Spoleto – festa di S. Ponziano 2021. Il 14 gennaio pontificale presieduto dall’Arcivescovo. Non si terrà la tradizionale processione del pomeriggio. Evento culturale on line sulle opere del “Maestro di Cesi” come preparazione alla festa del Santo Patrono.

La Città di Spoleto si appresta a celebrare la solennità del Santo patrono, il giovane martire Ponziano. Giovedì 14 gennaio 2021 nella basilica Cattedrale di Spoleto ci saranno due Messe: alle 9.00 e quella solenne presieduta dall’arcivescovo Renato Boccardo alle ore 11.30. Quest’ultima sarà trasmessa in diretta nei canali social della Diocesi (Facebook: SpoletoNorcia; YouTube: Archidiocesi Spoleto Norcia). Nel pomeriggio alle 16.30, sempre in Cattedrale, mons. Boccardo presiederà i Secondi Vespri (diretta nei social diocesani). Quest’anno, a causa delle restrizioni per evitare il diffondersi del Coronavirus, non si terrà la tradizionale processione fino alla Basilica dedicata al Santo. L’Arcivescovo riporterà la reliquia del martire a bordo di un’automobile, percorrendo le stesse vie della processione. «Questa particolare processione – afferma mons. Boccardo – vuole comunque essere una grande intercessione a S. Ponziano. Secondo la tradizione locale, infatti, il martire è invocato come protettore contro il terremoto. Ed oggi – prosegue il Presule – noi gli chiediamo di difendere la Città di Spoleto e tutta l’Archidiocesi anche dall’assalto del Coronavirus». Si invitano le persone che vivono nelle vie dove passerà l’automezzo con la reliquia di S. Ponziano ad affacciarsi alle finestre delle proprie abitazioni, senza scendere in strada.

Appuntamento culturale in preparazione alla festa del Santo Patrono. Il Museo diocesano propone un nuovo appuntamento on line dell’iniziativa “IncontraArti oltre l’immagine”: venerdì 8 gennaio alle ore 17.00 sui canali social della Diocesi e del Museo (Facebook: SpoletoNorcia; Duomo di Spoleto – Complesso Monumentale; YouTube: Archidiocesi Spoleto Norcia) Vittoria Garibaldi, direttore tecnico-scientifico del laboratorio di diagnostica per i beni culturali di Spoleto e coordinatore di ICOM Umbria, già Soprintendente ai Beni Storici e Artistici dell’Umbria e Direttore Regionale per i Beni Culturali dell’Umbria e Direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, illustrerà le opere del Maestro di Cesi, “allievo” di Giotto, conservate nel Museo diocesano di Spoleto. «Giotto – afferma la Garibaldi – arriva in Umbria negli anni ’90 del 1200 e lascia un segno indelebile. È un pittore rivoluzionario, cambia tutto, si allontana dalla tradizione bizantina e porta numerosissime novità. Ma è anche un imprenditore: tutti corrono nei suoi cantieri per vedere chi è questo personaggio. Arrivano artisti sconosciuti di cui non sappiamo assolutamente nulla. Tra questi, uno lascia sicuramente un segno importante: si chiama “Maestro di Cesi”, ma questo non è il suo nome. Come per tutti gli altri, non conosciamo il suo vero nome, non sappiamo quando è nato né quando è morto, non sappiamo da dove proviene. Ma è sicuramente un artista intrigante e poliedrico». Le opere del “Maestro di Cesi” che illustrerà la Garibaldi sono: Madonna con Bambino, tempera su tavola, proveniente dalla chiesa di S. Giovanni evangelista a Vallo di Nera; Cristo crocefisso, tempera su tavola, proveniente dalla chiesa di S. Domenico in Spoleto; Santa Cristina, tempera su tavola, proveniente dalla chiesa di Santa Cristina in Caso di Sant’Anatolia di Narco; Cristo in gloria e Santi, tempera su tavola, proveniente dalla chiesa di Santa Maria in Ponte di Cerreto di Spoleto.

Perugia – solennità di Maria Madre di Dio e la Giornata mondiale della Pace. Il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi: «Questa maternità è vicina a ciascuno di noi, una misericordia fatta di concretezza di gesti, di attenzioni, di una realtà che non ci lascia»

«Il “Sì” di Maria diventa concretezza di una tenerezza che si manifesta nella vita… Oggi sentiamo di essere amati da Dio in questa concretezza. E’ come se quella stessa maternità l’avessimo incontrata nei vari contesti della nostra esistenza». A sottolinearlo è il vescovo ausiliare di Perugia-Città della Pieve monsignor Marco Salvi nell’omelia della celebrazione eucaristica con il canto del Veni Creator, nella cattedrale di San Lorenzo, la sera del primo dell’anno, solennità di Maria Madre di Dio e Giornata mondiale della Pace.

Generare Dio nella concretezza della nostra carne. «La Chiesa, tanto vituperata – ha proseguito il presule –, ci fa sperimentare, attraverso le sue comunità e i suoi volti che incontriamo, che questa maternità è vicina a ciascuno di noi, una misericordia fatta di concretezza di gesti, di attenzioni, di una realtà che non ci lascia. Dobbiamo anche noi – come Maria che con quel “sì” è stata capace di generare Dio -, con il nostro “sì”, con la nostra fede, generare Dio nella concretezza della nostra carne. Non è un pensiero, non è una ideologia, non è un qualcosa di astratto, ma è la concretezza di un amore che si offre prima di tutto a noi e diventa possibile per qualunque persona che incontriamo. Che Maria ci accompagni in questa grande decisione per la nostra vita».

Grazia su grazia. All’inizio dell’omelia, il vescovo ha ricordato che «nel primo giorno dell’anno civile la liturgia della Chiesa ci pone sotto l’egida della benedizione di Dio, tratta dal Libro dei numeri, la cosiddetta benedizione di Aronne… E’ come se la vita di ciascuno è posta sotto l’egida della Grazia. Non a caso otto giorni dopo il Natale di quella tenerezza, che noi abbiamo ricevuto ed ascoltato nel prologo di Giovanni, “Grazia su grazia”, la grazia di Dio si è fatta dono anche per gli ingrati. Entrando nel tempo, Gesù, incarnandosi, ha santificato ogni istante della nostra vita. “Grazia su grazia…” e con questa benedizione e baldanza affrontiamo il nuovo anno».

La certezza di un Dio che ci accompagna. «C’è la pandemia, non ci sono prospettive certe – ha detto monsignor Salvi –, però c’è la certezza di un Dio che ci accompagna. E nel primo giorno dell’anno ci viene posta la figura di Maria. E’ la solennità della Divina maternità di Maria ed oggi la Chiesa la venera con il suo più antico titolo: “Theotokos”, Madre di Dio. Cosa significa questo titolo? E’ un aiuto per comprendere meglio la nostra fede, conoscere meglio il mistero. Attraverso Maria si tocca e si contempla un amore per ciascuno di noi».

La pace non è mancanza di guerra. Avviandosi alla conclusione, monsignor Salvi si è soffermato sulla Giornata dedicata alla Pace, «il segno più grande – ha evidenziato – di questa realtà che Dio offre: “la pace sia con te”, ci diciamo… La pace non è mancanza di guerra, di ostilità, di non belligeranza, la pace è prima di tutto la condizione di un cuore che vive questo mistero d’amore. E questo, prima ancora che sia una pretesa che io chiedo agli altri, deve diventare costruzione del mio cuore. La pace comincia dalla tua esistenza e dal tuo modo di affrontare le cose e vivere i tuoi rapporti. Per questo alla fine della messa invochiamo lo Spirito Santo con il canto del Veni Creator, dacci la capacità di essere veramente costruttori di pace. Senza il tuo aiuto, recita il canto, nulla è nell’uomo, senza di te nulla possiamo costruire, neanche la pace».

La giustizia e la pace camminano insieme. A margine della celebrazione, il vescovo ha avuto modo di soffermarsi sul significato della pace legato alla giustizia. «Siamo all’inizio di questo nuovo anno – ha commentato – e l’augurio che ci facciamo è che il 2021 sia un anno di grazia e soprattutto di ripresa della vita. Anche papa Francesco ci richiama a vivere questo anno con una grande speranza, perché Cristo non ha abbandonato l’umano, ma si è incarnato e si è fatto prossimo perché la nostra vita sia salvata. E’ anche il giorno in cui il Papa ci richiama a vivere la pace nella giustizia. La giustizia e la pace camminano insieme e quindi costruire la pace significa costruire un mondo più giusto. La pace e la giustizia cominciano non solo nelle strutture degli Stati, ma dal cuore degli uomini. Ciascuno di noi è responsabile a costruire la pace e la giustizia perché questo mondo sia migliore. La nostra fragilità, delle volte, non ci permette di essere veri costruttori di pace, ma l’incarnazione del Verbo, Gesù Cristo nel Natale, ci offre la possibilità di essere aiutati, accompagnati, in questa costruzione che comincia da ciascuno di noi. Per questo auguro a tutti un buon anno nuovo».

Spoleto – Te Deum di ringraziamento e Solennità della Madre di Dio. L’arcivescovo Boccardo: «Questo 2020 non è un anno da dimenticare, ma da ricordare, perché ci ha costretto a guardare ciò che non avremmo voluto vedere. Il coraggio del credente viene dall’assoluta certezza che Dio sarà al mio fianco».

Il pomeriggio del 31 dicembre 2020 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto nel Duomo di Spoleto la Messa, al termine della quale è stato cantato il Te Deum di ringraziamento per l’anno trascorso. Un anno che si chiude con l’incertezza e le paure causate dal Coronavirus e dunque con un bisogno ancora più forte di riaffidare tutto al cielo.

Nell’omelia il Presule ha sottolineato come l’anno che volge al termine è stato ricco di eventi, positivi e negativi, personali e sociali, custoditi da ciascuno nella memoria del cuore. «Tuttavia – ha detto mons. Boccardo – non possiamo non fare riferimento al Coronavirus che da diversi mesi e in mille modi ci tocca da vicino. “Questo è un anno da dimenticare”, sentiamo ripetere da amici e conoscenti, pronti a voltare pagina per lasciarsi alle spalle un passato da dimenticare e votati alla speranza di un futuro che sarà certamente migliore, perché “peggio di così non potrà andare”, si dice. E invece no. Questo 2020 non è un anno da dimenticare, ma da ricordare. Perché ci ha offerto una lezione di vita, una lezione più che mai “in presenza” anche quando avveniva a distanza, perché è entrato nella nostra carne, ci ha costretto a guardare ciò che non avremmo voluto vedere».

L’Arcivescovo ha ribadito come il Covid-19 sia una grande lezione riguardo ai limiti. «Ci è richiesta la difficile arte di dirci dei no, di porci dei limiti e di attenerci ad essi, di non fare, di non andare, di non incontrare; arte che ci ricorda come il vero esercizio della libertà personale consista nel darsi una regola di comportamento e nel rimanervi fedele. Ci siamo trovati di fronte, improvvisamente, alla preziosità del nostro tempo, che ora possiamo cogliere e sentire, non solo veder fuggire».

La pandemia è una memoria mortis. «Che ci ricorda – ha detto il Presidente della Conferenza episcopale umbra -con brutalità che non solo la fragilità e la vulnerabilità sono parti costitutive della vita, ma anche la morte. Anzi, la vita non è senza la morte e solo ciò che vive ha la capacità di morire. Il Covid-19 ci ha obbligato a porci nuovamente di fronte all’orizzonte della nostra fine naturale per recuperare quella sapienza che da sempre nasce dal pensare la vita tenendo presente la morte».

La pandemia ci ha mostrato infine che abbiamo bisogno gli uni degli altri. «E ha contestato – ha sottolineato l’arcivescovo Boccardo – le tendenze di radicalismo individualista che ci abitano. Noi siamo relazione: è un insegnamento tanto semplice ed elementare quanto spesso disatteso e ignorato nel nostro vivere quotidiano. Proprio mentre ci chiede di osservare il distanziamento e di mettere la mascherina, la pandemia ci sprona ad assumere la responsabilità verso gli altri: la vita mia e degli altri, soprattutto dei più fragili, dipende anche dai miei comportamenti. Ad una società che chiude le frontiere a migranti e stranieri, che mette in atto politiche di respingimento, il virus che senza problemi passa frontiere e confini ha mostrato la stupidità e la cattiveria di politiche immunitarie che perseguono la sicurezza in modo ossessivo e si scoprono poi radicalmente insicure».

Nella Messa per la solennità di Maria Madre di Dio, in cui la Chiesa celebra anche la Giornata Mondiale della Pace, tenutasi sempre nel Duomo di Spoleto il 1° gennaio 2021, l’arcivescovo Renato Boccardo ai fedeli presenti ha sottolineato il grande bisogno «di coraggio per vivere e non sopravvivere. C’è bisogno di coraggio – ha detto – per amare e lasciarsi amare, per sposarsi e fidarsi di un’altra persona, per fare un figlio e poi essergli davvero padre o madre… Tanto più per affrontare l’attuale situazione, che ci confronta ogni giorno con la paura più grande, quella della morte. Ma forse qui abbiamo bisogno ancora di un altro coraggio, quello che nasce non dalla paura ma dall’accoglienza della vita come dono del tutto gratuito e immediato, così ricco e intenso da rendere il vivente capace di fare dono a sua volta della propria vita vivendola pienamente, al massimo, dandole il senso più vero e più bello che l’uomo le possa mai dare, cioè “generando vita” a sua volta, facendosi carico dell’altro, spendendosi. Chi infatti si dona e lo fa in modo molto concreto (in famiglia, nella società civile ed ecclesiale, nel servizio disinteressato e nell’assistenza gratuita ai più deboli), infatti, “deve” morire ogni giorno a se stesso, perché l’amore ha una struttura pasquale. Il coraggio di cui parliamo – ha proseguito il Presule – non è allora banale ottimismo che vuol credere a tutti i costi che anche stavolta ce la faremo, o temerarietà di chi nega tutto o non percepisce la potenza del rischio, né è solo impegno pur benemerito a trovare rimedi, tanto meno è solo pregare e impetrare da Dio la grazia di non essere toccati dal virus o di venirne fuori presto… Il coraggio credente non viene dalla paura, ma da quella fiducia che consente di guardare al futuro non pretendendo che “tutto andrà bene”, ma sapendo con assoluta certezza che Dio sarà al mio fianco, che non mi lascerà solo, nemmeno se sarò isolato o intubato in una stanza d’ospedale, e mi darà in ogni caso la forza di vivere i miei giorni riempiendoli di luce. Perché Dio – ha concluso l’Arcivescovo – è fedele, amico affidabile, mani sicure, garanzia di un amore più forte della morte. E mi posso fidare di lui!».

Perugia – Perugia: l’omelia del cardinale Bassetti alla celebrazione eucaristica con il canto del Te Deum in cattedrale. Il presule alla comunità diocesana: «Non possiamo farci vincere dallo sconforto»

Carissimi fratelli e sorelle,

le letture bibliche che abbiamo ascoltato fanno riferimento alla grande festa di domani (primo gennaio 2021, n.d.r.), la solennità di Maria Madre di Dio. Il titolo più grande che la fede del popolo cristiano attribuisce dai primi secoli alla Santissima Madre di Gesù, Maria di Nazareth.

Tutto concorre all’umana salvezza. L’evangelista Luca ci riferisce lo stupore dei pastori al vedere il bambino nella mangiatoia, assieme a Maria e Giuseppe. Nella povertà estrema, il figlio di Dio è venuto nella carne per visitare, guarire e salvare tutti gli uomini. Oggi siamo noi quei pastori, invitati a contemplare il mistero dell’incarnazione e a dare la testimonianza dell’opera redentrice del Signore. Egli è venuto a cercarci, caricandosi di tutta la fragilità umana, escluso il peccato. Ha abitato in mezzo a noi, è vissuto come noi, ha sofferto come noi soffriamo. Ha dato però un significato nuovo all’esistenza umana: al vivere, al soffrire e al morire. Tutto in lui trova un significato, perché tutto concorre all’umana salvezza.

Fragilità e paura. Al compiersi di questo giorno (31 dicembre 2020, ndr), termina anche un anno lungo e travagliato, in cui abbiamo avvertito in modo speciale la nostra fragilità e quel sentimento, a taluni sconosciuto, che è la paura. Paura dei contagi, paura della malattia, paura della morte.

Due immagini. Sul finire della seconda decade di questo secolo, si sta ripetendo quanto avvenne esattamente cent’anni fa, al chiudersi del primo ventennio del Novecento: allora fu l’epidemia detta “spagnola” ad incutere terrore e a provocare milioni di morti; molti nostri anziani fino a poco tempo fa ancora la ricordavano. Nella mia famiglia avemmo un lutto molto grave: morì mia nonna, che aveva poco più di 45 anni, lasciando undici figlioli e mio padre aveva appena otto anni. Quest’anno è toccato alla nostra generazione vivere nell’angoscia a motivo della pandemia di Covid-19. I nostri ospedali sono pieni di persone che sono state colpite e tanti sono stati i morti. Ricordiamo ancora con strazio le bare allineate e caricate sui camion militari per essere portate al cimitero: una fila interminabile. Insieme a questa, un’altra immagine si è impressa nella nostra memoria collettiva: Papa Francesco in preghiera in piazza San Pietro totalmente vuota. Mentre il Santo Padre pregava per il mondo intero, tutti eravamo spiritualmente presenti in quella piazza a soffrire e pregare con lui.

Misericordiae Domini. Durante l’estate sembrava tutto finito, invece il virus era ancora in agguato e adesso stiamo sperimentando una nuova onda lunga, che non sappiamo quando finirà. Grazie a Dio sta iniziando la somministrazione dei vaccini e sono state messe a punto delle cure, per cui tante persone potranno guarire e tornare a pienezza di vita. Tra queste ci sono anche io, come sapete. Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato la forza. Il dramma che ho vissuto nel mese di novembre mi induce a gridare dal profondo del cuore: «Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti» (Lam 3,22) [è per grazia di Dio se siamo ancora vivi!].

Fraternità basata sull’amore reale. Il Santo Padre nel giorno di Natale ha ricordato al mondo intero che «in questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, o di vaghi sentimenti… No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze». E nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà domani, il Papa sottolinea ancora la necessità di prendersi cura del creato e di tutti i fratelli.

Dar vita a Chiesa e società migliori. Carissimi, quest’anno non sarà trascorso del tutto invano se ci saremo riavvicinati di più a Dio e se avremo cercato con maggior impegno di aiutare il nostro prossimo con gesti di solidarietà, che in verità durante tutto l’anno e, soprattutto, in questo periodo di Natale non sono certo mancati. Centinaia di pasti sono stati donati da ristoratori e commercianti alla nostra Caritas perché fossero distribuiti ai poveri insieme a tante altre offerte per aiutare la povera gente a pagare l’affitto. E questo è avvenuto non solo a Perugia ma anche in molte zone d’Italia. Con l’amore a Dio e al prossimo riusciremo a superare questo tempo calamitoso per dar vita a una Chiesa e a una società migliori. Con questi sentimenti io penso di avere espresso anche quello che attraversa il vostro cuore e la vostra anima in questo momento.

Invocare la protezione di Maria. Animati da questo spirito di fede e di fraternità, vorrei che questa sera, ultima dell’anno e vigilia della solennità della Madre di Dio, si ripetano in questa chiesa cattedrale le parole dell’antica invocazione collettiva alla Vergine Maria: «Salus nostra in manu tua est, et nos et terra nostra tui sumus!» [La nostra salute/salvezza è in mano tua, e noi e la terra nostra siamo tuoi!]. Sono scritte nel gonfalone di inizio Cinquecento esposto in un altare laterale: quel grido si levava alla Vergine perché fermasse il flagello della pestilenza, una delle tante da cui l’Italia, e Perugia in particolare, fu afflitta. Un voto di dedicazione della città a Maria venne espressamente deliberato all’unanimità dal Consiglio comunale il 22 gennaio 1631, e solennemente rinnovato nell’ottobre 1716. La Mater Gratiae, Madonna della Grazia (e delle grazie) interceda per noi presso Dio perché finisca presto anche il flagello attuale.

Non perdere la speranza. Tanto è il dolore e la sofferenza di questi mesi, che a fatica stasera le nostre labbra si aprono per cantare il Te Deum; ma non possiamo farci vincere dallo scoramento, dobbiamo trovare la forza per andare avanti, e non perdere la speranza. Un bellissimo inno antico, che si canta prima del Natale, ci ricorda l’amore che Dio ha per noi: «Consolati, consolati, o popolo mio: presto verrà la tua salvezza. Perché ti consumi nella mestizia, perché il tuo dolore si è rinnovato? Ti salverò, non temere, perché io sono il Signore Dio tuo, il Santo d’Israele, il tuo Redentore» (Rorate caeli). Amen!

Gualtiero Card. Bassetti

Terni – Te Deum di fine anno. Mons. Piemontese: «Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo»

Celebrata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni la solenne messa di ringraziamento di fine anno con il canto dell’antico inno del “Te Deum”. Alla celebrazione erano presenti i canonici della Cattedrale di Terni, il sindaco di Terni Leonardo Latini, il vice prefetto Andrea Gambassi, il Questore di Terni Roberto Massucci, il presidente della Fondazione Carit Luigi Carlini, i rappresentanti delle altre autorità militari, delle associazioni e movimenti ecclesiali.
«La conclusione di questo anno appare molto diversa dagli altri anni – ha detto il vescovo –
Le considerazioni possono fluire con una certa dose di spontaneità e di ovvietà visto che tutti siamo stati sovrastati dalla pandemia del Covid-19. Fermiamo per qualche istante la nostra attenzione sul tempo che abbiamo vissuto per coglierne gli aspetti di pesantezza, di drammaticità prevalente, ma anche gli aspetti positivi e di singolarità in riferimento alla vita personale, familiare, civile, sociale ed ecclesiale».

La speranza della fede
«La venuta di Gesù da duemila è segno di speranza per l’umanità e per ciascuno. È questa la ragione e l’ancora di speranza per noi che vediamo scorrere il tempo, che conduce anche noi inesorabilmente verso il compimento, la fine, la morte terrena.
Noi che siamo animati dalla fede, in qualunque situazione possiamo guardare con fiducia allo scorrere del tempo e al futuro perché Dio è con noi; il bambino di Betlemme ci conferma l’interesse di Dio per le vicende dell’umanità e per ciascuno di noi, non ci ha abbandonati. Questa sera, facendo memoria dell’anno trascorso, questo pensiero ci è di conforto e suscita sentimenti di gratitudine in ognuno. Si, proprio nell’anno della pandemia, confortati da queste considerazioni, siamo qui per coltivare ed esprimere gratitudine e speranza».

La pandemia, la sofferenza, la solidarietà, la crisi economica e la ricerca medica.
Nell’omelia molti sono stati i riferimenti del vescovo a quanto accaduto nell’anno trascorso «che hanno inciso un segno indelebile e che influiranno nel futuro della nostra storia personale, della società e della Chiesa. Tutti noi abbiamo vissuto giorni di smarrimento e di preoccupazione. Diversi di noi hanno attraversato ore di angoscia: mancanza di respiro, dolori su tutto il corpo, rifiuto del cibo, isolamento medico, sociale e affettivo; interminabili giorni di solitudine e di incertezza sull’esito del morbo.
Abbiamo assistito, increduli ed estasiati a gesti anche eroici di altruismo e di generosità, emersi dal profondo di una umanità e che pensavamo scomparsi. Medici, infermieri, operatori sanitari, farmacisti, forze dell’ordine, Istituzioni…. Ma anche genitori, figli, amici, giovani volontari che si sono prodigati e inventati modi per portare cure, aiuti e sollievo a chi era nel bisogno e nella solitudine: per tanto bene ringraziamo il Signore.
Abbiamo osservato con meraviglia mista a sbigottimento le tante file di indigenti soccorsi alle mense della Caritas o di altre istituzioni benefiche. Anche le Istituzioni civili, militari, gli scienziati di ogni parte del mondo hanno assicurato la vicinanza operosa e benefica al popolo. Le ristrettezze economiche di famiglie, aziende, imprese hanno accresciuto la sofferenza e la preoccupazione per il presente e per il futuro. I progetti di sostegno economico, messi in campo dell’Unione europea e dai singoli Stati, alimentano la speranza nella ripresa economica, civile, sociale, culturale.
I farmaci resi disponibili per tutti i malati e soprattutto il vaccino anticovid, distribuito in questi giorni in varie parti del mondo e anche in Italia, è frutto della collaborazione tra scienziati, ma anche della sinergia di governi e autorità varie. Anche ciò è segno della benevolenza e Provvidenza del Signore che ispira il volere e l’operare per la diffusione del bene tra gli uomini».

La riscoperta della meditazione e del senso della comunità civile ed ecclesiale durante il lock down
«Nel tempo del lockdown siamo rientrati in noi stessi e abbiamo potuto riscoprire la riflessione, la meditazione della parola di Dio, la preghiera e la contemplazione del volto di Dio. La solitudine tra le quatto mura di casa e l’impossibilità di partecipare alla santa Messa col digiuno eucaristico ha rafforzato in noi il bisogno del Pane eucaristico e della comunità e ci ha fatto scoprire che siamo veramente tutti sulla stessa barca: ognuno deve remare in maniera ordinata e sincronica per poter raggiungere il porto sospirato e la salvezza.
Questa pandemia dove rafforzare in ciascuno il senso della responsabilità nelle scelte e nei comportamenti; il senso della comunità civile ed ecclesiale: nessuno si salva da solo e Dio non ci salva da soli, ma come popolo.

Leggere i segni dei tempi
Il popolo di Dio che sa leggere i segni dei tempi, anche di questa pandemia; sa riconoscere la presenza misericordiosa di Dio, impara ad apprezzare, a rispettare, custodire e curare il creato e i frutti della terra e del lavoro dell’uomo per un universo sano, ordinato per il benessere materiale e spirituale dell’umanità.

Gli auguri per il nuovo anno
«Allo spegnersi di questo anno 2020, che vorremmo cancellare dalla storia, vogliamo ripetere a noi stessi che tutto è Grazia e impegnarci ad approfondire con saggezza il senso di questi eventi per le nostre comunità e per ciascuno. Lasciamo posare su di noi la benedizione del Signore perché la consolazione di Dio ci conforti e ognuno comprenda con responsabilità la propria parte da compiere per rinnovare l’esistenza propria e della comunità».

L’OMELIA DEL VESCOVO

 

Perugia – Il cardinale Gualtiero Bassetti è ritornato a celebrare l’Eucaristia in cattedrale, con il popolo di Dio, nel Giorno del Natale del Signore, rivolgendo il suo pensiero a tutti i malati, alle persone sole, agli anziani, ai bambini e ai ragazzi

«Dopo due mesi di malattia oggi è una grazia di Dio poter rivedere i vostri volti e soprattutto poter celebrare con voi, con il mio popolo, con la mia gente, con le mie famiglie, il Santo Natale». Con queste parole il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha introdotto la solenne celebrazione eucaristica del Natale del Signore 2020, nella cattedrale di San Lorenzo, al tempo del Coronavirus. E’ stato un giorno molto particolare per l’intera comunità diocesana, segnato dal ritorno, dopo due mesi, del suo Pastore in mezzo al suo Gregge celebrando l’Eucaristia davanti al popolo di Dio. L’ultima volta che il cardinale Bassetti ha presieduto la celebrazione eucaristica in una chiesa di Perugia, prima di ammalarsi di Covid-19, è stata domenica 25 ottobre, in occasione della riapertura al culto della chiesa del Gesù di piazza Matteotti.
«Quale grande gioia è stata per me – ha commentato il cardinale prima dell’omelia – quando i medici mi hanno detto che potevo celebrare oggi, Giorno di Natale, la mia prima messa in mezzo al popolo; quale gioia rivedere il nostro sindaco, i sacerdoti della cattedrale, il coro e tutti voi che rappresentate questa Chiesa benedetta e da me tanto amata».
«Il mio pensiero, in questo giorno della venuta del Signore tra noi che ridà senso e speranza alla vita segnata da questa pandemia – ha evidenziato Bassetti a conclusione della celebrazione –, va a chi è solo, agli anziani e ai bambini. I bambini hanno sofferto tanto, perché hanno bisogno di stare insieme, hanno bisogno di comunicare, come anche i ragazzi, sperando che per loro la scuola, progressivamente, possa riprendere. Penso anche alle famiglie che hanno dei malati, e a tutti i malati in ospedale. Io, che in ospedale non ero mai stato prima se non per accertamenti di breve periodo, ho sperimentato cos’è una lunga degenza e sono particolarmente vicino a quanti si trovano oggi ricoverati per gravi malattie. Il vescovo esprime a tutti loro il suo affetto, la sua solidarietà, la sua vicinanza e non può non dire a tutti: coraggio, coraggio, attaccatevi alla mano di quel Bambino che è venuto a salvarci e ha preso su di sé le nostre fragilità. Il Natale è bello se noi ci fidiamo del Natale e fidarsi vuol dire affidarsi completamente a Colui che il Padre ci ha mandato. Soltanto questo Bambino, che è venuto a salvarci, è capace di farci gioire ancora. Questo è l’augurio che dal profondo del cuore io mi sento di esprimere a tutti voi, alla città di Perugia, alla nostra Diocesi e anche all’Italia e al mondo intero».

L’OMELIA DEL CARDINALE
“Fratelli e Sorelle, è davvero indescrivibile l’emozione con cui torno a celebrare la Santa Eucaristia nella nostra amata chiesa cattedrale, dopo i giorni drammatici del ricovero ospedaliero e poi della convalescenza.
Sono grato al Signore di poter essere ancora con voi a spezzare il pane e di vita. Ringrazio tutti per la vicinanza e la fervorosa preghiera al Signore e alla Madonna della Grazia. L’affetto e la preghiera di tanta gente, ne sono certo, mi ha aiutato tanto a vincere il male. Il Bambino Gesù, con la sua fragilità, ci insegna ad avere fiducia e a guardare al futuro sempre con speranza.
La liturgia della Parola di questo santo giorno è culminata con la proclamazione del “Prologo” del vangelo secondo Giovanni, una delle pagine del Nuovo Testamento che ci fa raggiungere le vette più elevate del pensiero cristiano, e, anzi, le vette più alte di ogni riflessione su Dio. All’umanità, che con il suo desiderio di infinito cerca qualcosa di più grande della propria limitata esistenza, l’evangelista risponde dicendo che Dio ha parlato con il Verbo, prima attraverso la creazione (perché «tutto è stato fatto per mezzo di lui»), poi per mezzo dei Profeti – come si è visto anche nella seconda lettura, tratta dalla Lettera agli Ebrei – e, infine, Dio ha liberamente deciso di farsi conoscere entrando nella nostra stessa condizione umana: la Parola di Dio ha preso la nostra carne.
Carissimi fratelli e sorelle, solo salendo così in alto, con lo stesso sguardo di un’aquila – che è tradizionalmente il simbolo dell’evangelista Giovanni – possiamo contemplare tale mistero; ma dobbiamo stare attenti: se leggiamo bene il Prologo, l’evangelista ci invita anche a tornare alla nostra esperienza umana più concreta. Infatti, che «il Logos divenne carne» non vuol dire tanto che la Parola «si è fatta uomo», ma che ha condiviso la nostra condizione umana, quella, cioè, sottoposta alle leggi del divenire e della caducità. Il Dio eterno, nel suo stato divino celeste e spirituale, ha scelto che la carne – come scrisse un autore cristiano del III secolo, Tertulliano – diventasse il luogo della salvezza: «Caro salutis est cardo”, «la carne è il cardine della salvezza» (De carnis resurrectione, 8,3: PL 2,806).
Il Verbo eterno ha preso la carne della debolezza. Quanta differenza c’è tra l’idea sbagliata, che spesso ci facciamo, di un Dio lontano, impassibile, che mai però è rappresentato in questo modo nella Scrittura, e la rivelazione del Dio di Gesù Cristo, e che in Gesù ha condiviso la nostra vita.
Fortemente provato dal Coronavirus. Non c’è bisogno, fratelli e sorelle, che io insista su questo punto. Il Signore ha permesso che anche il vostro Vescovo, come centinaia di migliaia di persone nel nostro Paese, e milioni nel mondo, venisse fortemente provato dal Coronavirus. Non c’è bisogno che spieghi che cosa sia la debolezza della nostra carne, che a volte immaginiamo inattaccabile, invincibile, e che invece mai come in questa pandemia mostra la sua fragilità.
Cristo non si è tenuto lontano da questa umanità fragile, e ha scelto questo destino, ha scelto la nostra sorte, ma per invitarci ad alzare lo sguardo: solo accogliendo con verità la nostra condizione, possiamo invocare quella grazia che il Figlio è venuto a darci: «la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17), ha scritto l’evangelista.

Ringraziamo Dio anziché lamentarci. Carissimi, «in questo tempo difficile, anziché lamentarci di quello che la pandemia ci impedisce di fare», come ci ha detto papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, ringraziamo Dio perché abbiamo potuto celebrare la memoria della nascita di quel bambino che fu «avvolto in fasce e posto in una mangiatoia» (Lc 2,7). È lì, diceva ancora il Papa, nella mangiatoia di Betlemme, che «c’è la realtà, la povertà, l’amore. Prepariamo il cuore come ha fatto Maria: libero dal male, accogliente, pronto a ospitare Dio» (Angelus, 20 dicembre 2020).
Il dito puntato. E accogliamo Gesù anche come ha fatto san Giuseppe, la cui presenza discreta e paterna mai manca accanto a Maria e al bambino. In quest’anno speciale che il Papa ha dedicato al Patrono della Chiesa universale, chiediamo a Giuseppe la sua stessa tenerezza. Quella che ha avuto per il figlio di Maria, e che – scrive il Papa – ci permette anche di «toccare ciò che è fragile in noi. Il dito puntato e il giudizio che usiamo nei confronti degli altri molto spesso sono segno dell’incapacità di accogliere dentro di noi la nostra stessa debolezza, la nostra stessa fragilità» (Francesco, Patris corde, 2).
Solo la tenerezza che un padre può avere per il proprio figlio, può farci guardare con misericordia i nostri limiti, e permetterci di essere misericordiosi e caritatevoli con gli altri. E Dio solo sa quante famiglie, quante persone, quanti poveri hanno ancora più bisogno oggi, anche in questi giorni di festa, della nostra attenzione e della nostra opera. Siate aperti di cuore, siate solidali con chi ha bisogno.

Auguri, fratelli e sorelle carissimi, perché la luce di questo Natale, così diverso dagli altri, lasciatemelo dire umanamente parlando, così drammatico, illumini la nostra mente nel cammino di questa vita terrena, e ci conceda «di partecipare alla sua gloria nel cielo» (Colletta della Messa della Notte).

Gualtiero Card. Bassetti

Spoleto – Le celebrazioni del Natale nel Duomo. Mons. Boccardo: «Rischiamo un Coronavirus dell’anima, che ci toglie a tratti i sapori e gli odori del vivere. Ricerchiamo allora nel nostro cuore quello che conta realmente, ciò che è davvero indispensabile, quei sentimenti e quei gesti che ci rendono uniti a coloro che amiamo»

La sera del 24 e il giorno del 25 dicembre 2020 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu) mons. Renato Boccardo ha celebrato la Messa della Notte e del Giorno di Natale nella Basilica Cattedrale di Spoleto.

La Messa della notte si è tenuta alle 18.00, orario insolito ma necessario in questo tempo di restrizioni adottate per evitare il diffondersi del Covid-19 e consentire così alle persone di fare rientro alle proprie case in tempo utile per la cena di famiglia. Come ha detto mons. Boccardo nell’omelia, infatti, Gesù «per venire al mondo non ha bisogno di orari da rispettare né di condizioni favorevoli, non ha neanche bisogno di una casa tutta sua; gli basta poco, pochissimo: solo un cuore disponibile che lo accolga». Per l’Arcivescovo quella della Notte è stata la prima Messa celebrata nell’altare maggiore del Duomo dopo la positività a causa del Coronavirus e il conseguente ricovero in ospedale. Un buon numero di fedeli si è riunito in Cattedrale per la Veglia; al canto del Gloria, mons. Boccardo ha scoperto il Bambinello, lo ha baciato e incensato. «Ormai da mesi anche noi e il mondo intero – ha detto il Presule nell’omelia – siamo come immersi in una oscurità che sembra inghiottire tutto e tutti, bloccare il ritmo della vita e la quotidianità delle relazioni, impedire qualsiasi programma o progetto, mentre ci richiama continuamente con duro realismo una delle dimensioni fondamentali dell’esistenza: quella fragilità e provvisorietà che vorremmo con tutte le forze allontanare dal nostro orizzonte… Ci sentiamo dei naufraghi in un mare ignoto e pericoloso, siamo impauriti, disorientati, e preoccupati, mentre si diffonde il contagio della solitudine, si disgregano le reti che tengono insieme la società, si accentuano le divisioni tra le nazioni, le culture, i continenti; e una comunicazione soggetta all’istinto e aliena dalla riflessione induce a chiudersi, genera l’illusione di poter fare da soli, di poter vivere sani in un mondo malato. Stiamo vivendo “con il fiato corto”, come se fossimo in convalescenza persistente da un Coronavirus dell’anima, che ci toglie a tratti i sapori e gli odori del vivere. Il tempo di pandemia che stiamo vivendo – ha proseguito – ci obbliga ad una maggiore attenzione, ad una frugalità non apparente, ci spoglia di quelle abitudini che da accessorie sono diventate spesso il motivo stesso della celebrazione del Natale. È l’enorme macchina di festeggiamenti con cui abbiamo infarcito – fino quasi a nasconderlo – l’evento che fonda la ragione di tutto: una nascita in un luogo povero, fatto di stenti e difficoltà; una nascita che cambia l’uomo e il mondo e il tempo. Grazie alla spoliazione di quell’opulenza che mette al centro di tutto tradizioni altre rispetto all’unica che conti veramente, possiamo tornare alla grandezza della semplicità».

Nell’omelia del Giorno l’arcivescovo Boccardo ha parlato di questo Natale come di uno tra i più difficili. «Siamo come travolti, in tutti i sensi e da tutti i punti di vista: familiare, sociale, sanitario, finanziario, materiale, e anche sul piano spirituale. Ma un Natale meno scintillante non è un Natale meno autentico. Ricerchiamo allora nel nostro cuore quello che conta realmente, ciò che è davvero indispensabile, quei sentimenti e quei gesti che ci rendono uniti a coloro che amiamo. Anche su questo tempo strano e ingestibile il Natale proietta la sua luce e ci suggerisce scelte e atteggiamenti: in un’epoca ricca di sfide e di tentazioni, sta a noi saper assumere le une e respingere le altre. Il distanziamento sociale, necessario sul piano sanitario, induce purtroppo altre prese di distanza: un distanziamento psicologico che ci allontana dall’altro, alimenta il disinteresse e anche la diffidenza. Papa Francesco nella sua recente Enciclica Fratelli tutti ci ricorda che la fraternità non conosce distanze fisiche. Il mio prossimo, anche se lontano, non cessa di essere prossimo. Le nostre mani, così sanificate dalla soluzione idro-alcolica, non siano impedite di sporcarsi nel servizio ai fratelli. Portiamo mascherine – ha detto il Presidente dei Vescovi umbri – per non respirare il virus. Ma è da tempo che portiamo maschere. Più sottili, più discrete di questi piccoli tessuti. Maschere per illuderci di essere altri. Il Tentatore ama che ci mascheriamo, che interpretiamo un personaggio che non siamo noi. Dobbiamo invece essere noi stessi, restare noi stessi. Al di là delle nostre voglie di mascherarci».

 

Terni – celebrazione della Notte di Natale. Mons. Piemontese: “Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità”.

Celebrata nella cattedrale di Terni alle ore 18 la santa messa della Notte di Natale presieduta dal vescovo Giuseppe Piemontese, che rivolto il suo augurio alla comunità diocesana, ricordando tutte le persone che ha incontrato nei giorni precedenti il Natale: i carcerati, i malati, gli anziani, i lavoratori della acciaieria, della Cosp Tecno Service e della Treofan, ricordando le loro preoccupazioni, manifestate al vescovo, per il presente e il futuro sociale, economico e le tante situazioni di crisi occupazionale e del lavoro. Nella celebrazione, il vescovo ha sottolineato la gioia e la speranza che viene dal Natale in un momento particolarmente difficile, per certi versi triste. “In questa celebrazione natalizia serale piuttosto che notturna, obbligata dalle norme antipandemia dello Stato, portiamo il peso e l’angustia delle conseguenze e dei danni, provocati dalla pandemia del Coronavirus: i morti, i malati, le sofferenze, le ristrettezze economiche in milioni di famiglie, la disoccupazione e la prospettiva di un tempo prolungato di crisi sanitaria, economica e sociale incombente.
In questo Natale nemmeno abbiamo la possibilità di incontrarci, consolarci a vicenda manifestarci sentimenti di affetto e di sostegno vicendevole: obbligati alla quarantena, alla clausura nelle case.
Gli anziani nelle abitazioni o nelle case di riposo soli e trascurati per timore dei contagi, i giovani e le ragazze, lontani dalla scuola e privati delle allegre compagnie e degli incontri e dei riti di socializzazione, i bambini costretti ulteriormente a trovare svago e rifugio nei giochi elettronici in solitudine e non nella chiassosa e gioiosa comitiva della strada, dell’oratorio, dei luoghi sportivi”.
“Noi sappiamo che Gesù è l’unico salvatore del mondo. Senza di lui, la sua accoglienza e l’adesione al suo vangelo, il mondo resterà sotto il giogo e la fragilità della precarietà e del peccato, coltiverà nel suo seno i germi della corruzione e invano potrà autorigenerarsi o autosalvarsi.
Dagli allarmi di scienziati e per comune constatazione appare sempre più evidente che il nostro mondo, creato da Dio e affidato alla custodia dell’uomo, è stato deturpato ed è malato. Se non cambiano gli stili di vita, le abitudini e l’orgogliosa convinzione di un progresso all’infinito, di una libertà senza limiti, di egoismi temerari, l’umanità resterà sempre a rischio pandemia o di trasformazioni catastrofiche. Questo allarme, con espressioni diverse, è stato lanciato dai Sommi Pontefici: San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto VI e lo stesso Papa Francesco. Il mondo esiste per tutti, perché tutti noi esseri umani nasciamo su questa terra con la stessa dignità. Le differenze di colore, religione, capacità, luogo di origine, luogo di residenza e tante altre non si possono anteporre o utilizzare per giustificare i privilegi di alcuni a scapito dei diritti di tutti. Di conseguenza, come comunità siamo tenuti a garantire che ogni persona viva con dignità e abbia opportunità adeguate al suo sviluppo integrale”.

L’OMELIA DEL VESCOVO

 

Perugia – il video messaggio augurale del cardinale Bassetti attraverso i social media ecclesiali umbri. «Il Signore manda il Natale! Un giorno di speranza, un giorno dove veramente la speranza rinasce…» e «sia per tutti noi un giorno per essere veri con Dio, con il mondo e con i nostri fratelli»

In questi giorni, il cardinale Gualtiero Bassetti ha registrato un augurio per le festività imminenti. Pensieri carichi di umanità e di speranza, che in queste ore vengono diffusi dalla redazione del settimanale La Voce e dell’emittente Umbria Radio InBlu, e messi a disposizione di tutti i media.

(Testo integrale del messaggio)

Fra l’8 e il 9 novembre ero giunto agli estremi e pensavo proprio di dover consegnare la mia anima al Signore. In momenti come quello, ci vengono in mente tutte le occasioni per fare il bene che abbiamo perduto durante la vita, perché i peccati più gravi sono quelli di omissione. Mentre pensavo a queste cose e pensavo che ormai fossero gli ultimi istanti della mia vita, ho sentito dentro di me una voce, una energia che mi diceva: “coraggio, coraggio, coraggio”. E mi sembrava che non fosse il frutto del mio pensiero, né della mia fantasia. Allora ho detto: abbandoniamoci a questo richiamo, e un po’ alla volta ho superato quella crisi estrema. Certamente era una grazia, un forte aiuto del Signore.

Morire in solitudine. Devo farvi un’altra confidenza. Credetemi: la cosa più terribile di quella malattia è che si muore da soli. L’avevo sentito dire tante volte ma esistenzialmente non l’avevo mai sperimentato prima. Morire da soli è terribile. Senza uno sguardo, senza un sorriso, senza qualcuno che ti accarezza e ti stringe le mani. Morire in solitudine. Davvero devo dire che Dio Padre e il suo Figlio benedetto hanno avuto misericordia di me e soprattutto la Madonna delle Grazie e la Madonna del Conforto di Arezzo, che ho invocato tante volte, mi hanno confortato.

Riportare a casa l’uomo. Pensando e ripensando al Natale, sono certo che il buon Dio aveva già in mente tutto il piano della salvezza e sapeva bene dove sarebbe arrivato, quando ha cacciato Adamo ed Eva dal paradiso terrestre. Mi sembra di capire che deve aver sussurrato ai loro orecchi “non abbiate paura, perché un giorno io vi ritroverò e vi riporterò a casa”. In fondo, tutta l’attesa, tutta la speranza che noi troviamo nell’Antico Testamento e i profeti sono parte di questo cammino meraviglioso del buon Dio per riportare a casa l’uomo. E questo, mi interessa sottolinearlo, è il Natale.

Si accende la speranza. Voglio dire qualche parola di speranza di fronte al Covid e alla situazione che noi stiamo vivendo. Io vedo e avvicino tante persone che mi dicono “padre, io non ce la faccio più”, “mi dia una mano e non soltanto una mano materiale”, “mi dia una consolazione”. Uno addirittura m’ha detto “io sono in crisi in questo momento con la fede: mi parli di Dio”. E il Signore manda il Natale! Un giorno di speranza, un giorno dove veramente la speranza rinasce, per potere guardare sé stessi e per potere guardare gli altri, un giorno per essere veri con Dio, con sé stessi e con il mondo. Perché non c’è niente umanamente parlando – di più semplice e sconcertante di un bambino che nasce in una grotta per salvare l’umanità. Lì si abbassa veramente ogni nostro orgoglio, ogni nostro problema viene ridimensionato e si accende la speranza.

Operatori di giustizia e di pace. Il Natale sia per tutti noi un giorno per essere veri con Dio e anche veri con il mondo, veri con i nostri fratelli. Un giorno per adorare Dio che si è fatto carne, un giorno perché tutti coloro che lavorano e che si impegnano per gli altri siano operatori di giustizia e di pace. È questo che è venuto a portare Gesù sulla terra: la giustizia di Dio e la santità della pace per gli uomini che egli ama. Un giorno per coloro che vogliono cambiare, dimenticando sé stessi e accostandosi con tanta delicatezza agli altri. Ecco, fratelli e sorelle, possa essere questo Natale un giorno per coloro che, con il loro amore, fanno fiorire il deserto.

I tanti deserti. Ho paragonato la malattia del Covid proprio a un deserto, perché ti annulla tutte le energie vitali ed è difficile ricostruire, anche fisicamente, la propria vita. Quindi ci vuole coraggio. Ma non c’è soltanto il deserto della malattia. Qui ci sono tanti deserti: chi è senza lavoro, chi economicamente non ce la fa più, quelle file che abbiamo visto anche a Milano, giornate intere per un pezzo di pane e qualcosa da mangiare. Sono i nostri fratelli. Che sia questo Natale un momento che veramente fa rifiorire il mondo. Un momento per restringere gli spazi della morte, che sono tanti in questa società, e per orientarci agli spazi verdi dell’eternità e dell’amore di Dio, dell’incontro con Lui. Un giorno per chi è disperato. Tante volte mi sono trovato a dire: guarda che Dio non si è stancato di te, non avere paura, Dio non si è stancato di te, né di nessuno. Dio vuole aprire un solco in questi nostri deserti interiori, per gettarci il seme della speranza.

Coraggio! Dio non occupa i nostri spazi. Dio si accontenta di una piccola grotta per poterci mandare la sua luce. Il Dio incarnato non è invadente: è un bambino. A tutti coloro che in questo momento soffrono, e mi unisco alla loro sofferenza, a tutti loro voglio dire: coraggio! C’è qualcuno che vi sta vicino, c’è qualcuno che viene per voi. La speranza non è qualche cosa che ci porta all’illusione per superare i momenti più tristi. La speranza è un dono di Dio, è una certezza: che tutte le promesse di Dio si realizzeranno. Auguro tutti un Natale buono, perché sarà e dovrà essere un Natale di speranza.

Gualtiero Card. Bassetti

Perugia – il cardinale Gualtiero Bassetti celebrerà la Messa del Giorno di Natale in cattedrale, la prima con il popolo di Dio dopo la malattia. Il calendario delle celebrazioni natalizie in San Lorenzo

«Il nostro Pastore Gualtiero celebrerà l’Eucaristia, nella sua cattedrale, il giorno di Natale. E’ un immenso dono del Signore alla nostra comunità diocesana». Ad annunciarlo è il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, sottolineando che «il cardinale Bassetti sta pian piano riacquistando le forze dopo essere stato messo a dura prova dal Coronavirus». Il 25 dicembre il cardinale presiederà la celebrazione eucaristica delle ore 11.00, all’altare maggiore della cattedrale, la prima con il popolo di Dio dopo il contagio da Covid-19, due mesi esatti dall’ultima celebrata a Perugia, in occasione della riapertura al culto della chiesa del Gesù (domenica 25 ottobre). Il presule presiederà anche le celebrazioni eucaristiche con il Canto del Te Deum (31 dicembre, ore 18.00) e dell’Epifania del Signore (6 gennaio, ore 11.00). Mentre il vescovo ausiliare mons. Salvi presiederà la S. Messa della “Notte”, alle ore 20, del 24 dicembre, e del Canto del Veni Cretor (1 gennaio, ore 18.00).

Di seguito il calendario delle celebrazioni eucaristiche nella cattedrale di San Lorenzo del periodo natalizio, al tempo del Covid-19, tra il 24 dicembre e il 6 gennaio, programmate nel rispetto delle norme sanitarie vigenti, tenendo conto del “coprifuoco”.

Solennità del Natale del Signore
Giovedì 24 dicembre: S. Messa della “Vigilia”, ore 18.00; S. Messa della “Notte”, ore 20.00.
Venerdì 25 dicembre: S. Messa dell’“Aurora”, ore 9,30; S. Messe del “Giorno”, ore 11.00 e ore 18,00.

Solennità di Santo Stefano
Sabato 26 dicembre: S. Messa, ore 11.00.

Solennità della Santa Famiglia di Nazareth
Sabato 26 dicembre: S. Messa, ore 18.
Domenica 27 dicembre: S. Messe, ore 11.00 e ore 18.

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio
Giovedì 31 dicembre: S. Messa con il Canto del Te Deum di ringraziamento, ore 18.00;

Venerdì 1 gennaio: S. Messa del “Giorno”, ore 11.00; S. Messa con il Canto del Veni Creator, ore 18;

Solennità dell’Epifania del Signore
Martedì 5 gennaio: S. Messa della “Vigilia”, ore 18.00;
Mercoledì 6 gennaio: S. Messe del “Giorno”, ore 11.00 e ore 18.00.