeno con il segno – a sostenerne l’economia, provata in maniera pesante dalla guerra. Tale balsamo viene ad aggiungersi all’essenza del bergamotto che la Diocesi di Locri-Gerace anche quest’anno ha donato in segno di comunione a tutte le Diocesi italiane.
Programma del Triduo pasquale in Cattedrale.
Giovedì Santo, 28 marzo, alle 18, la Messa nella Cena del Signore, presieduta dall’arcivescovo Maffeis.
Il rito della lavanda dei piedi sarà compiuto ad una rappresentanza di cittadini prevenienti da Paesi dilaniati dalla guerra.
La celebrazione proseguirà con l’adorazione eucaristica, animata dai seminaristi e, alle 22, con la preghiera della Compieta dinanzi all’altare della reposizione.
Venerdì Santo, 29 marzo, alle 18, celebrazione della Passione del Signore.
Alle 21, in piazza IV Novembre, Via Crucis, animata dai cavalieri del Santo Sepolcro e dal gruppo di Comunione e Liberazione.
Le offerte che vengono raccolte in questo giorno santo sono destinate alla Terra Santa: «Nella drammatica situazione odierna – ricorda mons. Maffeis –, tale vicinanza è indispensabile per permettere alla Custodia di Terra Santa sostenere la presenza dei cristiani a Gaza, a Betlemme e a Gerusalemme, il mantenimento dei Luoghi Santi come delle attività pastorali e delle opere sociali – scuole, case per anziani, ospedale – che vanno a beneficio di tutti, in particolare dei più bisognosi».
Il Venerdì Santo è giorno di digiuno e di astinenza.
Sabato Santo, 30 marzo, alle 22, l’arcivescovo presiederà la Veglia pasquale nella Notte Santa, durante la quale riceveranno i sacramenti dell’iniziazione cristiana alcuni giovani catecumeni; altri saranno i giovani che riceveranno il battesimo in alcune parrocchie della Diocesi.
La Veglia inizierà con i suggestivi riti della benedizione del fuoco, dell’acqua e l’accensione del cero pasquale.
Domenica di Pasqua, 31 marzo, alle 11, Messa della Risurrezione del Signore, presieduta dal vicario generale, don Simone Sorbaioli.
L’arcivescovo presiederà la Santa Messa nella concattedrale dei Santi Gervasio e Protasio di Città della Pieve alle 10.30.
Tutte le celebrazioni della Settimana Santa in cattedrale sono animate dalla Corale Laurenziana.
Sempre in cattedrale, Giovedì, Venerdì e Sabato Santo, alle 9, la preghiera dell’Ufficio delle letture e delle Lodi mattutine, presieduta dall’arcivescovo e animata dal gruppo corale “Armonioso Incanto”.
«La processione con cui abbiamo dato inizio a questa liturgia domenicale non aveva solo lo scopo di prendere in mano gli ulivi per glorificare Gesù, ma voleva soprattutto porre a ciascuno di noi una domanda: vuoi muovere i tuoi passi nella settimana santa? Vuoi davvero entrare con Gesù a Gerusalemme, accoglierlo nella tua vita e poi seguirlo fedelmente?». Con queste parole l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha avviato l’omelia nella Domenica delle Palme, 23 marzo 2024. La cerimonia è iniziata in Piazza Duomo con la benedizione dei ramoscelli di ulivo e la lettura di un brano evangelico; poi c’è stato l’ingresso processionale in Cattedrale per la celebrazione eucaristica, che si distingue per la lunga lettura della Passione di Gesù. In questa domenica, infatti, si ricorda l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme per andare incontro alla morte, ed inizia così la Settimana Santa durante la quale si rievocano gli ultimi giorni della vita terrena di Cristo e vengono celebrate la sua Passione, Morte e Risurrezione. Col Presule hanno concelebrato don Bruno Molinari e padre Gregorio Lwaba Mambezi, oad. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere don Pier Luigi Morlino. La liturgia è stata animata dalla corale della Pievania di S. Ponziano diretta da Paola Grappasonni, con all’organo Angelo Silvio Rosati. Erano presenti i ragazzi della catechesi della Pievania, che hanno raggiunto la Cattedrale a piedi dalla chiesa di S. Gregorio. Alla Messa c’era anche il vice presidente del Consiglio comunale di Spoleto Sergio Grifoni.
L’omelia dell’Arcivescovo. «Gesù – ha detto mons. Boccardo – entra in Gerusalemme sopra un asino, non sopra un cavallo né su un carro da guerra, perché il suo intento non è bellicoso e dominatore. Si tratta quindi di un re che trasmette un’immagine non di potenza o di dominio, bensì di servizio: Gesù si presenta come il pastore buono e mite che le pecore riconoscono e al quale si avvicinano con grida di gioia e di giubilo. La folla esce incontro a Gesù in questo modo perché comprende che solo lui può realizzare la speranza del popolo, che solo da lui, re d’Israele, benedetto, ci si può aspettare salvezza e non da Gerusalemme, non dal tempio o dai capi della città». Quindi l’appello dell’Arcivescovo ai tanti fedeli presenti in Duomo: «Anche noi dobbiamo ogni volta re-imparare ad accogliere Gesù come colui che vuole entrare nella nostra vita per liberarci dalla schiavitù e dalle angosce di morte che ci attanagliano; all’opera di liberazione sociale e politica, propria di un impegno laico, Gesù invia coloro che sono redenti e battezzati, mentre lui ci offre la liberazione fondamentale, primordiale. Vuole davvero salvare la nostra vita, e però la salva servendoci, non sottomettendoci. Gesù, quindi, entrando a Gerusalemme su un asinello, mostra che è davvero re e insieme che la sua regalità è fondata sulla pace, sull’umiltà e sulla mitezza; viene a servire e a prendere su di sé i pesi della gente, non a gestire un potere. E gli apostoli non comprendono. Non è forse vero che anche noi facciamo fatica ad accettare una simile forma di regalità, preferendo usare i carri e i cavalli di guerra? Come non pensare, a questo proposito, alle guerre e agli attentanti che feriscono continuamente l’umanità, mezzi iniqui con i quali si pretende di esercitare un dominio sugli uomini e sui popoli? E ancora: non è forse vero che il servire, come elemento fondamentale del modo con cui Gesù si avvicina a noi, è difficile e ostico da accettare?».
Le celebrazioni della Settimana Santa presiedute dall’Arcivescovo. Mercoledì 27 marzo: alle ore 18.30, Messa crismale in Duomo; giovedì 28 marzo: alle 18.30, S. Messa in Coena Domini in Duomo; venerdì 29 marzo: alle 15.00, Via crucis alla Casa Famiglia O.A.M.I. di Baiano di Spoleto con le persone diversamente abili; alle 18.30, Liturgia della Passione in Duomo; alle 21.00, Via crucis al Giro della Rocca; sabato 30 marzo: alle 22.00, Veglia Pasquale in Duomo; domenica 31 marzo: alle 9.00 Messa all’Hospice di Spoleto; alle 11.30, Santa Messa in Duomo.
«Proviamo anche solo per un momento a immaginare cosa significherebbe togliere il racconto della Passione dalla nostra cultura, dall’arte, dalla musica, dalle chiese e dalle nostre stesse case…». Così l’arcivescovo Ivan Maffeis nell’introdurre il Vangelo della Passione del Signore alla celebrazione eucaristica della Domenica delle Palme, il 24 marzo, nella cattedrale di Perugia.
«Un racconto conosciuto – ha aggiunto mons. Maffeis -, ma che ogni anno può dirci qualcosa di nuovo, qualcosa che può illuminare la situazione che stiamo vivendo e per certi versi così drammatica, situazione che può aiutarci a comprendere meglio questo racconto. Ascoltiamolo con la disponibilità di chiederci cosa dice a me, quale verità mi schiude, cosa porta non tanto sul piano delle opinioni o delle idee, ma della mia vita, della mia esistenza».
«E’ un racconto che parla di morte e di risurrezione. Cosa devo lasciar morire? Come deve cambiare e rinnovarsi la mia fede, quale zavorra lasciar cadere e quale tesoro portare con me? La chiave per entrare in questo grande racconto della Passione, della Pasqua, ce l’ha offerta san Paolo nella breve lettura appena ascoltata: Gesù non ha rivendicato privilegi, ma si è donato, si è fatto servo. Questo sia la vita per accompagnare Cristo nella sua Passione per risorgere con Lui a vita nuova come singoli, come comunità, come società».
La celebrazione è stata preceduta dalla preghiera con la benedizione dei ramoscelli d’ulivo davanti all’arcivescovado e dalla processione rievocativa l’ingresso di Gesù in Gerusalemme. Tra i numerosi fedeli anche una rappresentanza di studenti e insegnanti di una scuola cattolica del Michigan (Usa) in visita nel capoluogo umbro per un progetto di gemellaggio, oltre alla presenza di Confcooperative Umbria nel 50° anniversario della nascita le cui realtà agricole sociali hanno donato e distribuito i ramoscelli d’ulivo.
(dal sito della diocesi di Perugia-Città della Pieve)
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