Spoleto – Veglia di Pentecoste. L’Arcivescovo: «Sentiamo il dovere di riaffermare serenamente la singolarità e l’unicità della famiglia, costituita dall’unione dell’uomo e della donna. Ciò non significa che non si debbano accettare o accogliere le scelte diverse, le varie situazioni esistenziali. Però una legge deve tutelare le garanzie e i valori fondamentali».

Nel tardo pomeriggio di sabato 22 maggio 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto nella Cattedrale di Spoleto la Solennità di Pentecoste, in cui si celebra la discesa dello Spirito Santo su Maria e gli apostoli riuniti insieme nel Cenacolo. Con la Pasqua e il Natale costituisce una delle feste più importanti del calendario liturgico, e segna l’avvio della chiamata missionaria della Chiesa. Il Presule ha conferito il sacramento della Confermazione ad un gruppo di adulti, provenienti da diverse comunità parrocchiali della Diocesi.

Nell’omelia il presidente della Conferenza episcopale umbra ha sottolineato come la Chiesa abbia ricevuto da Cristo il compito di unire le genti, di qualsiasi etnia e razza. «Un compito che può assolvere – ha detto mons. Boccardo – in quanto è guidata, animata, vivificata, resa santa dallo Spirito di Dio, che è il “soffio di vita” immesso dal Creatore in ogni creatura, fatta a sua immagine e somiglianza (cf Gen 1, 26-27). Le discriminazioni – comprese quelle basate sull’orientamento sessuale – costituiscono una violazione di questa dignità che, in quanto tale, deve essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni. Al riguardo, un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese permette di affermare che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio». E qui mons. Boccardo si è detto preoccupato dall’aspro ed intenso dibattito circa un nuovo disegno di legge (Zan, ndr) che pretende di reagire ai reati di omotransfobia introducendo una norma che cancellerebbe il dualismo uomo-donna a vantaggio di un’auto percezione individuale per la quale non verrebbe neppure richiesta una forma di stabilità. «Una manovra – ha detto l’Arcivescovo – che appare non solo e non tanto concretizzare una più che legittima volontà di combattere ogni forma di violenza e di discriminazione, ma anche e soprattutto un tentativo di equiparare con altre esperienze affettive – attraverso un colpo di mano (anzi, di legge) – ciò che si fonda sulla complementarietà tra maschio e femmina. Con Papa Francesco ribadiamo che “ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza” (Amoris lætitia, 250). Alla luce di tutto questo – come ha affermato recentemente la Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana – sentiamo il dovere di riaffermare serenamente la singolarità e l’unicità della famiglia, costituita dall’unione dell’uomo e della donna. Ciò non significa che non si debbano accettare o accogliere le scelte diverse, le varie situazioni esistenziali. Però una legge deve tutelare le garanzie e i valori fondamentali. La distinzione fra uomo e donna esiste. Per chi è credente viene da Dio, chi non crede dice invece che viene dalla natura; ma una tale distinzione comunque esiste. Una legge che intenda combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna. Sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale un papà e una mamma – e non la duplicazione della stessa figura – significherebbe introdurre un reato di opinione. Ciò limita di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso. E noi rivendichiamo, ora e in futuro, il diritto di affermare apertamente e liberamente il nostro pensiero e la nostra visione di uomo e di società».

Perugia: aperto nella vigila di Pentecoste il processo diocesano sulla vita, virtù e fama di santità del seminarista servo di Dio Giampiero Morettini. Il cardinale Bassetti: “ha regalato la sua vita a Dio”

“Lo Spirito Santo, da noi accolto, ci fa desiderare come desidera Dio, così da diventare quel capolavoro che dall’eternità il Padre ha sognato per noi. Non dimentichiamo che, in ultimo, la vita ce la giochiamo sui sogni, sui desideri: diventiamo ciò che desideriamo, diventiamo ciò che sogniamo”. Lo ha sottolineato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’inizio dell’omelia (il testo integrale è consultabile sul sito: www.diocesi.perugia.it) della celebrazione eucaristica della Veglia di Pentecoste, il 22 maggio, nella cattedrale di Perugia, preceduta dall’apertura del processo informativo diocesano sulla vita, virtù e fama di santità del seminarista servo di Dio Giampiero Morettini (1977-2014). Insieme al cardinale Bassetti hanno concelebrato l’arciprete della cattedrale mons. Fausto Sciurpa, il postulatore della causa di canonizzazione don Francesco Buono, parroco di Castel del Piano, il giudice delegato della causa mons. Vittorio Gepponi, il promotore di giustizia don Simone Sorbaioli e diversi sacerdoti diocesani. Presenti i sindaci di Perugia Andrea Romizi e di Deruta Michele Toniaccini, presidente dell’Anci Umbria, i familiari di Giampiero Morettini, una rappresentanza di giovani della Pastorale giovanile diocesana e diversi fedeli provenienti in gran parte dalle parrocchie di Sant’Angelo di Celle di Deruta e Castel del Piano di Perugia dove il servo di Dio ha vissuto, lavorato, si è convertito ed ha avuto la chiamata-vocazione al sacerdozio. Ad animare la Sessione di apertura del processo in San Lorenzo è stato il Coro Piccole Voci “Giampiero Morettini” dell’Unità pastorale di Castel del Piano-Pila, mentre ad animare la celebrazione eucaristica il Coro diocesano giovanile “Voci di Giubilo”.

Le frantumazioni della vita. “E’ vero che a volte dentro di noi c’è come una grande Babele – ha proseguito nell’omelia il cardinale –, una confusione data dall’intrecciarsi ed anche dal contrapporsi di differenti desideri: il peccato ha frantumato l’unità interiore e troppo spesso ci troviamo divisi in noi stessi. Da questa prima divisione tutte le altre, tutte le frantumazioni che rendono dolorosa la nostra vita. Abbiamo quindi bisogno come di un “principio unificatore” che metta ordine nel groviglio interiore e che illumini la via giusta, quella dove tutti i nostri desideri trovano quiete nel desiderio di Dio, dove tutti i sogni sono sognati nel sogno di Dio, dove le frantumazioni sono composte e ricreata l’unità. Questo principio è lo Spirito Santo…”.

Diventare santo. “In questa Pentecoste così particolare per la nostra Chiesa, contempliamo il frutto dello Spirito Santo così come si è manifestato – ha ricordato il presule –, così come è fiorito, nella vita di un giovane uomo, un figlio della nostra terra che aveva un desiderio: diventare santo. Lo scrive nel testamento che abbiamo appena ascoltato: “Tu conosci il mio grande e unico desiderio che è quello di diventare Santo”. Giampiero Morettini aveva desideri e sogni da inseguire, progetti da compiere e avventure da vivere. Giampiero ha vissuto appassionatamente e convintamente ogni stagione della sua vita: amico allegro e sincero, lavoratore instancabile, onesto e creativo, sognava quello che tutti gli adolescenti, tutti i giovani sognano, magari un buon lavoro, magari una bella famiglia”.

Una vita bella. “Poi l’incontro che gli cambia la vita, che lo porta a desiderare di mettersi a disposizione del sogno di Dio. Come scrive ancora, nel testamento, la sua è stata una vita bella, non sprecata anche se recuperata, anzi riacchiappata da Dio. E Dio Lo “riacchiappa” nel marzo del 2006, mentre era intento a sistemare le casse di frutta e verdura nel suo negozio: “proprio in quel luogo è avvenuto l’inizio della mia conversione, precisamente quando una suora, aiutando il parroco don Francesco alle benedizioni pasquali, venne a benedire il negozio in cui lavoravo. Da questo momento la mia vita è cambiata” (dallo Scrutinio)”.

Crescita nella fede. “Da lì riprende il cammino cristiano con la frequentazione assidua dei sacramenti – racconta il cardinale –, specie dell’eucaristia e a iniziare una esperienza di ascolto, di comunione e di servizio nella parrocchia di Castel del Piano…”. Questa crescita nella fede e nell’esperienza ecclesiale lo porta piano piano a maturare il desiderio di fare della propria vita un dono a Dio attraverso la via del sacerdozio. E’ vero che chi beve dell’acqua dello Spirito, diventa egli stesso fontana per altri: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno» (Gv 7,37-38)”.

Il primo giorno in seminario, nell’ottobre 2010, accolto dal rettore mons. Nazzareno Marconi (oggi arcivescovo di Macerata), Giampiero, prosegue Bassetti nel tracciare il profilo biografico del servo di Dio, “si presentò con questa frase: “vorrei regalare la mia vita a Dio”. E veramente Giampiero ha regalato la sua vita a Dio: lo ha fatto vivendo in maniera esemplare il suo stato di seminarista, sereno e allegro, disponibile con tutti, radicato nella preghiera personale e comunitaria, con fedeltà, con semplicità ma con tenacia: “generoso e sanguigno, era nella vita come era in porta quando faceva il portiere, tenace, non mollava” ricorda di lui un amico seminarista. E non ha mollato neppure nei giorni, nelle settimane dell’agonia, del dolore, della malattia, quando dopo l’intervento al cuore, crocifisso a quel letto della terapia intensiva cardiologica, era lui che infondeva coraggio con un sorriso, con una parola, finché gli è stato possibile, chi lo andava a trovare.

Nelle braccia del Padre. “Giampiero muore il 21 agosto 2014, facendo fino in fondo la volontà del Padre, in una offerta di sé consapevole e serena, andando ad occupare quel “posto” che Gesù aveva preparato per lui, insieme ai santi dei quali aveva chiesto l’intercessione nella preghiera scritta appena prima di essere operato: ‘O santi, amici miei, portatemi la luce perché non mi perda nelle tenebre ma possa perdermi nelle braccia del Padre’”.

La nostra vita possa fiorire. “Oggi iniziamo la fase diocesana del processo “sulla vita, fama di santità e segni circa l’esercizio delle virtù eroiche” di questo nostro figlio, del Servo di Dio Giampiero – ha concluso il cardinale Bassetti – che ha sognato dello stesso sogno di Dio e che, dal Paradiso ci accompagna con il suo sorriso dolce perché la nostra vita possa fiorire anche quando sembra essere un ramo secco, come il ciliegio secco del suo giardino che non volle fosse tagliato e che, dalla sua morte in qua, fiorisce rigoglioso ogni anno anche fuori stagione”.

Lutto per la morte del papà di mons. Luciano Paolucci Bedini vescovo di Gubbio

Si è spento oggi pomeriggio il padre del vescovo Luciano, Vitaliano Paolucci Bedini. Era nella sua casa anconetana, circondato dalla sua famiglia e dallo stesso don Luciano che negli ultimi tempi gli era spesso vicino. Vitaliano, all’età di 80 anni, stava curando una malattia che lo aveva anche portato in ospedale nei mesi scorsi. Lascia la moglie Paola, e i figli Luciano e Carlo.
Arrivando a Gubbio il 3 dicembre 2017, come pastore della Chiesa locale, mons. Paolucci Bedini nel suo saluto aveva voluto ricordare proprio la sua famiglia.
“Il dono più grande che ho ricevuto – aveva detto al termine dell’ordinazione episcopale – è stata la vita, che so essere dono di Dio per come mio babbo Vitaliano e mia mamma Paola me lo hanno raccontato e mostrato. E ho compreso che non è un dono da tenersi per se egoisticamente, per la condivisione quotidiana con mio fratello Carlo, fin da piccoli, ed oggi nella bellissima famiglia che ha creato con sua moglie Francesca e i loro meravigliosi figli Valerio, Giulio e Adriano. Ed ogni famiglia, che ho visitato, conosciuto, e accompagnato, ha continuato ad insegnarmi questo, attraverso il linguaggio della quotidianità e della cura personale. Dentro la vita, ho ricevuto il dono della fede, dono di grazia che illumina, riempie e apre al dono di sé”.
Tutta la Curia diocesana di Gubbio si stringe attorno al suo pastore ed esprime alla famiglia Paolucci Bedini le più sentite condoglianze.

Dati allarmanti, quelli del I quadrimestre 2021 sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, presentati alla stampa dal direttore della Caritas don Marco Briziarelli. «Insieme nella cura per fronteggiare le sfide di questo tempo»

In attesa dei dati ufficiali dell’Osservatorio diocesano sulle povertà e le risorse, in uscita a giugno, che daranno la possibilità di analizzare e comprendere meglio il fenomeno nella sua complessità, sono stati presentati in conferenza stampa, giovedì mattina 20 maggio, presso il “Villaggio della Carità – Sorella Provvidenza” di Perugia, dal direttore della Caritas diocesana don Marco Briziarelli, i dati relativi alla emergenza economica e sociale generata a causa della pandemia nell’Archidiocesi perugino-pievese prendendo come riferimento temporale il primo quadrimestre 2021 e quello dello stesso periodo del 2020.

Situazione aggravata. «Ringraziando il cielo ci troviamo difronte ad una progressiva diminuzione dei casi di contagio, di ospedalizzazione e di decessi, tuttavia registriamo una crescita molto significativa nelle richieste di aiuto da parte delle nostre famiglie. Questi primi dati non lasciano appello: l’impatto della pandemia sulla nostra comunità diocesana è grave, siamo nel pieno di un’emergenza sociale ed economica che sta provando duramente la nostra gente», ha dichiarato don Marco Briziarelli.

Sguardo profetico. La gravità di questi dati trova riscontro anche nel rapporto nazionale sulle povertà pubblicato da Caritas Italiana, secondo il quale una persona su quattro è un “nuovo povero”. La risposta della Caritas diocesana si fonda sulla ricerca e la costruzione di soluzioni che coinvolgano l’intera comunità. «Insieme a molte persone di buona volontà – ha commentato il direttore – siamo impegnati nel prenderci cura delle tante donne e dei tanti uomini, spesso madri e padri con a seguito i loro piccoli, che maggiormente stanno soffrendo questa emergenza. Lo facciamo ascoltando quotidianamente le persone e le loro storie di sofferenza, ricercando e promuovendo all’interno della comunità risposte solidali capaci di prendersi cura delle fragilità e delle vulnerabilità che incontriamo. Il volto della povertà muta velocemente, di mese in mese, e ci impone – ancora di più – una riflessione attenta che abbia uno sguardo profetico. Come profetiche furono le parole pronunciate da Sua Em. Cardinal Bassetti un anno fa: “Ne usciremo con l’aiuto di tutti”».

Generosità crescente. Nei confronti di questa gente la Caritas diocesana sta intervenendo anche grazie a campagne di raccolta fondi, a cominciare da “Adotta un affitto” e “Adotta una famiglia”, che fanno appello alla generosità di persone, famiglie, comunità parrocchiali e realtà imprenditoriali, e a progetti cofinanziati con il contributo del fondo 8XMille di Caritas italiana, facendo registrare un aumentato dei suoi interventi addirittura a tre cifre percentuali rispetto a quelli messi in campo nei primi quattro mesi del 2020.

Dati allarmanti. Le voci dell’aiuto Caritas più allarmanti sono i “contributi alloggio” con + 891%, “interventi alloggio” con + 263% e i “contributi utenze” con + 103%. Anche i servizi erogati dai quattro Empori della Solidarietà Caritas, attivi nelle zone più sensibili dell’Archidiocesi (Perugia città, San Sisto, Ponte San Giovanni e Marsciano) fanno registrare un significativo incremento del rilascio di tessere di accesso, passate da 800 (del 2020) alle attuali 1.327, pari a + 66%, con 3.669 persone beneficiare (+ 44%), contro le 2.551 dello stesso periodo dello scorso anno.

Un nuovo Emporio. Un quinto Emporio è in fase di progettazione nella frazione perugina di Ponte Pattoli così da servire la zona nord dell’Archidiocesi dove si registra un sensibile incremento di richieste di aiuto.

L’apporto dei media. Non è un caso che questi dati sulla povertà sono stati presentati condividendoli con gli operatori dei media. «È un modo per ringraziare tutti loro – ha commentato il sacerdote – per il prezioso servizio, sostegno e continua attenzione avuta nel promuovere e sensibilizzare la comunità locale alla Carità».

Insieme nella cura. «È questa la vera forza che, insieme – ha ribadito don Marco Briziarelli –, dobbiamo provare a sviluppare. La risposta migliore che possiamo dare, come comunità, è quella di una Carità senza delega. Oggi più che mai ne abbiamo bisogno. Pertanto rilanciamo questo appello, fiduciosi di poter contare sul contributo di tutti per far fronte alle sfide di questo tempo, ‘insieme nella cura’».

55a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (Cs): Il coraggio di tanti operatori dei media nell’andare e vedere per raccontare. Se ne parlerà all’incontro online organizzato dalla Commissione per le Cs della Ceu, mercoledì 19 maggio (ore 11-12.30) sul canale Youtube “Chiesa in Umbria”

Gli operatori dei media delle otto Chiese diocesane dell’Umbria hanno inteso vivere insieme quest’anno la 55a Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali (Cs), incontrandosi online sul canale Youtube “Chiesa in Umbria”, mercoledì 19 maggio, dalle ore 11.00 alle 12.30, per riflettere sul messaggio di papa Francesco «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono, in particolare sul «coraggio di tanti giornalisti».

Le parole di papa Francesco. Così lo definisce il Papa quando scrive: «Anche il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione. Dobbiamo dire grazie al coraggio e all’impegno di tanti professionisti – giornalisti, cineoperatori, montatori, registi che spesso lavorano correndo grandi rischi – se oggi conosciamo, ad esempio, la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate. Sarebbe una perdita non solo per l’informazione, ma per tutta la società e per la democrazia se queste voci venissero meno: un impoverimento per la nostra umanità. Numerose realtà del pianeta, ancor più in questo tempo di pandemia, rivolgono al mondo della comunicazione l’invito a “venire e vedere”… ».

Le parole del card. Bassetti. Dal presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, sono venute parole di apprezzamento e incoraggiamento agli operatori dei media durante l’omelia della Messa di domenica 16 maggio, dedicata a questa 55a Giornata, nella basilica romana di Santa Maria in Montesanto. «Questo tempo del quale parlate, scrivete, raccontate – ha commentato il cardinale –, è un tempo prezioso ma difficile. Sapete anche che una frase che voi dite (o non dite) può influenzare milioni di persone (come, per esempio, può accadere descrivendo gli effetti di un vaccino, o parlando in un certo modo di un avvenimento…). Fa tanto male vedere come, anche nella sofferenza, ci sia disinformazione. Il vero comunicatore, invece, è colui che riesce a mettere il mondo in comune – ha evidenziato Bassetti –, a costruire ponti di comprensione, a promuovere la pace attraverso la narrazione».

Comunicare per dare libertà e speranza. La Commissione regionale per le Cs della Ceu, nell’’organizzare l’iniziativa online del 19 maggio – su suggerimento dell’Ufficio diocesano per le Cs di Foligno -, rivolta a tutti gli operatori dei media – laici ed ecclesiali -, evidenzia che «la passione del nostro comunicare è dare libertà, gioia e speranza all’umanità, partendo dai nostri territori, in questo tempo di pandemia che richiede più presenza, comunione e lavoro di tutte le Istituzioni per il bene comune». Ne parleranno mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio e delegato Ceu per le Cs, i direttori degli Uffici diocesani per le Cs delle otto Diocesi umbre, Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le Cs della Cei, e il presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Umbria Roberto Conticelli. Sono previsti interventi da parte degli operatori dei media in collegamento.

Terni – 40° anniversario della visita di papa san Giovanni Paolo II a Terni. Il 15 maggio solenne celebrazione all’Acciaieria.

Terni, città operaia, ricorda i 40 anni dalla visita che papa san Giovanni Paolo II fece all’acciaieria di Terni il 19 marzo 1981.
L’appuntamento più significativo di questo anniversario è stato celebrato il 15 maggio alle ore 18 all’Acciaieria di Terni, con la santa messa presieduta dal vescovo Piemontese, nello stesso piazzale interno alla fabbrica, dove il Papa incontro migliaia di lavoratori.
Un’occasione per riflettere, alla luce della situazione attuale, nella quale la pandemia da Coronavirus, oltre alle tante morti e sofferenze, ha prodotto povertà, disoccupazione, ansia e incertezza per il futuro. Nell’incontro con il mondo del lavoro papa Giovanni Paolo II toccò temi fondamentali per la vita dell’uomo: la dignità del lavoro, la giustizia sociale e la moralità come condizioni essenziali per la pace in tutte le nazioni, la famiglia, la libertà dell’uomo e la creatività dell’opera umana; temi attualissimi dai quali attingere motivi di speranza e incoraggiamento per un futuro di benessere spirituale e materiale per tutti.

   L’OMELIA DEL VESCOVO PIEMONTESE

IL MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO

LA LETTERA DEL VESCOVO PIEMONTESE

Anche papa Francesco, nel messaggio indirizzato alla città e alle Acciaierie, in questa circostanza, ribadisce alcune consegne fatte 40 anni fa da Giovanni Paolo II, aggiornandole col tema, a lui caro, della custodia della casa comune. «È necessario adoperarsi con sollecitudine – esorta il Papa – affinché le istanze etiche e i diritti della persona mantengano il primato su ogni esigenza di profitto. Lavorare è la prima vocazione dell’uomo, una vocazione che dà dignità all’uomo. Tutti sono chiamati a non sottrarre alle persone questa dignità del lavoro»! Quindi l’esortazione al mondo del lavoro e dell’impresa «ad adoperarsi non solo perché il lavoro sia opportunamente tutelato, ma anche perché si attuino valide politiche sociali in favore della persona e della sua professionalità».
Una ricorrenza che è anche occasione per la chiesa locale, in questo delicato momento della storia, per sollecitare istituzioni, mondo politico, imprese, sindacati, società civile ad unire ogni sforzo di ingegno e di responsabilità. «Superare egoismi e visioni di parte – conclude mons. Piemontese – per pensare e promuovere progetti per le future generazioni, la Next Generation della nostra Umbria. Non restiamo a guardare, né lasciamoci prendere dall’accidia o dagli istinti avidi di insensato accaparramento, ma attivarci con coraggio, intraprendenza e dedizione generosa verso il prossimo, verso il futuro di questa azienda e di tante altre in grave difficoltà».

 

IL LIBRETTO DELLA CELEBRAZIONE

LA VISITA DI GIOVANNI PAOLO II A TERNI – 19 MARZO 1981

 

 

 

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Gubbio – la celebrazione in onore del patrono Sant’Ubaldo 2021

La Cattedrale dei santi Mariano e Giacomo a Gubbio ha ospitato questa mattina il solenne pontificale nella ricorrenza del patrono della città e della diocesi, sant’Ubaldo. Alla celebrazione, presieduta dal suo sessantesimo successore mons. Luciano Paolucci Bedini, hanno partecipato i sindaci del territorio diocesano, insieme alle autorità militari e ai rappresentanti delle istituzioni e delle famiglie ceraiole. La solenne liturgia è stata animata dal coro dei Cantores Beati Ubaldi e trasmessa in diretta sui social media della Chiesa eugubina e sul canale Youtube all’indirizzo https://youtu.be/BhYGtz3YDnI.

Nel corso della celebrazione, il vescovo Paolucci Bedini ha pronunciato la seguente omelia:

In circostanze a dir poco eccezionali, anche quest’anno, celebriamo la festa solenne del nostro santo Patrono Ubaldo. Pur orfani, ancora una volta, della manifestazione più partecipata e popolare della meravigliosa festa dei Ceri, rendiamo qui, uniti e solidali, l’omaggio devoto del popolo eugubino e di tutta la Chiesa diocesana al pastore beato, protettore di questa terra, concittadino e padre di tutti noi. Ci stringiamo con fiducia alla testimonianza di fede di Ubaldo in questi giorni mesti, preoccupati e dolorosi per l’intera nostra comunità. E in questo abbraccio di affetto e partecipazione non dimentichiamo i tanti che, pur sparsi nel mondo, custodiscono le radici profonde in questi luoghi benedetti dal Vescovo santo. Così come le città sorelle di Thann e di Jessup, e i tanti devoti di Sant’Ubaldo. Saluto il Sindaco Filippo e gli altri sindaci del territorio, le altre autorità civili, militari e ceraiole.

Si dice nel vangelo di oggi: “Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio”.
Il giorno della memoria della nascita al Cielo di Sant’Ubaldo cade quest’anno in una delle domeniche più importanti del tempo pasquale, quella dell’Ascensione, ad una settimana dalla Pentecoste. Date molto importanti nella storia del nostro santo vescovo. E la liturgia ci ricorda che grande è l’esultanza del popolo cristiano nel comprendere che, dopo la risurrezione, il Signore Gesù ha portato con sé, in Cielo, nel seno della Trinità santissima, nel cuore stesso della vita divina, la nostra povera umanità che aveva assunto per salvarla dal male e renderci di nuovo partecipi dell’amore di Dio. In Cristo la natura umana ormai è saldamente legata a quella divina e custodita dalla misericordia del Padre.

La preghiera con cui abbiamo iniziato questa celebrazione ci ha fatto dire: “Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode…”.
Non c’è gioia più grande di questa. Scoprirci per grazia cittadini del Cielo. Conoscere che le nostre origini sono da Dio, e la nostra famiglia è quella divina. Sapere che tutti siamo attesi in una dimora di pace e di vita piena per cui siamo stati pensati fin dalla fondazione del mondo. Una casa comune preparata per noi dall’amore di Dio per vivere beati l’eternità che ci è stata donata. Felice approdo di ogni esistenza illuminata e riscattata dalla fede. Santi tra i santi, per sempre.

Ricordano gli Atti degli Apostoli che: “…mentre lo guardavano, – Gesù – fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».
Il Cielo. L’immagine semplice della premura di Dio per ciascuno di noi, e l’orizzonte limpido della nostra speranza. La vetta di ogni nostro cammino. Il terreno buono dove sono state seminate le nostre radici. Quante volte del beato Ubaldo si dice nei racconti della sua vicenda che viveva come se fosse sempre rivolto al Cielo, come se ogni sua parola o gesto fosse ispirato dalla contemplazione del Cielo, di Dio e della sua volontà. In tutta la sua vita di uomo consacrato e, in special modo nel suo servizio episcopale, Ubaldo ricorderà a sé e agli altri che è da Dio che dobbiamo sperare ogni bene e in lui trovare la forza e la luce per attraversare i giorni che ci sono davanti, specie quando sono intrisi di fatiche e di sofferenze. Una profondità di orizzonte e di prospettiva che non ha distratto il nostro Patrono dalle sue responsabilità terrene. È stata infaticabile e concretissima la sua opera di pastore e di cittadino, e mai si è sottratto a ciò che spettava alle sue alte mansioni e alla sua carica spirituale. Tutto questo però era il frutto maturo del suo costante orientamento verso Colui da cui si sentiva amato e inviato. Fu un autentico ambasciatore del Cielo!

Ecco perché un altro grande santo uomo di Dio, come Paolo di Tarso, può dire nella lettera agli Efesini: “…comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati…”.
Se la nostra speranza è radicata nel cuore di Dio, allora la nostra quotidianità è guidata dalla sua presenza e dalla sua forza. E quale uomo di fiducia e di speranza è stato Ubaldo! Quante volte la sua presenza e la sua fermezza ha evitato il peggio, ha rincuorato gli animi intimoriti dei suoi figli, ha ricondotto alla pace ciò che invocava violenza. Gli uomini di fede e di speranza, come il vescovo Ubaldo, vivono d’amore e agiscono per amore. Lo sguardo che sempre tengono rivolto al Cielo di Dio li rende capaci di vedere ogni cosa sotto il segno della misericordia, e riconoscono in ogni donna e uomo prima di tutto una sorella e un fratello da ascoltare e accogliere, da perdonare e comprendere. Così vivendo Ubaldo è diventato l’immagine di quel Dio di tutti, che nutre e sostiene ogni speranza, come dice ancora san Paolo: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti”.

“Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”. E’ la conclusione del vangelo.
Dopo l’Ascensione di Cristo risorto, e l’effusione dello Spirito Santo a Pentecoste, i discepoli diventano testimoni credibili in mezzo alla loro storia, e vanno missionari in ogni angolo della terra forti solo dell’amore di Dio che hanno conosciuto in Gesù e che ormai regge tutta la loro vita. Nella lunga scia dei tanti discepoli-missionari testimoni fedeli del Signore Gesù Cristo certamente figura anche Sant’Ubaldo. La sua compassione, il suo coraggio, la mitezza e la bontà che di lui conosciamo sono luminosi riflessi della misericordia di Dio. Ma chi dice oggi le parole di Ubaldo in questa sua terra? chi prosegue la sua paterna cura in questa Chiesa che ha tanto amato? chi lotta come lui ogni giorno perché tra noi il bene vinca sul male, e i nemici siano riconciliati? Chi se non noi, suoi figli. Noi eredi indegni della sua santità. E chi se non proprio lui, nostro santo pastore, può insegnarcene la via?

Sant’Ubaldo,
nostro patrono,
fedele Ambasciatore del Cielo.

Per la tua fede salda
sei entrato nella gloria dei figli di Dio
e nella beatitudine eterna dell’amore.

La testimonianza della tua vita santa
aiuti anche noi, tuoi figli,
a tenere alto lo sguardo verso Dio,
mentre camminiamo su questa terra.

Nulla ci faccia smarrire
l’orizzonte divino della nostra esistenza,
le radici della nostra speranza
e la sorgente della nostra vita,
perché possiamo vivere tutto
secondo la sua volontà.
Amen.

+Luciano Paolucci Bedini
Vescovo di Gubbio

Gubbio: «Il lavoro non può trasformarsi in morte, perché il lavoro è vita…». E’ il commento della coordinatrice della Commissione per i problemi sociali e il lavoro della Ceu Francesca Di Maolo

«Il nome di Samuel e di Elisabetta si aggiungono ad una lunga lista di persona che hanno perso la vita a causa del lavoro nella nostra Regione e ad una lista ancora più lunga che nel nostro Paese si aggiorna tragicamente ogni giorno. Sentimenti di sgomento, sofferenza e rabbia pervadono tutta la nostra comunità di fronte a queste giovani vite spezzate nell’atto del lavoro». A sottolinearlo è l’avv. Francesca Di Maolo, coordinatrice della Commissione regionale per i problemi sociali e il lavoro della Ceu nell’esprimere, a nome dell’organismo pastorale delle Chiese dell’Umbria, «immenso dolore per la tragedia sul lavoro che si è verificata a Gubbio (il 7 maggio, ndr) e la nostra vicinanza ai familiari, agli amici delle vittime e a tutta la comunità».

Sicurezza sul lavoro fattore rilevante di civiltà. «Se questo è il momento del dolore – prosegue la coordinatrice Di Maolo –, né oggi, né domani può essere il tempo della rassegnazione. Non si può morire di lavoro. Non si può più. Il lavoro non può trasformarsi in morte, perché il lavoro è vita, perché il lavoro è espressione della nostra identità, è partecipazione all’organizzazione economica e sociale del Paese, è espressione e fondamento della nostra democrazia. Per questo la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale fondamentale ed è uno dei fattori più rilevanti della nostra civiltà».

La crisi occupazionale non attenui la sicurezza. «Siamo tutti consapevoli che ci aspettano giorni difficili – evidenzia l’avv. Di Maolo – perché stiamo attraversando una crisi senza precedenti. Di fronte alla crescita della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovani e le donne, c’è il serio rischio che l’attenzione sulla sicurezza del lavoro si attenui. Tutte le Istituzioni e la comunità nel suo complesso devono impegnarsi sulla via della sicurezza sul lavoro con determinazione e responsabilità».

No al lavoro che possa ferire, umiliare o uccidere. «Samuel ed Elisabetta, insieme a tutti gli altri nomi che li hanno preceduti – conclude la coordinatrice della Commissione Ceu –, non diventino per noi solo una doverosa memoria, ma un impegno a custodire la persona che lavora e a fondare realmente la nostra Repubblica di un lavoro degno che esprima tutta la vita delle persone che lo rendono e che mai possa ferire, umiliare o uccidere».

Spoleto – In unione con la maratona di preghiera voluta dal Papa, nei sabati del mese di maggio l’Arcivescovo reciterà il Rosario da Poreta, Bevagna, Eggi e Trevi. Diretta nei canali social.

«Nel mese di maggio alziamo lo sguardo verso la Madre di Dio, segno di consolazione e di sicura speranza, e preghiamo insieme il Rosario per affrontare insieme le prove di questo tempo ed essere ancora più uniti come famiglia spirituale». È iniziata con queste parole la recita del Rosario che il 1° maggio scorso ha avviato la maratona di preghiera dal tema “Da tutta la Chiesa saliva incessantemente la preghiera a Dio (At 12,5)” per invocare la fine della pandemia. L’iniziativa, nata per desiderio di papa Francesco, è promossa dal Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione e coinvolge trenta santuari mariani di tutto il mondo che, a turno, guideranno ogni giorno del mese di maggio, tradizionalmente mese mariano, la preghiera del Rosario per tutta la Chiesa.

L’archidiocesi di Spoleto-Norcia si unisce all’appello del Papa e invita i fedeli ad unirsi alla preghiera del Sommo Pontefice con la recita giornaliera del Rosario. Nei sabati del mese di maggio, poi, l’arcivescovo mons. Renato Boccardo guiderà la preghiera del Rosario da alcuni luoghi mariani del territorio: le persone potranno seguire in diretta nei canali social (Facebook e YouTube) della Diocesi. Date, orari, luoghi:

Sabato 8 maggio, ore 16.30: chiesa di Santa Maria delle Grazie a Poreta di Spoleto;

Sabato 15 maggio, ore 16.30: chiesa della Madonna della Valle a Bevagna;

Sabato 22 maggio, ore 18.30: chiesa della Madonna delle Grazie ad Eggi di Spoleto;

Sabato 29 maggio, ore 16.30: chiesa di Santa Maria di Pietrarossa in Trevi.

Narni – solenne pontificale di San Giovenale. Mons. Piemontese: “San Giovenale ci sostiene a non lasciarci andare allo scoraggiamento e alla china di una indifferenza religiosa che sembra di moda, e al disimpegno civile ed ecclesiale».

La ricorrenza della festa del patrono di Narni san Giovenale, il 3 maggio, è stata celebrata in forma contingentata e ridotta, in ossequio alle norme di contrasto alla epidemia del Coronavirus. Il vescovo Giuseppe Piemontese, ha celebrato il solenne pontificale nella concattedrale di Narni per fare memoria del santo Patrono, e quale segno di unità spirituale nella preghiera per il popolo sofferente a causa del Coronavirus.
Presenti il sindaco Francesco De Rebotti, che ha donato l’olio e acceso la lampada davanti al busto di San Giovenale e recitato la preghiera al santo patrono, i rappresentanti delle parrocchie del narnese che hanno offerto i ceri, i rappresentanti dei Terziari e del corteo storico della Corsa all’anello, i fedeli narnesi. Hanno concelebrato il parroco don Sergio Rossini, i canonici del capitolo della Concattedrale di Narni, i sacerdoti della vicaria di Narni.

L’ardore missionario di San Giovenale
Il vescovo ha rivolto un saluto particolare ai malati, anziani, a coloro che hanno avuto sofferenze e lutti nel tempo della pandemia. Ricordando poi il patrono e primo vescovo di Narni ne ha sottolineato «l’ardore nello svolgere la missione di evangelizzatore. Nella sua qualità di medico, ma anche di custode e guida del popolo, ne divenne il difensore, defensor civitatis: al suo tempo e ancora oggi, in tempo di pandemia, da nemici ancora più subdoli. A lui ci rivolgiamo con fiducia: vigilia oggi sulla salute, sul benessere; guidaci alla concordia, alla pace e alla santità di questa comunità civile ed ecclesiale».

Proteggere e custodire il tesoro della fede
«Questa mattina siamo al cospetto di san Giovenale per incontrarlo e onorarlo – ha aggiunto il vescovo -. E tuttavia vogliamo dare verità al nostro incontro e rispondere al richiamo del santo, che ci propone una sterzata alla nostra vita invitandoci ad essere cristiani fedeli e autentici. Di generazioni in generazione è stata trasmessa la fede delle famiglie, della comunità cristiana cittadina fino a noi, che abbiamo accolto questo tesoro.
Ci chiediamo: quale convinzione, consapevolezza, testimonianza abbiamo e viviamo in riferimento alla nostra identità di cristiani, alla fede e all’amore per Gesù?
Le rilevazioni statistiche, ma anche l’osservazione comune dicono che la frequenza alla messa domenicale, la partecipazione alla vita della chiesa e la coerenza con i principi e valori cristiani è scemata. Il tesoro di conoscenze, convinzioni, amore, ricevuto per l’opera di san Giovenale si va dilapidando, smarrendo. La nostra generazione non è all’altezza di proteggere e custodire il tesoro della fede, dell’amicizia con Gesù, la nostra tradizione cristiana, la solidità della nostra chiesa. Adulti indifferenti, giovani distratti e ammaliati da lucciole e surrogati di felicità, famiglie scombinate dalle fragilità dei tempi, dalla indifferenza spirituale, da malsana laicità. Il tesoro in vasi di creta può conservarsi intatto e custodirsi se la nostra responsabilità fa affidamento sulla grazia di Dio, ed è riconosciuto come dono di Dio».

Una vita cristiana più autentica
«San Giovenale ha donato la sua vita per amore. I cristiani di quella iniziale comunità e dei secoli successivi hanno accolto questa consegna e hanno edificato, in una corale impresa coraggiosa, la chiesa: quella spirituale, questa cattedrale e tanti altri segni ed espressioni della loro fede, che hanno consegnato alle odierne generazioni.
Noi cristiani del XXI siamo afflitti e mortificati perché la festa esterna di san Giovenale si celebra solo on line, virtualmente, la corsa all’anello, momento altro di questa festa non si può mettere in atto, la tradizione si raffredda e i gli interessi sono annullati. Credo sia il momento di porre mano a rafforzare la vera tradizione legata a san Giovenale: la conversione ad una vita cristiana più autentica e la testimonianza cristiana più concreta e visibile».
Il vescovo ha poi ricordato quanti in questo periodo sono stati dei buoni pastori per le persone che hanno avuto accanto ed ha invitato a riflettere sul senso della vita in questo tempo di pandemia: «Molti, di fronte alla sofferenza e alla morte di propri cari ed amici sono stati indotti a riflessioni esistenziali più sentite e a considerazioni sul valore della vita nella sua consistenza e durata. Oggi volgiamo leggere tutto questo alla luce di Gesù Risorto, che dà senso all’esistenza, e di san Giovenale che ci sosteine a non lasciarci andare allo scoraggiamento e alla china di una indifferenza religiosa che sembra di moda, e al disimpegno civile ed ecclesiale».

La celebrazione si è conclusa sulla gradinata della concattedrale, da dove il vescovo Piemontese ha impartito la benedizione alla città.

L’offerta dei ceri
Il 2 maggio, alla vigilia della festa del patrono di Narni San Giovenale, si è tenuta la tradizionale cerimonia “De Cereis et Palii Offerendi”, l’omaggio al vescovo della diocesi di Terni, Narni e Amelia successore di San Giovenale da parte delle autorità comunali della città di Narni, delle sue contrade e dei rappresentanti delle arti. Una cerimonia che in questo anno di pandemia ha avuto una valenza diversa, perché incentrata sull’attualità di questo difficile periodo, e con protagonisti non consueti. Sono stati infatti i rappresentanti del mondo ospedaliero, medico, scolastico, del volontariato, del commercio e dei vari ambiti in particolare lotta al Coronavirus oltre ai consueti delegati dei Terzieri a fare omaggio al vescovo Giuseppe Piemontese.
Hanno consegnato simbolicamente il cero al vescovo Piemontese i rappresentanti delle associazioni di volontariato che, nel tempo del Covid19 sono stati accanto ai deboli e malati; le associazioni di Protezione Civile; le associazioni benefiche cattoliche; coloro che hanno perso il lavoro; medici e infermieri e operatori sanitari; coloro che sono guariti dal Covid; gli insegnanti e gli studenti; una coppia di sposi; gli universitari; gli operatori del turismo, operatori delle arti e dello spettacolo, di quanti hanno continuato ad essere a disposizione del pubblico come i negozianti di generi di prima necessità; una rappresentanza di chi perso i propri congiunti a causa del Covid ed infine i ceri dei cittadini di Narni e dei terzieri.
La consueta simbolica liberazione del prigioniero è stata concretizzata in una raccolta a favore della Caritas diocesana per tutte le famiglie che hanno perso il lavoro.