Città di Castello – la festa della Presentazione del Signore nel santuario cittadino della Madonna delle Grazie

Come tradizione, il prossimo martedì 2 febbraio la Chiesa che è in Città di Castello tornerà a celebrare solennemente la festa della Presentazione del Signore nel santuario cittadino della Madonna delle Grazie. Quest’anno il programma sarà necessariamente ridotto per due motivi: le norme richieste dal protocollo per il contenimento della pandemia e i lavori che stanno interessando la cappella all’interno della quale è conservata la venerata immagine della patrona della città e della diocesi.

Il santuario di Santa Maria delle Grazie è il più antico santuario mariano altotiberino e, insieme a quello di Canoscio, il più noto e frequentato, anche da pellegrini provenienti da fuori diocesi e dall’estero.
Nel 1783 il comune di Città di Castello, che fin dal XV secolo gestiva la devozione insieme ai frati Servi di Maria e a una confraternita laicale, proclamò la Madonna delle Grazie patrona della città.
Insieme alla basilica cattedrale, nei secoli il santuario è stato il luogo della preghiera pubblica di Città di Castello: qui i cittadini, convocati ora dall’autorità religiosa ora da quella civile, si radunavano per invocare la pioggia o il bel tempo, la fine della guerra o della pestilenza, il conforto divino in occasione dei terremoti che nei secoli hanno funestato l’Alta Valle del Tevere. Qui, ogni giorni, i Castellani di oggi, così come i loro avi, continuano a pregare personalmente o comunitariamente, portando ai piedi della vergine Maria gioie e speranze, dolori e angosce. Lo si è visto anche in questo periodo di pandemia, fin dal mese di marzo dello scorso anno.
La chiesa ha assunto il suo aspetto attuale a seguito dei lavori di ricostruzione terminati negli anni ’70 del XIX secolo e seguiti al disastroso terremoto del 1789, che lesionò gravemente l’edificio. La costruzione, però, è assai più antica, dal momento che la prima pietra fu posta il 5 febbraio 1306 ad opera dei frati Servi di santa Maria, l’Ordine religioso che ha costruito sia la chiesa che il retrostante convento. I frati vi sono rimasti fino alla soppressione delle case religiose da parte del governo nel 1860 e in questo lungo periodo di tempo il loro convento ha rappresentato uno dei maggiori punti di riferimento religioso e culturale della città. Basti pensare, ad esempio, alle opere d’arte prodotte per la chiesa (le pitture di Raffaellino dal Colle oggi in Pinacoteca Comunale, ma anche le tele di Ventura Borghesi o gli affreschi di Bernardino Gagliardi ancora oggi nella chiesa), ma anche alla presenza di molti frati colti, tra i quali spiccano alcuni confessori di santa Veronica Giuliani. Nel XVIII secolo, poi, si diffuse largamente la devozione per il beato servitano Pellegrino Laziosi, canonizzato proprio grazie ad alcuni miracoli a lui attribuiti e avvenuti a Città di Castello (i relativi processi si conservano nell’archivio storico diocesano).
A motivo di questo stretto legame con la città, nel 1951 i frati, su invito del vescovo Filippo Maria Cipriani, riaprirono il loro convento, rimanendovi fino al 1962. Dal 1° gennaio 1963 la chiesa è stata eretta a parrocchia e affidata al clero diocesano, che attualmente si occupa dell’attività pastorale sia parrocchiale che di santuario.

La venerata immagine
Nel 1456 Giovanni di Piamonte, allievo di Piero della Francesca (Sansepolcro, 1412 circa-1492), dipinse l’immagine su tavola raffigurante la Vergine Maria con il Bambino fra i santi Florido e Filippo Benizi e angeli. Si tratta dell’unica opera firmata e datata da questo autore, che secondo recenti studi sarebbe di origine locale (Piamonte pare essere il nome del padre), probabilmente della zona attorno a Montedoglio. Con il maestro, Giovanni collaborò nel celebre ciclo degli affreschi con le Storie della Vera Croce nella chiesa di San Francesco di Arezzo e la sua mano è ben riconoscibile in alcune scene, tra le quali quella con il trasporto della croce.

La tavola di Città di Castello riscuote da subito l’attenzione dei devoti, al punto che nel 1480 il Comune decide di mettere a disposizione di un privato il terreno per costruire una cappella per ospitarla, nella piazza adiacente alla chiesa dei Servi di Maria. Nel 1518 si formò una Confraternita per la gestione del culto, che progressivamente si diffusa ampiamente in città, tra tutti gli strati sociali. Nel 1783 il Comune di Città di Castello proclamò la Madonna delle Grazie patrona della città. Fino al 1910 la sua immagine veniva scoperta alla venerazione in via ordinaria ogni venticinque anni; nel 1910 il nuovo, vescovo, il beato Carlo Liviero, ne dispose lo scoprimento due volte l’anno, il 2 febbraio e il 26 agosto; oggi, oltre che nelle principali festività mariane, viene scoperta il giorno 26 di ogni mese (ma questa prassi è momentaneamente sospesa a motivo dei lavori di consolidamento e restauro della cappella laterale). La devozione alla Madonna delle Grazie è ancora molto viva, come dimostrano gli ex voto che continuano a giungere, spasso in forma anonima, al santuario e i numerosi frequentatori, calcolati in circa 20.000 all’anno.

I lavori
Nello scorso mese di luglio è stato avviato il cantiere per i lavori di miglioramento sismico, adeguamento impiantistico e restauro della grande cappella laterale, che costituisce il cuore del santuario. Si tratta dell’opera più imponente dopo il rifacimento degli anni 1933-1935, sotto la direzione di Elia Volpi, e i restauri del 1976-1978, diretti da Nemo Sarteanesi. Il progetto è stato redatto dall’arch. Francesco Rosi e dall’ing. Alessandro Petrani e l’intera operazione è portata avanti dal Consiglio Parrocchiale per gli Affari Economici e dalla Diocesi di Città di Castello.

In questi mesi è terminata la fase di miglioramento sismico, con il consolidamento della volta e l’inserimento di appositi tiranti nella parte sovrastante la volta stessa. In tal modo si è superata la situazione di criticità che era stata messa in evidenza da una crepa apertasi in prossimità dell’angolo di sud-ovest. Attualmente i lavori stanno interessando il pavimento, con la bonifica e la realizzazione di sistemi di areazione per eliminare l’umidità; successivamente sarà installato un impianto di riscaldamento che, grazie all’installazione di una vetrata a chiusura dell’arcone di collegamento con la chiesa, ottimizzerà le condizioni climatiche e favorirà l’utilizzo della cappella come luogo della celebrazione feriale della Messa e della preghiera personale e comunitaria anche durante i mesi invernali.

L’ultima fase riguarderà il restauro di alcuni interessanti elementi artistici. Il primo è l’ingresso della cappella che si apre su Piazza Servi di Maria, decorato da un elegante e solenne portale cinquecentesco in pietra arenaria, che attualmente versa in condizioni di degrado. Il secondo è il ciclo di affreschi, della prima metà del secolo XVII (ante 1643), realizzato dal pittore tifernate Bernardino Gagliardi (1609-1660). Si tratta di un interessante ciclo pittorico-narrativo della vita della vergine Maria secondo la narrazione dei vangeli apocrifi, dall’annuncio della nascita della figlia a Gioacchino fino all’annunciazione della nascita di Gesù a Maria, per un totale di sette scene disposte sul lato sinistro e ai lati dell’altare; sul fianco destro, ai lati di ciascuna finestra, le pitture proseguono con la raffigurazione di santi, dottori della Chiesa e teologi che hanno sviluppato la mariologia, raffigurati con libri che contengono citazioni dai loro scritti. L’intero ciclo versa in cattivo stato di conservazione, anche a motivo di antiche infiltrazioni d’acqua.

I lavori sono stati iniziati grazie a un finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana (derivante dai fondi dell’8×1000), che copre parte della spesa necessaria. Per la parte rimanente – in particolare per gli interventi di restauro del portale laterale e degli affreschi – la Diocesi di Città di Castello e la parrocchia fanno appello alla cittadinanza, affinché voglia sostenere un importante lavoro di recupero di uno dei luoghi identitari della città. La Madonna delle Grazie, infatti, è patrona di Città di Castello e della diocesi e fin dal momento in cui la venerata immagine fu dipinta il legame tra questa devozione e la città intera è espresso dalla presenza della raffigurazione del profilo cittadino sostenuto da un angelo e indicato dalla vergine Maria e da san Florido a Gesù affinché Benedica Città di Castello e i suoi abitanti.

In un momento come quello attuale, in cui si avverte un diffuso bisogno di ripresa della vita sociale, recuperare uno dei principali luoghi-simbolo della città significa riappropriarsi di una storia e riproporre i valori di solidarietà, inclusione e coesione sociale che essa esprime ormai da 565 anni.

Il programma del 2 febbraio 2021 nel Santuario della Madonna delle Grazie:
ore 8.15: Lodi mattutine;
ore 8.30: S. Messa;
ore 18: S. Messa presieduta da S.E. Mons. Domenico Cancian, vescovo diocesano; le persone di vita consacrata della diocesi (ordini, congregazioni, istituti secolari) rinnoveranno i voti in occasione della XXV giornata della vita consacrata.

Essendo impossibile lo scoprimento della venerata immagine, sarà esposta una copia fotografica stampata su legno realizzata dalla Bottega Tifernate.

Perugia – celebrazione eucaristica in cattedrale a conclusione della solennità del Santo patrono Costanzo.

Con la celebrazione eucaristica in cattedrale, la sera del 29 gennaio, conclusa la solennità del Santo patrono Costanzo, vescovo e martire, fondatore della comunità cristiana perugina.
Il cardinale Gualtiero Bassetti nell’omelia: «Nel nome di san Costanzo, l’invito che mi sento di fare alla città durante questa pandemia è semplice ma forte: non bisogna mai perdere la Speranza…». «L’incremento della diffusione del virus a Perugia e nella zona del Trasimeno, non può non suscitare inquietudine e anche molti interrogativi».
L’OMELIA INTEGRALE
Carissimi fratelli e sorelle,
ieri sera poco dopo la celebrazione dei primi vespri nella Chiesa di san Costanzo mi sono tornate alla mente le parole del profeta Isaia quando dice: “sentinella quanto resta della notte? (Is 21, 11). In Chiesa avevo di fronte a me solo poche persone a causa della pandemia e ho ripensato a quando, durante il primo confinamento, per molte domeniche ho celebrato davanti a una telecamera. È stata un’esperienza molto dolorosa. Come pastore sento moltissimo la mancanza del popolo di Dio: uomini, donne e bambini che non sono certamente un pubblico di spettatori ma sono invece un popolo sacerdotale, profetico e regale. Come ci insegna la Lumen Gentium è la stessa Chiesa universale che si presenta come “un popolo adunato dall’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Perciò anche in questo difficile periodo segnato dalla notte della pandemia non possiamo dimenticare che siamo un unico popolo che vive, gioisce e soffre insieme.
In nome dell’unico Signore della Storia siamo anche chiamati insieme a fare sacrifici e rinunce. Quest’anno la solennità del santo patrono Costanzo la festeggeremo senza luminarie ma con gesti autentici di carità e soprattutto con l’intimità della preghiera: chiediamo al nostro patrono l’intercessione per tutte le difficoltà che stiamo attraversando e per tutti i nostri cari che sono morti a causa dell’epidemia (nella nostra piccola umbria ci avviciniamo a 800 decessi). Stiamo attraversando indubbiamente un lungo periodo di sofferenza e di smarrimento perché nessuno è in grado di dirci a che punto siamo della notte. Ma sono altrettanto sicuro che se conserviamo salda la nostra fede “l’alba arriverà”. E quell’alba sarà una risurrezione.

Non casualmente, nella prima lettura di oggi, Isaia afferma che il Signore lo “ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri” e “a consolare gli afflitti”. Mai come in questo momento le parole del profeta sono straordinariamente attuali per la città di Perugia.
I dati della pandemia sulla nostra città, infatti, non possono non destare preoccupazione e timore. L’incremento della diffusione del virus a Perugia e nella zona del Trasimeno, in maggiore misura rispetto alle altre zone della regione, non può non suscitare inquietudine e anche molti interrogativi sul nostro stile di vita. Come arcivescovo di questa diocesi mi sento di dover esortare tutti i fedeli ad esercitare la virtù cardinale della prudenza.

Una virtù importantissima per la condotta morale di ogni cristiano che non significa, come alcuni pensano, che l’uomo prudente è un uomo poco coraggioso o addirittura un vile. La prudenza, all’opposto, invita il cristiano a discernere, in ogni circostanza della vita, qual è il vero bene alla luce della sapienza di Dio. La prudenza esorta il cristiano a comportarsi in modo realistico senza farsi trascinare dalle passioni e a difendere, sempre, i più deboli.

Cari fratelli e sorelle occorre salvaguardare i nostri anziani, i nostri malati, i nostri disabili.
Ma occorre difendere anche le nostre famiglie, le nostre aziende e le nostre comunità dalla crisi economica causata dalla pandemia. Non possiamo permettere che si affermi una mentalità individualista nei confronti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle più fragili. E al tempo stesso non possiamo abbandonare tutti coloro che stanno soffrendo a causa della crisi economica.
Per questi motivi siamo chiamati ad annunziare la buona novella con ancora più amore e soprattutto con più creatività.

Ricordandoci, come ci ammonisce il Vangelo di oggi, di amarci gli uni gli altri come Gesù ha amato noi e, soprattutto, che è stato il Signore a sceglierci e non c’è nessun particolare merito nostro nell’avere aderito a Cristo. Oggi siamo chiamati a farci testimoni dell’amore di Dio come ha fatto il nostro Santo Patrono Costanzo che, con la predicazione e il martirio, portò i nostri padri alla conoscenza di Cristo e fece nascere, fecondata dal suo sangue, questa nostra Chiesa, che ancor oggi continua ad annunciare Cristo e a proclamare le meraviglie di Dio.

Costanzo fu autentico annunciatore del Vangelo, portando il lieto annuncio della salvezza, fasciando le piaghe dei cuori spezzati. Dal suo martirio e dai frutti della sua vita santa, emerge la vera identità della città di Perugia fondata sulla testimonianza dei nostri santi, perché le nostre radici sono profondamente cristiane. Perugia è stata nei secoli una città operosa, solidale e accogliente che, tutti assieme, dobbiamo amare, valorizzare e consegnare alle future generazioni. Questa città ha sempre dato ampia importanza al rispetto tra i popoli e alla solidarietà. Perugia è sempre stata, sin dalle sue origini, uno straordinario crocevia di esperienze umane e di storie diverse.

Nel nome di san Costanzo, l’invito che mi sento di fare alla città durante questa pandemia è semplice ma forte: non bisogna mai perdere la Speranza. Anche se oggi non sappiamo rispondere alla domanda che abbiamo rivolto alla sentinella sulla durata della notte, noi sappiamo certamente che la luce risorgerà e quella luce è Cristo.

In questo periodo dobbiamo convivere ancora con un nemico: il virus. Non è sufficiente. Dobbiamo ribaltare anche il nostro modo di pensare. Occorre un nuovo stile di vita che domani ci permetterà di mettere al centro della nostra esistenza una fede più limpida e, al tempo stesso, la testimonianza di un amore fraterno più solido e puro.

Gualtiero Card. Bassetti

Perugia: Celebrati i Primi Vespri della vigilia della festa del Santo Patrono Costanzo presieduti dal cardinale Gualtiero Bassetti.

«E’ giusto rispettare ogni precauzione per contrastare la diffusione del virus e non creare particolari affollamenti. Benché la comunità ecclesiale e la municipalità cittadina lo onorino anche quest’anno con una serie di iniziative, ci troviamo in pochi, fisicamente, a ricordare stasera il Patrono presso il luogo della sua sepoltura, dove da molti secoli sono soliti recarsi i perugini per pregare e far memoria della loro lunga storia». E’ quanto ha evidenziato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’omelia dei Primi Vespri della vigilia della festa di san Costanzo, vescovo e martire, Patrono di Perugia e dell’Archidiocesi, celebrati insieme al vescovo ausiliare mons. Marco Salvi e ai sacerdoti dell’Unità pastorale della Parrocchia di San Costanzo, giovedì sera 28 gennaio, nella basilica intitolata al Santo. Pochi i fedeli presenti nel rispetto delle norme sanitarie per prevenire il contagio da Covid-19. L’Amministrazione comunale era rappresentata dal sindaco Andrea Romizi e dall’assessore comunale alle Politiche sociali Edi Cicchi.

«Con la celebrazione del Vespro ricordiamo a san Costanzo le necessità della nostra comunità – ha proseguito il cardinale Bassetti –, che sono, da sempre, quelle di una crescita nella fede e nella forza che viene dal Vangelo. La Parola del Signore ci viene incontro attraverso la voce del salmista: “Nell’angoscia ho gridato al Signore; mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo”. E’ la testimonianza dell’uomo di fede che, dinanzi all’impotenza delle azioni umane, si rivolge direttamente a Dio per chiedere aiuto… Le parole di speranza che ci giungono dalla Sacra Scrittura parlano di un continuo intervento di Dio nella storia umana: presenza di amore e di salvezza».

«La pandemia, in questo ultimo anno – ha commentato il presule –, ha reso più complicato essere vicino alla gente, portare una parola di amicizia e di perdono. La chiusura delle chiese prima, e le severe norme di contenimento poi, hanno visto i luoghi di pietà svuotarsi pian piano; un po’ per paura, un po’ per la difficoltà degli spostamenti. Nonostante ciò, la nostra vita di fede e di pietà non è venuta meno. Si è pregato nelle famiglie o grazie ai collegamenti via internet. Le chiusure non hanno impedito del tutto la possibilità di esprimere un minimo di vita religiosa collettiva, ma certo l’hanno condizionata molto. Non è venuto meno nemmeno lo spirito di carità. Anzi, i mesi scorsi hanno visto l’impegno della nostra Caritas diocesana aumentare notevolmente, come sono aumentati gli sforzi per venire incontro alle tante esigenze di alcune fasce della popolazione, sempre più povere e sfinite».

Il cardinale Bassetti, avviandosi alla conclusione, ha esortato i fedeli – come ha scritto nella lettera alla comunità diocesana in occasione della festa del Santo patrono Costanzo – «a riprendere in mano il Vangelo, a sostenere come Maria di Betania ai piedi del Maestro, per ascoltare le sue parole, per meditarle nel cuore, o semplicemente guardarle con gli occhi della fede, nella gioiosa consapevolezza che Lui ci precede sempre con lo sguardo e l’amore».

Perugia: “L’alba arriverà”. La lettera del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti alla comunità diocesana in occasione della festa del Santo Patrono Costanzo. Il presule: «Festeggeremo senza “luminarie” né fasti esteriori, ma con gesti silenziosi di carità e con l’intimità della preghiera».

Ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi, alle consacrate, a tutti i fedeli di Cristo dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve

Quando vi scrissi l’ultima lettera, il 30 ottobre, giorno del mio ricovero in Ospedale, avevo chiara l’intuizione che quella sarebbe potuta essere la mia ultima comunicazione con voi, su questa terra.

Vi ricordo soltanto un passaggio: «Vorrei che in questo periodo di così grave sofferenza non sentissimo la croce come un peso insopportabile ma come una croce gloriosa. Perché la Sua dolce presenza e la Sua carezza nell’Eucarestia fanno sì che le braccia della croce diventino due ali che ci portano a Gesù» (era l’immagine di don Tonino Bello).

Quasi avvertivo che, umanamente parlando, difficilmente avrei superato la prova… Come ho avuto modo di comunicarvi, ciò che mi pesava di più, se non ce l’avessi fatta, erano quelle occasioni di fare del bene che, in 78 anni di vita, non sempre avevo saputo accogliere.

Non vi nego che, per continuare la mia “partita” con voi, ho chiesto al Signore i tempi supplementari…

Con le preghiere di tante persone e comunità, e non solo della nostra Chiesa, delle quali mi sento davvero debitore, il Signore ha accolto la mia supplica.

Cari amici, stiamo attraversando un lungo periodo di sofferenza e smarrimento, che sembra non avere termine. Nessuno è in grado di dirci a che punto siamo della notte, anche se abbiamo salda la speranza che l’alba arriverà.

Vedo famiglie sempre più preoccupate e inquiete: «Cosa darò da mangiare ai miei figli?». Vedo ragazzi e giovani che si stanno caricando, inconsapevolmente, il peso sociale più gravoso di questa pandemia: questi giovani stanno rinunciando alla loro giovinezza, alla loro spensieratezza, al loro dinamismo.

Di fronte a tutto questo, cosa ha da dirvi o da darvi il vostro Vescovo?

Vi invito tutti a prendere in mano il Vangelo, a sostare come Maria di Betania ai piedi del Maestro, per ascoltare le sue parole, per meditarle nel cuore, o semplicemente guardarle con gli occhi della fede, nella gioiosa consapevolezza che Lui ci precede sempre con lo sguardo e l’amore.

Se nella meditazione prevale la ricerca amorosa della verità, nella contemplazione si ha il godimento amoroso della verità trovata. Se, da una parte, raccontiamo al Padre quello che Gesù ha fatto per noi, dall’altra raccontiamo a noi stessi i suoi gesti e le sue parole, per poter camminare sulle sue orme.

Questo è ciò che hanno fatto anche i nostri Patroni, in particolare san Costanzo, padre e in qualche modo fondatore spirituale della nostra Archidiocesi, per la quale ha dato la vita: una vita già spesa nella preghiera e nell’impegno pastorale, nell’ascolto e nella sequela della Parola. Quest’anno è così che lo festeggeremo, senza “luminarie” né fasti esteriori, ma con gesti silenziosi di carità e con l’intimità della preghiera, chiedendogli una particolare forza di intercessione per le difficoltà che stiamo attraversando.

Ricordo quando, 53 anni fa, ero vicario cooperatore nella bellissima chiesa abbaziale di San Salvi a Firenze, e una anziana signora, senza misurare il tempo, dopo la Messa si immergeva nella preghiera. In parrocchia non c’era povero o malato che non la conoscesse. Mentre era assorta il suo volto sembrava trasfigurarsi.

Quando Mosè scese dal monte Sinai, dopo aver conversato con Dio, lui non lo sapeva, ma la sua pelle era diventata raggiante. Ogni discepolo che, in modo autentico, sale il monte della contemplazione della Parola e dell’Eucarestia, ne discende luminoso, anche senza saperlo: ritorna felice tra la gente, ritorna impegnato ad essere riflesso di questa presenza di amore con l’accoglienza e il servizio.

Ecco allora il mio augurio, miei cari amici: diventate raggianti di Parola di Dio e di Eucarestia!

Gualtiero Card. Bassetti

Perugia – festa di San Costanzo, patrono della città e dell’Archidiocesi, al tempo del Covid-19. Celebrazioni religiose ridotte all’essenziale nel rispetto delle norme sanitarie, ma non i «segni di speranza» compiuti da credenti e uomini di buona volontà

Da sempre vissuta come evento che rinsalda i legami storico-sociali e culturali della Perugia civile e religiosa, la festa del Santo patrono Costanzo, vescovo e martire del II secondo, fondatore della comunità cristiana perugina, quest’anno, a seguito della pandemia, si svolgerà, sempre il 28 e il 29 gennaio, ma in forma ridotta. Non si terranno la tradizionale e suggestiva processione della “luminaria” per le vie della città e alcune iniziative sociali e culturali.

Il triduo “Nel deserto, segno di speranza”. A precedere la festa sarà il triduo di preparazione (25-26-27 gennaio, ore 17) nella basilica di San Costanzo dedicato ad un tema molto attuale: “Nel deserto, segni di speranza”. «Con il “deserto” – spiega mons. Pietro Ortica, parroco di San Costanzo – identifichiamo la precaria situazione che stiamo vivendo a livello sanitario, sociale, economico…, ma anche interiore e spirituale, dovuta alle necessarie rinunce del momento. Per affrontarle al meglio siamo invitati anche a riflettere e a pregare durante i tre pomeriggi di adorazione eucaristica meditata che ci accompagnano nel cammino di preparazione alla festa in onore del nostro Patrono, esempio di atroci sofferenze fino alla rinuncia della propria vita per la fede in Cristo».

Segni concreti di speranza. Le meditazioni saranno incentrare sul tema scelto e tenute da tre giovani sacerdoti diocesani: don Antonio Paoletti, don Alessandro Scarda e don Alessio Fifi. «Ci aiuteranno a riflettere soprattutto sui segni di speranza – sottolinea don Pietro – che cogliamo in ospedale o in casa attraverso l’attenzione dell’operatore sanitario nel curare con amore e professionalità il malato, anche nell’accarezzarlo e nel tendergli la mano con il sorriso in modo da incoraggiarlo, da non farlo sentire solo nell’affrontare la prova della malattia. Segni di speranza li cogliamo anche nel sociale – aggiunge il parroco di San Costanzo –, quando tante famiglie non riescono più a pagare l’affitto, le utenze domestiche, le spese scolastiche dei figli, le cure mediche non previste dal Servizio sanitario nazionale. In questi casi c’è la Caritas e i suoi operatori e volontari che animano diverse opere e progetti portati avanti grazie alla generosità-solidarietà di tanti benefattori. Basti pensare che solo nella nostra comunità parrocchiale sono stati raccolti più di diecimila euro a sostegno della recente campagna Caritas “Adotta un affitto”. San Costanzo – conclude don Pietro – possa aprirci ancor più il cuore a questi segni di speranza per la nostra umanità e per la crescita della nostra fede».

I Primi Vespri con i doni-simbolo della città al Patrono. Giovedì 28 gennaio (alle ore 18), nella basilica di San Costanzo, si terrà la celebrazione dei Primi Vespri presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti alla presenza del sindaco Andrea Romizi e di una delegazione di non più di trenta persone in rappresentanza delle Istituzioni civili e religiose di Perugia, a seguito delle norme sanitarie per il contenimento del contagio da Covid-19. Durante la celebrazione, davanti all’urna con le reliquie del Santo, sarà rinnovata l’offerta dei doni-simbolo dell’antico legame della città al suo Patrono: il cero, da parte del sindaco, segno della disponibilità degli amministratori pubblici ad essere attenti ai bisogni dei più deboli e indifesi e a promuovere con onestà e saggezza ciò che giova al bene comune; la corona d’alloro, da parte della polizia municipale, segno di devozione e testimonianza di dedizione al bene comune attraverso l’azione di ordine pubblico, che mira alla pace e alla concordia; il torcolo (dolce tipico della festa a ricordo del martirio di Costanzo), da parte degli artigiani, segno di quanti si impegnano ogni giorno a migliorare le condizioni dei lavoratori e per tutti coloro che, con il loro lavoro, contribuiscono alla prosperità della comunità; del vinsanto, da parte di due giovani sposi, perché vivendo la fedeltà, la fecondità e l’attenzione ai piccoli e ai poveri, siano segno dell’amore infinito che lega Dio al suo popolo, e la famiglia sia fondamento del vivere sociale; l’incenso, da parte del Consiglio pastorale parrocchiale di San Costanzo, segno della forza della fede nell’annuncio del Vangelo sull’esempio del martire perché conceda alla Chiesa diocesana di crescere nella santità.

Il programma del giorno della festa del Patrono. Venerdì 29 gennaio, giorno della festa liturgica del vescovo e martire Costanzo, si terranno tre celebrazioni eucaristiche nella basilica intitolata al Patrono (ore 8, 10 e 11.30), dove saranno ammessi ogni volta non più di 30 fedeli e al termine il luogo di culto resterà chiuso per permettere la necessaria sanificazione. La celebrazione eucaristica delle 11.30 sarà presieduta dal vescovo ausiliare mons. Marco Salvi. Nel pomeriggio (ore 15-18) ci sarà la possibilità di un percorso guidato per un atto di devozione alle reliquie del Santo esposte sull’altare. Le celebrazioni in onore di san Costanzo culmineranno nella cattedrale di San Lorenzo, nel tardo pomeriggio (ore 18), con la solenne celebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Bassetti alla presenza dei rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose del capoluogo umbro (in cattedrale possono accedere 300 fedeli).

Perugia: l’omelia del cardinale Gualtiero Bassetti pronunciata alla celebrazione eucaristica della festa liturgica del Santo patrono dei giornalisti, nella cattedrale di San Lorenzo

Cari fratelli e sorelle,
cari giornalisti,

oggi celebriamo l’Eucaristia nel giorno della festa liturgica di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti e degli operatori dei media. A causa della pandemia siamo stati costretti ad annullare l’annuale incontro con la stampa. Un incontro che, però, oggi rinnoviamo in una forma diversa, forse meno conviviale, ma sicuramente più profonda: stringendoci in preghiera attorno alla figura di un grande santo del Cinquecento che seppe fare del dialogo un eccezionale strumento di testimonianza cristiana e di evangelizzazione.

Alla sfrontatezza della polemica, san Francesco di Sales seppe contrapporre la mitezza del confronto. Alla battuta tagliente seppe sostituire la parola amorevole. Attraverso un dialogo incessante e una dolcezza infinita, che non barattò mai con l’annuncio del Cristo, riuscì a raggiungere le persone più lontane dalla Chiesa. E con l’uso dei manifesti, infine, seppe parlare a tutti. Ecco perché, dal 1923, san Francesco di Sales è conosciuto e venerato come il patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità servendosi dei mezzi di comunicazione.

Mai come oggi il tema della verità è al centro della discussione pubblica e dell’attenzione pastorale. Secondo alcuni studiosi l’epoca attuale è addirittura caratterizzata dal fenomeno della post-verità. Una verità, cioè, che non corrisponde più con la realtà fattuale delle cose ma è legata, invece, a sensazioni ed emozioni: le proprie convinzioni personali, oggi, sembrano avere più importanza del reale svolgimento dei fatti. Un racconto ben fatto, ben costruito, e che va incontro ai gusti, ai desideri e alle convinzioni del pubblico, può addirittura sostituirsi alla verità ed essere ugualmente creduto come vero. Si tratta, come capite, di una questione di grande rilevanza.

La liturgia della parola di questa domenica, non casualmente, ci propone due episodi in cui si annuncia la verità. Nel primo caso è Giona che svolge la sua missione nella città di Ninive. Una città che il profeta Naum definisce come una “città sanguinaria, piena di menzogne, colma di rapine, che non cessa di depredare”. Giona cammina per un giorno intero per Ninive predicando la conversione del cuore. I cittadini credono alle parole del profeta, cessano la loro condotta malvagia e Dio risparmia Ninive non distruggendola. Nel secondo caso è Gesù che in Galilea fa la sua prima predica e proclama la buona Novella. Andrea e Simone, Giacomo e Giovanni sono i frutti di quella predicazione: abbandonano tutto e seguono Gesù che li fa diventare pescatori di uomini.

“Il regno di Dio è vicino convertitevi e credete al Vangelo”: sono queste le parole del figlio di Dio che risuonano come vere anche al mondo di oggi. Un mondo individualista ed edonista che assomiglia, nella sua dimensione esistenziale, alla città di Ninive. Ma che in più è attraversato da una pandemia terribile che non solo uccide migliaia di persone, ma rompe relazioni umane, attacca la famiglia, distrugge il lavoro. Nella nostra società, che come Ninive è “piena di menzogne” ed è “colma di rapine”, si è abbattuta una piaga sanitaria e sociale prodotta dal virus. Un virus che solo gli scienziati con il loro microscopio riescono a vedere e che, proprio per questo, qualcuno, in modo irresponsabile, ne arriva a mettere in discussione addirittura l’esistenza.

Si tratta in realtà di un morbo che attacca i più deboli e i più fragili e che sta sconquassando il nostro tessuto sociale e anche le nostre comunità ecclesiali. Dobbiamo fare di tutto per combatterlo. Con la virtù della prudenza, prima di tutto. Con la vaccinazione, come ha sottolineato Francesco, perché è “una scelta etica”. E anche con un racconto degli eventi vero e credibile, senza lasciarsi ammaliare da narrazioni complottistiche o negazioniste.

Per poter raccontare la “verità della vita che si fa storia”, scrive Francesco nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali, occorre “mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà”. Occorre, in altre parole, “consumare le suole delle scarpe” come hanno fatto Giona e Gesù, per camminare in lungo e in largo per le nostre città, i nostri villaggi e raccontare i fatti mettendo in evidenza sia le difficoltà dei “fenomeni sociali più gravi” e sia le “energie positive che si sprigionano dalla base della società”. È opportuno cioè andare sul posto, vedere quello che accade e raccontarlo con obiettività. Perché, come scrive Francesco, “vieni e vedi” è il modo con cui “la fede cristiana si è comunicata, a partire da quei primi incontri sulle rive del fiume Giordano e del lago di Galilea”.

Cari fratelli e sorelle, il mio pensiero dal più profondo del cuore, in questo momento va a tutti coloro che stanno soffrendo per la perdita dei loro cari – nostra diocesi, per via del morbo, ha perso tre sacerdoti -, per tutti coloro che si trovano in ospedale e, infine, per le famiglie che si sono spezzate, o sono entrate in crisi a causa di questa pandemia. Un pensiero paterno lo rivolgo inoltre a tutti i ragazzi. In particolar modo agli adolescenti che vivono un’età di transizione, di crescita personale delicata e fondamentale per la loro vita, ma che sono costretti a viverla chiusi in casa, senza poter stabilire le normali relazioni sociali. C’è troppo silenzio su questi ragazzi e ragazze che si stanno caricando, inconsapevolmente, il peso sociale più gravoso di questa pandemia: questi giovani stanno rinunciando alla loro giovinezza, alla loro spensieratezza, al loro dinamismo.

Cari ragazzi mi rivolgo a voi, e vi esorto a dare un senso alle vostre rinunce. Anche se obbligatorie, e quindi impopolari, sono un gesto d’amore verso i più deboli, i più fragili, i più anziani. Sono rinunce che fate per amore dei vostri nonni, dei vostri vecchi, dei vostri disabili. San Francesco di Sales quando fondò l’ordine femminile insieme a Giovanna de Chantal disse che bisogna avere «confidenza in Dio» e compiere «seri sforzi dell’uomo». Tenete a mente queste parole: state facendo uno sforzo grande, ma abbiate fede in Dio come l’hanno avuto i discepoli. Seguite Gesù e farete cose grandi nella vostra vita.

Gualtiero Card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve

Foligno – omelia del card. Giuseppe Betori per la festa di San Feliciano 2021

La Chiesa di Foligno celebra oggi l’evangelizzatore che ha annunciato nelle nostre terre la fede in Gesù, il testimone di Cristo a lui fedele fino all’effusione del sangue.
Le letture bibliche che abbiamo ascoltato illuminano questa identità. San Feliciano è «messaggero che annuncia la pace… messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza» (Is 52,7). Nella sua parola e nel suo agire ha mostrato ai nostri padri che «Dio è per noi» (Rm 8,31b), e così ci ha introdotti nell’esperienza dell’«amore di Dio, che è in Cristo Gesù» (Rm 8,39. Nella certezza che nessuno «ci separerà dall’amore di Cristo» (Rm 8,35), il nostro santo non ha avuto «paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima» (Mt 10,28), e ha riconosciuto Gesù «davanti agli uomini», così che ora è da lui glorificato «nei cieli» (Mt 10,32), “gemma dei martiri”.
Le parole del libro di Isaia descrivono la missione di un evangelizzatore. Per gli Ebrei esuli in Babilonia si annuncia un rivolgimento del mondo: Ciro, il re persiano, sta per abbattere l’impero babilonese. Il profeta legge la storia e vi scorge le ragioni di una speranza nuova. Dio stesso è all’opera nelle vicende degli uomini, così che «il ritorno» del popolo di Dio in patria diventa possibile e Sion, Gerusalemme, la città santa potrà essere riedificata. Dio «regna»: è lui il Re, «il Signore» della storia.
Anche il tempo di san Feliciano registra i segni di un cambiamento epocale. Per l’Impero romano, alla metà del III secolo d.C., si preannunciano instabilità del potere, crollo delle antiche istituzioni civili, perdita di credibilità del mondo religioso pagano, corruzione crescente, popoli nuovi che irrompono minacciosamente sulla scena del mondo. Continuano le persecuzione dei cristiani, a cui alcuni, come Feliciano, rispondono con fedeltà e perseveranza, mentre altri vengono meno, ma per la Chiesa sta per giungere un’età nuova, non meno problematica: si stanno per aprire spazi di libertà e, con essi, anche le insidie dell’essere coinvolti nell’esercizio del potere.
Il nostro pure è un mondo che cambia. Lo è nei processi sempre più espansivi di globalizzazione economica, in cui i più deboli rischiano di rimanere schiacciati da ingranaggi di produzione e di consumo anonimi, spersonalizzati e spersonalizzanti. Idee, parole e immagini viaggiano e si mescolano velocemente tra noi, e l’impatto fa oscillare tra il conflitto delle civiltà, le chiusure xenofobe e razziste, la confusione delle opinioni, la rinuncia al confronto con la verità. La pace è continuamente minacciata. L’immagine stessa dell’uomo è posta in discussione dall’arroganza di una tecnica che pretende di essere misura a se stessa.
Tutto questo, negli ultimi mesi, è stato ed è attraversato dalla pandemia, che ha messo in luce la precarietà del nostro rapporto con il mondo della natura, la fragilità della condizione umana minacciata dalla morte, l’intreccio delle esistenze dei singoli e dei popoli nel male come nel bene. Gli stessi percorsi di cura non sono esenti da pericoli. Occorre vigilanza per contrastare le derive eugenetiche nascoste nella proposta di una gestione delle risorse che misuri l’intervento sanitario in base all’età e all’avere maggiori probabilità di trarne beneficio. Qualcuno vuole forse convincerci che si debba pensare prima ai più forti e poi, se ce n’è, ai più deboli? E questo a riguardo di popoli, ceti sociali e singole persone?
Qual è il «lieto annuncio» che i cristiani debbono oggi offrire al mondo? Come san Feliciano, dobbiamo proclamare una parola di verità, che possa ridare speranza, perché in grado di sconfiggere le tenebre della ragione lasciata a sé stessa e di abbattere le chiusure dei cuori induriti dai risorgenti egoismi. Dobbiamo tornare a essere evangelizzatori. Dire il Vangelo oggi: questa è la missione che il Signore ci affida. È il Vangelo della dignità della persona umana, della famiglia come luogo dell’amore, dell’ecologia integrale, della fraternità sociale. Sono i grandi temi del magistero di Papa Francesco, che debbono illuminare il nostro pensiero e guidare il nostro agire.
A questo magistero occorre fare riferimento nel delineare il volto delle nostre comunità di fede, superando ogni tentazione di arroccamento in difesa di forme che vanno sbiadendo e accettando di metterci in gioco nel confronto con la storia, come suggerisce la ripetuta esortazione del Papa a essere una “Chiesa in uscita”, con la precisa identità che viene dalla contemplazione del volto di Cristo, come invitò a fare cinque anni fa a Firenze, indicandoci in Gesù i sentimenti dell’umiltà, del disinteresse e della beatitudine.
San Feliciano, il santo martire, ci ricorda che la nostra appartenenza a Cristo non può che essere totale, con la radicalità del testimone pronto a mettere in gioco la vita. E questo perché la totalità del dono, fino all’annientamento di sé, fa parte della logica cristiana, in quanto riflesso dell’immagine di sé che ci ha offerto Gesù.
Questa immagine di Gesù è quella che incontriamo nelle Sacre Scritture. Ricordiamolo oggi, domenica che il Papa ci chiede sia dedicata a rafforzare in noi la coscienza dell’importanza e del valore della Parola di Dio per la vita cristiana. Frequentare con assiduità le pagine della Bibbia è indispensabile per condividere una corretta immagine di Dio e della sua volontà d’amore per l’umanità.
San Paolo, san Feliciano, i cristiani annunciano un Dio che si fa povero per arricchirci, si fa debole per risanarci, si annienta per edificarci. La nostra gloria è infatti la croce e il nostro annuncio è che Dio ci ha tanto amati fino a dare il suo Figlio per noi. Tale è l’amore di Dio per l’uomo, da morire per lui; e tale è l’amore del Padre per il suo Figlio, da vincere la morte e risuscitare lui e tutti noi, suoi fratelli, a vita nuova.
Da questo fatto impensabile che è la risurrezione, realmente accaduto duemila anni fa, scaturisce la possibilità di un mondo nuovo, nel segno della giustizia, della riconciliazione, dell’amore. Per questo fatto incommensurabile san Feliciano ritenne di dover mettere in gioco la propria esistenza. Di questo dobbiamo farci «sentinelle» che «alzano la voce», «esultano», cantano «di gioia» (Is 52,8.9).
Questo è il Vangelo per il quale San Feliciano ha ritenuto di dover vivere e di dover morire. Sia anche la nostra vita.

Giuseppe card. BETORI

Città di Castello – Messaggio di mons. Domenico Cancian per la festa del patrono dei giornalisti San Francesco di Sales

Carissimi giornalisti amici della chiesa di Città di Castello,

persistendo la terribile pandemia che sta mettendo a dura prova il mondo intero, ho preferito – d’accordo con alcuni di voi – sostituire il nostro tradizionale incontro per la festa di san Francesco di Sales, patrono degli operatori delle comunicazioni sociali, con questo messaggio.Credo infatti sia da far prevalere in questo momento critico il rispetto delle regole che le competenti autorità ci hanno dato. Vale soprattutto per noi che abbiamo maggiore visibilità.

Proprio perché viviamo tempi difficili a livello sanitario, sociale, politico ed economico, il vostro servizio alla comunità merita maggior riconoscimento e incoraggiamento.
Più volte vi ho ringraziato per tutto quello che fate, affrontando innumerevoli difficoltà anche di carattere economico, convinti che più voci libere favoriscano una migliore comprensione dei fatti.

Rivolgo un pensiero particolare a tutti i vostri colleghi che si trovano in difficoltà a causa della congiuntura economica sfavorevole che si ripercuote anche sul vostro lavoro. Sono note a voi, molto più che a me, le sofferenze in cui si trova la vostra categoria.

Mi pare che anche quest’anno siano particolarmente appropriate le parole che il Papa ha scelto per la prossima giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrerà nel prossimo mese di maggio.
“’Vieni e vedi’ (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone come e dove sono” è il tema che prende spunto dall’incontro di Gesù con l’apostolo Filippo. Esse sono centrali nel Vangelo.

“L’annuncio cristiano prima che di parole, è fatto di sguardi, testimonianze, esperienze, incontri, vicinanza. In una parola, vita”.
Non é forse la “vita” che anche voi cercate di raccontare ogni giorno riferendo le notizie agli interlocutori che vi leggono, vi ascoltano e vi guardano? Voi non raramente siete i testimoni diretti che toccano con mano le varie situazioni, vivendole con tutte le emozioni e i sentimenti.

Nel cambio epocale che stiamo vivendo, in un tempo che ci obbliga alla distanza sociale a causa della pandemia, la comunicazione può rendere possibile la vicinanza necessaria per riconoscere ciò che è essenziale e comprendere davvero il senso delle cose. Non conosciamo la verità se non ne facciamo esperienza, se non incontriamo le persone, se non partecipiamo delle loro gioie e dei loro dolori. Il vecchio detto “Dio ti incontra dove sei” può essere una guida per coloro che sono impegnati nel lavoro dei media.

Durante questi ultimi mesi ci siamo trovati molte volte insieme ed abbiamo condiviso i dolori di tante persone che sono state private di affetti fino a non poter piangere in presenza familiari morti.

D’altra parte in questo tempo abbiamo visto non pochi e significativi segni di speranza chesenza clamore hanno realmente rinvigorito il tessuto sociale del nostro territorio. Siamo stati testimoni di molteplici esempi di sensibilità umana e cristiana in tante situazioni di sofferenza, anche gravi. (In Italia attualmente ci sono ben 6 milioni di volontari che prestano servizio gratuito, anche in forme di impegno straordinario). È questa la “buona notizia” dell’autentica umanità della nostra gente che, a mio avviso, non raramente ha come motivazione la fede in Dio Padre che ci è venuto incontro mandando suo Figlio come nostro Fratello. Per cui, come dice Papa Francesco, siamo davvero “tutti fratelli”. Questa fraternità sta alla base di un impegno a tutto campo che può trasformare in bene anche gli aspetti critici e preoccupanti della presente situazione.I media potrebbero favorire non poco questa visione di fondo che darebbe spessore sociale e culturale ad un mondo nuovo che insieme vogliamo costruire.

Auguro a tutti voi di vivere la professione come opportunità per raggiungere le persone come sono e la dove vivono con le loro fragilità e le loro gioie. Per offrire in ogni situazione incoraggiamento e speranza, sempre nella verità e nella gentilezza.

San Francesco di Sales – impossibilitato fisicamente a raggiungere la propria sede vescovile di Ginevra – seppe raggiungere i propri fratelli inventando nuovi mezzi di comunicazione pur di portare a tutti la gioia del Vangelo, che è la Buona Notizia per eccellenza. Sia lui ad accompagnare il vostro lavoro quotidiano!

Vi rivolgo ancora la mia personale gratitudine e quella della chiesa tifernate. Su voi e sui vostri cari imparto la mia benedizione e vi assicuro la mia preghiera, augurandoci che questo 2021 appena iniziato possa portarci fuori dal tunnel “e riveder le stelle”.

+ Domenico Cancian

Vescovo di Città di Castello

Spoleto – San Ponziano secondi Vespri e ritorno della reliquia nella Basilica. Mons. Boccardo: «La presenza di S. Ponziano nella nostra comunità non è per portarci fortuna o allontanare i mali, ma per ricordarci continuamente la chiamata ricevuta nel Battesimo»

Nel pomeriggio di giovedì 14 gennaio 2021 nel Duomo di Soleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha presieduto i Secondi Vespri della festa di S. Ponziano, martire, patrono della Città e della Diocesi. La celebrazione è iniziata con la Cattedrale a luci soffuse per il rito del lucernario. Nell’area del presbiterio sono stati posizionati gli stendardi dei Santi e Beati della Diocesi; al centro, dinanzi l’altare maggiore, la reliquia di S. Ponziano. L’Arcivescovo ha acceso prima le candele intorno alla sacra testa del Patrono e poi quello sotto ogni stendardo dei Santi e Beati. Dopo sono state accese tutte le luci della Cattedrale.

«Quale messaggio possiamo allora raccogliere questa sera dal nostro Patrono?», ha detto il Presule nell’omelia dei Secondi Vespri. «Ponziano – ha proseguito – è stato un “uomo di fede”, unito a Cristo, permeato dalla novità del Vangelo e convinto che averlo come bussola della propria vita costituisce un grande vantaggio. Dal silenzio delle sue reliquie, San Ponziano pone allora una domanda pressante a ciascuno di noi personalmente e a tutti noi come popolo cristiano: “Che cosa hai fatto del tuo Battesimo? Quali frutti ha portato e porta ancora nella tua vita?”. Perché il sacramento ricevuto non può essere per il cristiano un lontano ricordo, ma deve diventare una sorgente viva di grazia e di impegno, di conversione e di misericordia. La domanda del Patrono, che vogliamo lasciar risuonare nel profondo del nostro cuore, provoca necessariamente un esame di coscienza e una seria revisione di vita. La presenza di San Ponziano nella nostra comunità – ha concluso l’Arcivescovo – non è per portarci fortuna o allontanare i mali, ma per ricordarci continuamente la chiamata ricevuta nel Battesimo e alla quale siamo invitati a rispondere nell’arco della nostra esistenza su questa terra: diventare ogni giorno discepoli e testimoni del Signore Gesù e del suo Vangelo, che ancor oggi deve modellare scelte e comportamenti per rendere la vita del nostro mondo più bella e ricca di significato per tutti».

Al termine dei Vespri si sarebbe dovuta tenere la tradizionale processione – aperta da un corteo di cavalli a ricordo del fatto che S. Ponziano è raffigurato quasi sempre a dorso di un cavallo ed è definito “Felice cavaliere del cielo” – per riportare la reliquia del Santo nella Basilica a lui dedicata. A causa delle norme in atto per evitare il diffondersi del Coronavirus non è stato possibile organizzarla. L’Arcivescovo, insieme ad alcuni Canonici, a bordo di un pulmino guidato da don Vito Stramaccia parroco di Montefalco, ha recato la sacra testa di Ponziano nella chiesa che la custodisce tutto l’anno. È stato percorso lo stesso tragitto della processione. «Abbiamo vissuto – ha detto mons. Boccardo – una processione tanto diversa da quella abituale ma non per questo meno significativa: lungo le vie della nostra Città ho implorato, a nome di tutti voi, l’intercessione di S. ponziano sul popolo di Spoleto e ho chiesto particolarmente per la questa comunità e i suoi abitanti la difesa e la protezione dal virus che attanaglia il mondo».

Solennità di S. Ponziano. Pontificale dell’Arcivescovo in Duomo. Mons. Boccardo: «Fondamentale coltivare un’anima “dilatata”. … A livello nazionale e locale c’è una politica dal corto respiro e incapace di visione e di coraggio. Purtroppo dobbiamo spesso assistere ad un triste spettacolo, simile ad una guerra senza esclusione di colpi, che produce inevitabilmente lacerazioni profonde».

«Spoleto è San Ponziano e San Ponziano è Spoleto». Così si è espresso l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo nell’omelia per la Messa solenne in onore del Santo patrono celebrata giovedì 14 gennaio 2021 nella Cattedrale spoletina. Col Presule hanno concelebrato i presbiteri della Diocesi; erano presenti circa 200 fedeli, capienza massima del Duomo nel rispetto di tutte le norme in atto sul distanziamento per evitare il diffondersi del Coronavirus. La Messa, comunque, è stata trasmessa in diretta nei canali social diocesani. Tra le autorità civili e militari, c’erano il presidente della Giunta Regionale dell’Umbria Donatella Tesei, il sindaco di Spoleto Umberto de Augustinis, quello di Norcia Nicola Alemanno e altri primi cittadini. La liturgia è stata animata dalla corale diocesana diretta da Beatrice Bernardini, con all’organo Leopoldo Bartoli.

Coltivare un’anima “dilatata”. «Parlare di San Ponziano – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – è dire della memoria della nostra città e della nostra Diocesi. Perché un popolo che ignora o dimentica le proprie radici si condanna a non avere futuro. Penso che San Ponziano ci direbbe oggi che se la comunità cristiana e civile di Spoleto vuole guardare con fiducia e fierezza verso il futuro, lo può fare solo coltivando un’anima che definirei “dilatata”. Dilatata per lo sguardo sulla vita delle persone e sui temi della città; dilatata per la passione che promuove nuovi legami sociali; dilatata per la cura del bene comune contro ogni particolarismo; dilatata per lo spirito di pace e di tolleranza; dilatata per il compito dell’educazione e del futuro dei giovani; dilatata per la carità rivolta verso tutti senza distinzione di religione e di provenienza; dilatata per la condivisione del destino della città e del territorio; dilatata ancora per il “supplemento d’anima” di cui questo tempo, ricco di mezzi e povero di significati, ha estremamente bisogno non solo per stare bene, ma per vivere bene».

S. Ponziano insegna la determinazione per il bene. «Da troppi anni l’agire politico, sia a livello nazionale che locale, – ha proseguito l’Arcivescovo – ha assunto le caratteristiche di una battaglia di potere più che di un confronto di idee leale e costruttivo: il risultato è una politica dal corto respiro e incapace di visione e di coraggio. Un autentico confronto deve essere orientato a cercare ciò che è bene per la nazione e per la città in un determinato momento della sua storia e deve permettere a ciascuno di sentirsi partecipe di un processo positivo, sia che la partecipazione venga assicurata da chi governa che da chi sta all’opposizione. Purtroppo dobbiamo spesso assistere ad un triste spettacolo, simile ad una guerra senza esclusione di colpi, che produce inevitabilmente lacerazioni profonde. Non sarà facile ricostruire un tessuto sano. Ma non c’è alternativa. Mi sembra che San Ponziano richieda a tutti noi di convertire il cuore e rimodulare il modo di pensare e di agire, offrendo ciascuno al Paese e alla città il proprio contributo di riflessione, di competenza e di dedizione operosa. I cristiani parlano in questi casi di un atteggiamento fondamentale: quello dell’amore per il prossimo. In questo nuovo anno, paradossalmente aiutati da un flagello che mette in discussione le certezze acquisite e sovverte le abitudini personali e sociali, ci è chiesto – ha concluso mons. Boccardo – di scrivere una pagina nuova della storia comune, dentro un avvenire che non è predeterminato, ma che dipende da noi. Insieme con l’intercessione di San Ponziano, ci sia di aiuto il monito di un antico Padre della Chiesa: “Il denaro e i beni che possiedi costituiscono il valore del tuo patrimonio. L’amore che hai dentro di te costituisce il valore della tua stessa vita” (S. Agostino, Sermo 34, 7).

Al termine della Messa, mentre Vescovo, presbiteri e fedeli uscivano dalla Cattedrale, un gruppo di ottoni dalla loggia del Duomo ha omaggiato S. Ponziano con l’inno in onore al martire e altri pezzi musicali.