Nella notte e nel giorno di Natale 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto la Messa nella Basilica Cattedrale di Spoleto. Hanno concelebrato i parroci della Città e la liturgia è stata animata dal coro della Pievania di Santa Maria. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino. All’ingresso della Cattedrale c’erano dei posti tavola confezionati dalla Caritas (piatto, bicchiere, tovagliolo). Si tratta del progetto “adotta un pasto”: le persone hanno lasciato un’offerta e hanno preso il posto tavola, consentendo così alle famiglie povere di trascorrere un Natale sereno e di portare, idealmente, nelle loro case i fratelli e le sorelle più in difficoltà. Davvero generosa è stata la risposta dei fedeli presenti in Duomo.
Dio-con-noi e mai Dio-contro-gli-altri. Il Natale – ha detto il Presule – nell’omelia della notte «non è una “apparizione” di Dio tra gli umani, ma la nascita di un bambino che soltanto Dio poteva dare all’umanità, un “nato da donna” che veniva da Dio e di lui era racconto e spiegazione (cf Gv 1,18)». I cristiani a Natale «stanno in mezzo agli altri con la stessa gioia con cui Dio è venuto in mezzo a noi nel Figlio, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, che non può e non deve mai diventare Dio-contro-gli-altri. Allora il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo – non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, come eco di quella luce che brillò nella notte di Betlemme e che deve brillare ancora oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre della pandemia, del dolore e della paura».
Il rischio di cancellare la parola Natale. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). «Questo mistero – ha detto l’arcivescovo Boccardo nell’omelia della Messa del giorno – è ciò che noi chiamiamo “Natale”, il suo messaggio e il suo contenuto. Anche se “Natale” è una parola che qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune in nome di una “comunicazione inclusiva”. Fondamento di tale modo di vedere è il principio secondo cui l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Con questa autentica aggressione del linguaggio ereditato da secoli di fede e di cultura, si tende a formare individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna categoria ma solo a sé stessi. È il trionfo del puro individualismo. Ed è anche l’annegamento del singolo in una massa informe e indistinta, nella quale egli perde alla fine la propria identità, che per definirsi ha bisogno delle relazioni. Ma le relazioni diventano impossibili, o meramente formali, in una società dove al posto delle differenze ci sono persone che sono solo sé stessi e che non hanno in comune né l’essere uomini né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere islamici, né l’essere credenti né non credenti. Purtroppo queste non sono solo teorie; è la tendenza ad imporre – attraverso le mode, oltre che attraverso il linguaggio – la logica dell’omologazione, che rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita individui sradicati e incapaci di relazioni profonde. Chiunque ragioni libero da ideologie e pregiudizi sa bene che per un mondo dove si realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma piuttosto sull’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero. Insomma, il “rispetto dell’uguale dignità delle persone” non si realizza a spese delle differenze, ma attraverso di esse. Pertanto, noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo».
«Celebrare con frutto il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo – significa perciò lasciarci illuminare dalla luce che viene in questo mondo, senza stancarci o scoraggiarci della strada che dobbiamo ancora percorrere per diventare in pienezza figli di Dio. Celebrare con frutto il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell’uomo, sperimentare la gioia e la pace proprie di chi sa riconoscere in Dio il volto del Padre, di chi sa di poterlo invocare, come e in Gesù, «Abbà» e, per questo, sa riconoscere la grandezza e la dignità di ogni uomo, a qualunque razza, religione e popolo appartenga. Celebrare con frutto il Natale, come evento del nostro cuore, significa irradiare e diffondere l’amore del Padre, testimoniare la sua paternità vivendo la carità verso tutti i fratelli, condividendo le loro situazioni, provvedendo alle necessità materiali dei più bisognosi, mettendoci al servizio della pace e della riconciliazione».
«Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio» (Is 9,5). È in questo modo che il profeta Isaia riferisce la notizia della nascita di un figlio appartenente alla dinastia del re Davide. La gioia però, ancor prima che per la continuazione della corona, scaturisce dalla nascita di un bambino. Comprendiamo bene, in un tempo difficile come il nostro, cosa questo significhi. Nel contesto della crisi demografica in cui versa il nostro paese, nel timore che la pandemia duri ancora a lungo e ci blocchi nelle difficoltà e nelle paure, la nascita di un bambino è il segno della vita che continua, della speranza che rinasce. Il messaggio del Natale è, a guardar bene, di una disarmante semplicità: è nato un bambino. Lo capiscono le famiglie, che attorno alla culla possono riprendere a sorridere, contemplando il mistero della vita che continua. Ecco perché un bambino può venire alla luce in qualsiasi situazione: nei momenti di crisi, come il nostro, o nei luoghi meno adatti o impensabili. Anche negli scenari di guerra, o nei campi profughi, o in una favela, o in un piccolo villaggio di provincia, in Giudea, durante la dominazione romana: ogni nascita, come la nascita di Gesù, è la celebrazione di un dono che viene dato in qualsiasi condizione ci possiamo ritrovare.
Gioisce Gerusalemme. C’è un inno natalizio medievale, intitolato Puer natus, che inizia cantando non tanto la nascita di un principe, ma, in primo luogo, la nascita di un bambino: «Puer natus in Bethlehem, alleluia». Un bambino è nato a Betlemme, alleluia! Ma la nascita di quel bambino di Betlemme esprime molto più di quanto detto finora. L’inno continua infatti con le parole «Unde gaudet Jerusalem»: se un bambino è nato a Betlemme, non sono solo Giuseppe e Maria, i genitori, a gioire: grazie a quel bambino, «gioisce gerusalemme». Quella nascita è un segno per tutta la città santa, per l’intero popolo di Israele, per tutte le nazioni chiamate a salire al tempio ad adorare il Dio di Abramo. Per tale ragione san Gregorio Nazianzeno scriveva: «Celebra la Natività, grazie alla quale sei stato liberato dai legami di una nascita puramente umana, per rinascere a quella divina; onora la piccola Betlemme che ti ha ricondotto in paradiso, adora la mangiatoia» (Discorso 38,17).
In una mangiatoia. Cosa significa per noi contemplare oggi quella mangiatoia? In primo luogo, la tenerezza di Maria e di Giuseppe verso Gesù. Alla nascita di un bambino si accompagna sempre, per i genitori, l’impegno e la responsabilità della custodia di quella vita. Maria, si legge nel racconto di Luca, dopo aver partorito il suo figlio primogenito, «lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Quanto scrive l’evangelista non deve necessariamente implicare che i genitori di Gesù non avessero pensato al parto imminente, e nemmeno che non ci fu ospitalità, a Betlemme, per quella giovane puerpera. Le case di quel tempo, molto semplici, avevano degli ambienti in muratura all’esterno, ma potevano anche sfruttare cavità naturali, grotte, che diventavano i vani più interni e più caldi, adatti per mettere al mondo Gesù. Quella mangiatoia era il luogo dove si trovavano gli animali, ma diventerà un segno più grande, l’unico segno che verrà dato dagli angeli ai pastori: «troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia» (Lc 2,12). Se questo dettaglio così umile, la mangiatoia, ha orientato un giorno i pastori, permettendo loro di entrare in una casa e adorare il Figlio di Dio, e così prendere parte così a una «gioia grande» (Lc 2,10), che cosa dice a noi, oggi, quel segno?
Nutrirsi di Cristo. Sin dall’antichità, e poi nel medioevo, la mangiatoia è stata vista non solo come il luogo dove si nutrivano gli animali, ma come il luogo da dove i credenti potevano nutrirsi di Cristo. Un santo monaco, Aelredo (di Rievaulx), scriveva così, ancora nel dodicesimo secolo: «La mangiatoia di Betlemme è l’altare in chiesa. Qui si nutrono le creature di Cristo. Qui, sotto le specie del pane e del vino, c’è il vero corpo e sangue di Cristo. In questo sacramento noi crediamo che c’è Cristo vero, ma avvolto in fasce, ossia invisibile. Non abbiamo nessun segno così grande ed evidente della natività di Cristo come il corpo che mangiamo e il sangue che beviamo ogni giorno accostandoci all’altare: ogni giorno vediamo immolarsi colui che una sola volta nacque per noi dalla Vergine Maria. Affrettiamoci dunque, fratelli, a questo presepe del Signore (Discorso secondo per il Natale). Sarà quello che poi scriverà anche san Francesco d’Assisi nella prima Ammonizione, collegando strettamente l’incarnazione all’eucaristia: «Ogni giorno il Figlio di Dio si umilia, come quando dalle sedi regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare nelle mani del sacerdote» (FF 144).
Il presepe, segno inclusivo. «Hic iacet in praesepio, qui regnat sine termino». Prosegue in questo modo il canto Puer natus: «Colui che regna per sempre, giace in un presepio». Ecco perché, fratelli e sorelle, dobbiamo ancora andare a quel presepio, e adorare quella mangiatoia. Il presepe è un segno semplice, perché parla a tutti, ai bambini e agli adulti. E se è capace di comunicare il mistero dell’incarnazione ai bambini, allora a noi adulti viene chiesto di diventare – diceva Gesù – come loro, per poter entrare nel regno dei cieli (cf. Mt 18,3) e stupirci di quello che è accaduto una volta a Betlemme e accade ogni volta che celebriamo la memoria della cena del Signore. Il presepe è un segno inclusivo: nel presepe, come si vede bene dalla bella tradizione che continuamente lo aggiorna e vi aggiunge statuine, ci sono tutti; tutti possono accedere a quello spazio, per incontrare Gesù, nessuno è escluso.
Dio ha preso la carne umana. Il presepe, ancora, ci dice che possiamo stare, come mai era avvenuto prima, alla presenza di Dio. Il Dio lontano, che la fede di Israele ci ha insegnato a rispettare come “totalmente Altro”, si fa vicino tanto da poter essere preso in braccio. È quello che farà Simeone, quando accoglierà tra le sue braccia il bambino portato dalla madre e dal padre a Gerusalemme. Prima i pastori, poi i sapienti magi che vengono da lontano, e poi chissà quanti altri uomini e donne avranno potuto gioire in quel giorno, così come gioiamo oggi noi, nel sapere che Dio ha preso la carne umana, e in questa carne si lascia incontrare e accogliere tra le nostre braccia e ora, mentre tra poco celebreremo i riti eucaristici, anche nelle nostre mani.
Celebrata nella cattedrale di Terni la santa messa della Notte di Natale presieduta dal vescovo Giuseppe Piemontese, che rivolto il suo augurio alla comunità diocesana. Nella celebrazione il vescovo ha ricordato la gioia e la speranza che viene dal Natale, la grandezza dell’amore di Dio che diventa uomo e «prende su di sé le qualità, i limiti, le sofferenze e le dinamiche di ogni uomo per farsi vicino, prossimo ad ogni uomo».
E poi un monito ai cristiani a vivere pienamente e il mistero del Natale e la sua spiritualità: «Alcuni hanno smarrito il senso del Natale, non solo del presepio, ma si consolano con surrogati di luci, di spari, di consumi, di baldoria e di regali. Altri, novelli Erode, vorrebbero cancellare, quasi usando il tasto del computer “canc-delete” il Natale di Gesù. Sappiamo che chi vuole cancellare Dio, immancabilmente uccide l’uomo e smarrisce sé stesso.
Anche noi, lasciandoci abbagliare da tante luci artificiali o volgendo lo sguardo altrove di fronte all’umanità affamata, in guerra, in cerca di condizioni di vita dignitose, deformiamo il senso del presepe e del Natale. Questa notte, questo giorno, ognuno di noi alimenti nel suo cuore, nella sua casa, nella sua famiglia il presepio vivo, faccia destare e rendere palpitante quella statuina di Gesù bambino, come avvenne con San Francesco. Diamo vita a Gesù, che dorme nel nostro cuore, destiamolo nel cuore del prossimo, dei bambini, degli uomini e delle donne, tutti fratelli. Quel bambinello porta pace, gioia, amore e benessere.
In questo tempo mortifero della pandemia affidiamoci alla forza e alla grazia del Bambino di Betlemme, che veramente nasce tra noi e per noi».
La messa è stata concelebrata dal parroco della Cattedrale don Alessandro Rossini e dal viceparroco don Saul Bileo e animata dalla coro del Duomo.
Un Natale di solidarietà che, in tempo di pandemia, vuole portare la gioia della festa e la speranza alle persone sole e bisognose, che faccia partecipi tutti della gioia della festa e dell’amore di Dio, soprattutto in un questo difficile periodo che evidenzia il perdurare di una crisi profonda con l’emergere di nuove e gravi povertà, aumentate dalla crisi sanitaria, sociale ed economica della pandemia del Covid 19.
«Il Natale ci ricorda che Gesù si è fatto uomo, si è sporcato le mani e ha preso su di sé i limiti della natura umana – ricorda il vescovo Giuseppe Piemontese -, ha imparato l’arte del vivere umano, fatto di lavoro, di fatica, di studio, di dialogo, di ricerca della verità e di Dio; di confronto rispettoso e pacifico con la comunità, di condivisione del comune destino, di compassione e misericordia, di amore gli uni per gli altri. La carità e la solidarietà sono parte integrante del Natale, nel perpetuare ciò che Gesù Cristo ha fatto e che ci contraddistingue come cristiani. Nella contemplazione del presepe, le nostre città, la nostra Diocesi, possono imparare l’arte di amare e di vivere da uomini liberi e felici. Possiamo imparare a promuovere il bene e il benessere di tutti: specie dei poveri nei quali Gesù ha promesso di identificarsi con maggiore verità».
Il pranzo di Natale in episcopio
Segno di solidarietà con i più poveri è il tradizionale appuntamento natalizio del pranzo di Natale in Episcopio del 25 dicembre (ore13), offerto alle persone in particolari situazioni di disagio, difficoltà e solitudine con il contributo dell’associazione “Terni col cuore” presieduta da Paolo Tagliavento, che ha interamente finanziato il pranzo, preparato con monoporzioni confezionate, dall’antipasto al dolce.
Nel rispetto delle disposizioni anti Covid 19, con il vescovo Giuseppe Piemontese siederanno a tavola 100 invitati (possessori di super greenpass), coloro che sono assistiti dalle associazioni caritative della diocesi, della parrocchia di Santa Maria del Rivo, di altre parrocchie cittadine, alcune famiglie che hanno deciso di trascorre la festa insieme ai più bisognosi della città.
I volontari, anche loro presenti in misura ridotta per le norme sul distanziamento e anti Covid, si occuperanno della buona riuscita della giornata, dall’allestimento all’accoglienza, al servizio ai tavoli, per far vivere ad ogni ospite la gioia di un Natale insieme. Al pranzo di Natale hanno contribuito l’Ast che offre i pacchi natalizi e, come ormai da diversi anni, e gli studenti dell’Istituto “Casagrande – Cesi” di Terni con la preparazione del pampepato dolce della tradizione natalizia ternana.
In ogni possibile evenienza, il pranzo di Natale sarà comunque consegnato da asporto alle persone che hanno dato la loro adesione il 25 mattina.
Le celebrazioni del Natale:
Venerdì 24 dicembre alle ore 23.45 nella Cattedrale di Terni il vescovo presiederà la celebrazione della Notte di Natale,
Sabato 25 dicembre la solenne concelebrazione eucaristica del Natale del Signore alle ore 11 la nella Concattedrale di Narni e alle ore 17.30 la concelebrazione della solennità del Natale nella Concattedrale di Amelia
Nel periodo delle festività dopo Natale, la Chiesa diocesana celebra la conclusione dell’anno venerdì 31 dicembre alle ore 17.30 in cattedrale con il tradizionale Te Deum di ringraziamento presieduto dal vescovo Piemontese alla presenza delle autorità cittadine.
Anche la Caritas diocesana associazione di volontariato San Martino, in occasione del Natale, ha donato alla Casa Circondariale di Terni 500 panettoni per il pranzo di Natale e per quello del nuovo anno. Una solidarietà estesa che si avvale del contributo di tanti benefattori che anche quest’anno per il Natale hanno effettuato raccolte alimentari come gli studenti universitari, quelli del liceo artistico e dell’Istituto Casagrande per gli Empori solidali di Terni e Amelia e per l’Emporio Bimbi della San Vincenzo de’Poali..
Al nono anno la raccolta del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi di Perugia sede di Terni fra le studentesse, gli studenti, gli ex-studenti, i docenti, tutto il personale, in occasione del Natale, a favore della Caritas diocesana di Terni-Narni-Amelia e della San Vincenzo de’ Paoli.
Il Lions Club San Valentino ha donato beni alimentari da distribuire alle famiglie bisognose per i pasti natalizi.
“Sarà possibile uscire dalla crisi in cui versiamo, solo provando realmente a sentirci fratelli e sorelle”. È questo l’augurio del vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino in vista delle festività natalizie. “Nella grotta di Betlemme si raccoglie la speranza del mondo. Siamo convocati come i pastori e i magi a cercare in quel bimbo la carezza di Dio alla nostra umanità. Niente di magico. Dovremo continuare a camminare con le nostre gambe, ma sapendoci raggiunti dal sorriso di Dio. Un sorriso – ha aggiunto – che ci avvolge di misericordia. Ci fa sentire meno soli. Ci spinge ad uscire dai nostri narcisismi per un abbraccio universale”. Intenso il programma delle cerimonie presiedute dal vescovo che nella notte della vigilia di Natale celebrerà la santa messa, nella cattedrale di San Rufino alle ore 23,30 (in diretta sul canale 602 Maria Visione e sulla pagina Facebook della diocesi). Il giorno di Natale celebrazione eucaristica alle ore 9,30 nella concattedrale di Santa Maria Assunta a Nocera Umbra e alle ore 11,30 nella Pro-Cattedrale di Sant’Agostino a Foligno.
Venerdì 31 dicembre il Te Deum di ringraziamento si terrà alle ore 17 nella cattedrale di San Rufino. Sabato 1 gennaio la santa messa sarà celebrata alle ore 11,15 nella concattedrale di San Benedetto a Gualdo Tadino. Giovedì 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore, alle ore 10,30 la santa messa sarà celebrata nella Basilica di San Francesco di Assisi.
Il mondo della sofferenza nel corpo e nello spirito, il mondo del lavoro, del volontariato, giovanile e della famiglia sono gli ambiti della società a cui il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, rivolge la sua attenzione nei giorni delle imminenti festività natalizie. Non l’ha potuto fare lo scorso anno perché convalescente dal Covid-19, ma quest’anno, pandemia permettendo e nel rispetto delle norme di prevenzione del contagio, il cardinale porterà di persona a credenti e a non credenti il messaggio di salvezza – sempre attuale – della venuta del Bambino Gesù tra gli uomini, soprattutto tra gli ultimi del mondo. Ha iniziato lo scorso fine settimana incontrando i giovani, durante la Veglia di preghiera d’Avvento promossa dalla Pastorale giovanile diocesana. Ai giovani, come agli adulti, il presule ha esortato a vivere da “protagonisti il nostro tempo” e “ad assumerci le nostre responsabilità in prima persona, e a non essere trascinati continuamente come noi vediamo che purtroppo succede nella società di oggi… O cambiamo, io per primo – ha detto Bassetti –, oppure il Natale sarà una tradizione bella che passerà come tutte le altre”. Quello che il cardinale compirà nei prossimi giorni non è un rituale, ma un richiamo-testimonianza a vivere da uomini e da cristiani la propria esistenza imitando Colui che è nato in una stalla e si è sacrificato per la redenzione del mondo.
Con il mondo del lavoro e del volontariato. Martedì 21 dicembre, alle ore 11, il cardinale presiederà, nella cattedrale di Perugia, la S. Messa con le Forze Armate al termine di un anno che le ha viste particolarmente impegnate anche nell’opera di contrasto alla pandemia. Nel pomeriggio, alle 15.30, sarà a celebrare l’Eucaristia, presso il “Villaggio Carità-Sorella Provvidenza” di Perugia, con gli operatori delle ‘Edizioni Frate Indovino’ dei Padri Cappuccini e una rappresentanza di volontari della Caritas diocesana con cui è in corso una proficua collaborazione. Mercoledì 22, alle ore 11, in cattedrale, presiederà la celebrazione eucaristica con i collaboratori degli uffici e servizi di curia e con i responsabili degli uffici pastorali diocesani.
Cantiamo insieme la speranza. Sempre il 22 dicembre, alle ore 21.15, sarà tra il pubblico online del concerto dei Cori parrocchiali dal titolo: “Cantiamo insieme la speranza”. Evento canoro che potrà essere seguito sui canali Facebook e Youtube di Caritas Perugia-Città della Pieve, dedicato alla campagna “Emergenza Abitativa”. Durante il concerto si potranno effettuare donazioni per questa campagna promossa dalla Caritas.
Nei luoghi di sofferenza nel corpo e nello spirito. Giovedì 23 dicembre, alle ore 9, il cardinale visiterà il Carcere di Capanne, dove si intratterrà per lo scambio degli auguri natalizi con una rappresentanza di detenuti e detenute e del personale di sorveglianza e rieducativo. Nel pomeriggio, alle ore 17.30, celebrerà l’Eucaristia con i malati e il personale sanitario dell’Ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Perugia. Non mancherà di portare il suo conforto e l’augurio natalizio agli anziani non autosufficienti della Residenza protetta “Fontenuovo” di Perugia nel visitarla domenica 2 gennaio, alle ore 10.30.
Le celebrazioni in cattedrale e nelle parrocchie. Il cardinale presiederà la S. Messa della Notte di Natale, venerdì 24 dicembre, alle ore 24, nella cattedrale di San Lorenzo, mentre la S. Messa di Natale, sabato 25 dicembre, alle ore 11, sarà presieduta dal vescovo ausiliare mons. Marco Salvi. Nel pomeriggio del 25 dicembre, alle ore 18, il cardinale celebrerà l’Eucaristia nella concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio di Città della Pieve. Domenica 26 dicembre, alle ore 11, giorno in cui la Chiesa celebra la Santa Famiglia di Nazareth, incontrerà una rappresentanza di famiglie presso la parrocchia di San Sisto, celebrando con loro la S. Messa. Venerdì 31 dicembre, alle ore 18, e sabato primo gennaio, alle ore 18, celebrerà in cattedrale le S. Messe con il canto del Te Deum (di fine anno) e con il canto del Veni Creator (di inizio anno). Giovedì 6 gennaio, alle ore 11, il cardinale celebrerà, in cattedrale, la S. Messa dell’Epifania del Signore. Nel pomeriggio, alle ore 15.45, si recherà nella parrocchia di San Giovanni Battista in Ferro di Cavallo dove assisterà alla Sacra rappresentazione dell’arrivo dei Magi, promossa dall’Ufficio diocesano di pastorale familiare, animata da famiglie e giovani della parrocchia e del Cammino Neocatecumenale.
Il pranzo di Natale e l’inaugurazione della Mensa. Pur segnato ancora dalla pandemia, sarà comunque un Natale ‘speciale’, quello del 2021, per la ‘famiglia Caritas’ e non solo. Oltre alla ricorrenza dei primi 20 anni dell’iniziativa del Pranzo di Natale che l’arcivescovo consuma insieme a persone in difficoltà e sole (il primo pranzo è stato in cattedrale il 25 dicembre 2001, voluto dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, ritornato alla Casa del Padre lo scorso 2 dicembre), il giorno di Natale, alle ore 12.30, il cardinale Bassetti benedirà e inaugurerà la seconda Mensa che la Caritas diocesana attiva a Perugia città (la prima è stata inaugurata nel 2008, in pieno centro storico, intitolata a San Lorenzo, frutto della collaborazione di Comune e Caritas di Perugia, oggi distribuisce 100 pasti al giorno forniti dal Catering del Comune). La nuova è allestita presso il “Villaggio della Carità-Sorella Provvidenza”, in zona via Cortonese, e sarà fruibile a fine gennaio 2022 da persone che vivono nei quartieri della Stazione Fs di Fontivegge, Madonna Alta, via Settevalli, Prepo e Ferro di Cavallo. Potrà distribuire fino a 50 pasti al giorno, compresi i festivi, inizialmente a pranzo e successivamente l’obiettivo sarà anche la cena a l’implementazione stessa del numero pasti. È una mensa self-service aperta anche a coloro che sono soli, per sconfiggere la solitudine, e quanti potranno si pagheranno il pasto, agli altri gli verrà offerto. La nuova mensa sarà gestita dalla Caritas, dal lunedì al sabato, e dalla Comunità di Sant’Egidio di Perugia, la domenica. Il prossimo pranzo di Natale sarà riservato a non più di 70 ospiti e servito da una dozzina di volontari per le norme di contenimento del contagio da Covid-19 e pandemia permettendo.
La bellezza del pranzo di Natale. “Il 25 dicembre torniamo a festeggiare in presenza il pranzo di Natale – annuncia don Marco Briziarelli, direttore della Caritas diocesana–, riservato a una rappresentanza dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in povertà: famiglie accolte nel ‘Villaggio Sorella Provvidenza’, ospiti della casa di prima accoglienza ‘Sant’Anna dei Servitori’, utenti della ‘Mensa San Lorenzo’ e le persone in difficoltà seguite dalla Comunità di Sant’Egidio. La bellezza di questo pranzo, che inizierà con la benedizione e l’inaugurazione della nuova mensa da parte del nostro pastore, il cardinale Bassetti, è l’ennesima testimonianza della condivisione e solidarietà che si è mossa intorno a questo evento. È significativo che il pranzo di Natale – conclude don Marco Briziarelli – si tenga al ‘Villaggio Sorella Provvidenza’ divenuto centro della Carità della nostra Chiesa, punto d’incontro per persone in povertà della nostra città. È per noi motivo di gioia diventare ponte di collaborazione e di rete con altre realtà socio-caritative ecclesiali e non solo, che si occupano di povertà”.
Un applauso caloroso ha salutato il vescovo padre Giuseppe Piemontese a conclusione della solenne celebrazione di ringraziamento nella Cattedrale di Terni per la fine del suo ministero pastorale nella diocesi. Tante le attestazioni di stima e di affetto da parte dei sacerdoti, diaconi, religiosi, rappresentanti di associazioni e movimenti ecclesiali, autorità civili e militari, fedeli delle varie parrocchie che hanno partecipato alla celebrazione.
“Ho sfogliato l’album delle fotografie di questi anni, l’annuario dei vivi e dei defunti, gli atti della visita pastorale – ha detto il vescovo nell’omelia – ho richiamato alla memoria i fatti, i visi, le particolarità e i doni di quanti ho conosciuto e frequentato. A tutti e a ciascuno rivolgo oggi un pensiero di amicizia e di gratitudine, accompagnata da una preghiera e anche da una richiesta di scusa o di perdono. Sette anni e mezzo non è un tempo lungo per un mandato episcopale in una diocesi – -. Conoscere persone, fatti e situazioni, intessere relazioni, creare sintonia, avviare programmi, richiede tempo per la progettazione, la condivisione, la realizzazione, la verifica. Le imprese umane e spirituali richiedono tempo, decantazione e assestamento. Guardando indietro mi rendo conto di quante iniziative avviate sono rimaste a metà, in corso d’opera. E tuttavia questi sette anni, con tutte le difficoltà e criticità ricevute in consegna all’inizio, sono stati anni benedetti, tempo di Dio, spazio di grazia, fecondato dallo Spirito Santo, guidato e addrizzato dal Buon Pastore, realizzato con la forza, la fatica e la collaborazione di tutti voi.
Ad uno sguardo d’insieme appare chiaro che sono stati anni chiaramente distinti nei periodi, nei percorsi programmatici pastorali e nelle provocazioni per il futuro.
Nel binomio Comunione e Missione è l’alveo, il percorso, i contenuti e lo stile per gli anni del mio ministero nella Chiesa diocesana . Un programma, scaturito dalla urgenza di superare la stato di frammentarietà, divisione e autoreferenzialità delle varie realtà diocesane, e declinato e modulato nei varie circostanze temporali fino a imboccare decisamente l’alveo della sinodalità, secondo l’incoraggiamento di papa Francesco”.
Il vescovo ha quindi ricordato i momenti più significati per la comunità diocesana: l’anno santo della Misericordia con il giubileo di tutte le categorie sociali, civili e religiose, culminato nell’ingresso processionale e penitenziale della Porta santa della cattedrale, la preparazione e la realizzazione della visita pastorale (2017-2019); le feste dei santi patroni e in particolare quella di San Valentino; gli ultimi anni caratterizzati dalla pandemia, che ha incoraggiato la comunità a rafforzare la comunione nel tempo della quarantena e nella missione dell’annuncio del vangelo e della carità in una grave situazione di emergenza umana, sociale e religiosa e il 40° anniversario della visita di papa San Giovanni Paolo II a Terni e alle Acciaierie che è stata l’occasione per riproporre i messaggi sul vangelo del lavoro, tutt’ora attuali, rivolti dal papa polacco agli operai, alla città e alla Chiesa diocesana sul tema del lavoro e della comunione con gli operai.
Ed infine l’esortazione a volgere sempre lo sguardo alla stella di Maria: “Con un po’ di presunzione, parafrasando l’apostolo Paolo, con buona coscienza, ardisco affermare di essermi sforzato di farmi tutto a tutti – ha concluso padre Piemontese -. Confido nella misericordia del Padre e nelle vostre preghiere. Come ho detto ai ternani, così ripeto alla Chiesa diocesana; sii te stessa… volgi lo sguardo alla stella, che è Cristo, la stella polare, la stella cometa che ha guidato i magi, la stella di Maria. Continuate ad essere forti in questo tempo di pandemia, di trasformazioni, di ripresa e di rinascita. Il Signore vi benedica e vi dia la Pace!”
Hanno portato il saluto della comunità sacerdotale don Salvatore Ferdinandi vicario generale, suor Roselene per i religiosi, il segretario del consiglio pastorale diocesano Francesco Meschini, per le associazioni Luca Diotallevi presidente dell’Azione Cattolica diocesana e il sindaco di Terni Leonardo Latini a nome di tutti gli amministratori della diocesi.
IL SALUTO DI LUCA DIOTALLEVI
Carissimo mons. Vescovo,
i “grazie” di circostanza lasciano in bocca un sapore cattivo ed alla fine contraddicono se stessi.
Se questa verità vale per tutti, per noi cristiani a questa si aggiunge il comando evangelico di non giudicare. Questo comando, prima ancora che vietare ogni condanna, invita a non pensare di aver capito tutto e subito degli eventi ed a maggior ragione di quelli in cui siamo stati coinvolti. Sicché ci si deve chiedere se in una come questa resta qualcosa da dire che non sia affetto da ipocrisia o da superbia intellettuale? Sì, qualcosa resta: non possiamo giudicare, ma possiamo – e dobbiamo – ricordare. Ricordare: richiamare la cuore, laddove la fede è scelta.
Innanzitutto possiamo ricordare come ci siamo incontrati. Possiamo ricordare in quali difficoltà eravamo noi come Chiesa di Terni Narni Amelia e possiamo ricordare quanto fosse lontano non dico dai Suoi disegni, mons. Vescovo, ma anche solo dalle Sue ragionevoli previsioni il ministero che il Papa La chiamò a svolgere tra di noi.
Possiamo ricordare anche le tante vicende difficili che abbiamo attraversato insieme in questi otto anni. L’aggravarsi della crisi sociale, civile e culturale di questa nostra porzione di mondo, la crescente fragilità di alcuni elementi della struttura ecclesiastica di questa nostra Chiesa, l’inaspettata prova della pandemia; e ancora dobbiamo ricordare tante morti, tanti addii ad amici preziosi, senza i quali ogni volta ci è sembrato impossibile continuare il cammino.
Possiamo ricordare dove siamo ora, e lo dobbiamo. Oggi tutta la Chiesa universale ci riconosce ancora non come un gruppo di credenti, ma come una Chiesa particolare viva. Non era affatto scontato ed invece è successo. Ed è come Chiesa particolare di Terni Narni Amelia che oggi ci ritroviamo protagonisti di un nuovo coraggioso tentativo di assumere l’invito evangelico e conciliare al rinnovamento, ad un rinnovamento sinodale.
Su queste e su tante altre memorie le Scritture e l’intera Tradizione della Chiesa gettano una luce potente e così ci consentono di gettare uno sguardo di fede. È a questa luce che ci appare qualcosa di inatteso, qualcosa di bello, qualcosa su cui meditare, qualcosa che possiamo e dobbiamo dirci, qui, questa sera.
Otto anni fa, quando ci siamo incontrati, non ci eravamo scelti, noi e Lei. Tuttavia, una volta incontrati, abbiamo provato a cercarci, e questo cercarci allo Spirito santo, miracolo della Comunicazione, già basta per entrare all’opera. Con tutti i nostri limiti in questi otto anni noi e Lei ci siamo cercati, abbiamo provato ad incontraci davvero. Un ricordo per tutti: dopo lustri, Lei ci è venuto a cercare con una vera visita pastorale.
Sia noi che Lei potevamo limitarci a seppellire i morti ed invece, Lei per primo e poi anche noi, abbiamo cercato di lasciarci interrogare dalla testimonianza di chi era già arrivato alla Casa del Padre, così come Lei e noi abbiamo provato a rimanere amici di chi per poco tempo o per tanto ha scelto di abitare altre case.
La memoria che dopo otto anni abbiamo in comune è anche quella di tanti gesti di cui ancora ci chiediamo come sia stato possibile avere la forza. Mentre compivamo alcuni di questi gesti – senza che ce l’aspettassimo – l’abbiamo trovata accanto a noi: penso alle opere di carità e di amicizia che abbiamo condiviso, penso a tutte le volte in cui abbiamo provato ad elaborare agende civili all’altezza della crisi delle nostre città. Noi non l’abbiamo “sentita” vagamente vicino a noi, a volte anche inaspettatamente è successo che abbiamo trovato il vescovo fisicamente vicino a noi.
Inutile illudersi, non abbiamo fatto tutto quello che potevamo e dovevamo e quello che abbiamo fatto non sempre l’abbiamo fatto nel migliore dei modi. Però, proprio mentre raccogliamo queste e tante altre memorie di otto anni vissuti insieme, ci accorgiamo di un fatto ben più grande di ogni nostro merito o demerito, un fatto enorme ed indiscutibile: con questi otto anni il Signore ci ha donato del tempo, il Signore ha donato a Lei e a noi altro tempo. Otto anni fa, il Signore non ha tirato le somme della Sua vita e della vita della nostra Chiesa, non ci ha né cancellati (come forse avremmo meritato) né ci ha parcheggiati. Ci ha donato altro tempo e ci ha associato ancora una volta al suo operare. È innanzitutto in questo fatto che dobbiamo riconoscere un segno. Come ci insegna la seconda lettera di Pietro, donandoci tempo da vivere insieme, non cessando di accompagnarci lungo questo tempo donato, ancora una volta il Padre ha manifestato la sua magnanimità. Pian piano forse cominceremo a capire meglio qualcosa dei singoli eventi e delle scelte di questi otto anni. Già ora, però, di essi le Scritture ci svelano la verità fondamentale. Con questi otto anni ci è stato donato del tempo, tempo che abbiamo vissuto insieme, come Chiesa. Leggiamo al cap. 3 della 2 Pt: «Il Signore non ritarda (…), come alcuni credono (…), ma è paziente verso di noi, non volendo che alcuno perisca (…). Perciò, carissimi, (…) la magnanimità del Signore nostro [il suo donarci tempo] consideratela come salvezza».
Se non affrettiamo giudizi definitivi, se non cediamo all’ipocrisia, se facciamo memoria, allora ci accorgiamo che questi otto anni sono stati Grazia, sono stati già Salvezza; otto anni in cui – come Chiesa e perché Chiesa –abbiamo di nuovo sperimentato che il Signore non abbandona e dà sempre nuove possibilità.
Tutto questo ci è avvenuto come Chiesa e perché Chiesa. In questi otto anni Lei è stato il nostro Vescovo, vescovo in questa Chiesa e per questa Chiesa. Senza di Lei non saremmo stati questa Chiesa che siamo stati, e verso la quale il Signore è stato magnanimo.
Invece che su ipocrisie di circostanza, invece che su giudizi umani affrettati, ecco una base solida a partire dalla quale possiamo esprimerLe con sincerità ed affetto la nostra gratitudine.
Che il Cristo, quando tornerà, ci trovi ancora così, consapevoli della magnanimità del Padre suo e Padre nostro.
Aiutiamoci sempre gli uni con gli altri a rimanere in questa coscienza. E Lei, mons. Vescovo, nel modo in cui Le sarà possibile, ci aiuti a rimanere nella coscienza dell’Amore infinito e salvifico di Dio per noi, Amore per la cui forza non c’è miseria da cui non ci si possa rialzare per ricominciare.
Tradizionale appuntamento in preparazione al Natale per il mondo del lavoro con la celebrazione prenatalizia per i lavoratori e familiari della Acciai Speciali Terni, officiata dal vescovo Giuseppe Piemontese nella Cattedrale di Terni, il 16 dicembre alle ore 10.30, alla presenza dell’amministratore delegato dell’Ast Massimiliano Burelli, del sindaco di Terni Leonardo Latini, del Prefetto di Terni Emilio Dario Sensi, del Questore Bruno Failla, delle altre autorità civili e militari, della dirigenza aziendale, dei lavoratori e loro familiari.
Una messa non solo per sperimentare la gioia natalizia, ma anche per trovare ragioni di speranza per il futuro delle aziende e della città, in un anno ancora caratterizzato dai problemi conseguenza della pandemia, i disagi economici e povertà.
Una celebrazione che si colloca alla conclusione dell’anno speciale di san Giuseppe lavoratore e delle iniziative del 40° anniversario della visita di Papa San Giovanni Paolo II alle Acciaierie di Terni e alla città e diocesi di Terni-Narni-Amelia il 19 marzo 1981.
Il vescovo ha espresso sentimenti di gratitudine per il rapporto avuto in questi anni con Ast, in quella che è stata la sua ultima celebrazione per l’acciaieria, al termine del ministero a Terni: «La mia stima ho cercato di manifestarla con la mia presenza ininterrotta alle messe di Natale e di Pasqua e con l’interessamento alla vita delle Acciaierie in dialogo con tutti. Grazie per le iniziative legate all’evento dei 40 anni della visita di papa san Giovanni Paolo II alle Acciaierie e a Terni. Auspico che si sviluppino sempre migliori relazioni a beneficio di tutti».
«Ci ritroviamo per questa messa natalizia organizzata dalle Acciaierie per manifestare la fede cristiana e celebrare insieme il mistero della Incarnazione-Natale, e scambiarsi gli auguri di buon Natale e buone feste e felice e fecondo anno nuovo.- ha detto il vescovo nell’omelia -. Come sempre si alternano e si confondono motivi di sofferenza e di speranza come in tutte le situazioni e gli eventi che stiamo vivendo in questo periodo. La fiducia di uomini e donne forti e coraggiosi, le energie dei giovani, la forza della fede nella presenza di Dio nella storia ci incoraggiano all’ottimismo nonostante crisi e conflitti. Il senso del Natale che ritorna ogni anno, per cristiani e per l’umanità, è questo».
Ed infine l’augurio per il futuro dell’acciaieria e ai lavoratori: «Nel tempo che attraversiamo, se unissimo le nostre forze e fiduciosi invocassimo l’aiuto di Cristo, avremmo la luce, la forza e l’entusiasmo per migliorare le condizioni nostre e della società. L’augurio che rivolgo a ciascuno di voi, alle vostre famiglie e alla vostra azienda, che è avvertita come la famiglia di tutti i ternani, è che possiate affinare lo sguardo per affrontare i problemi e le difficoltà quotidiane con la prospettiva di Giovanni Battista, di san Giuseppe artigiano e con la forza che viene di Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, lui stesso figlio del carpentiere, uno di noi».
La messa è stata animata dalla Corale del Cuore diretta dal maestro Romano Quartucci.
“Carissimo Emmanuel il tempo è compiuto anche per te: tra pochi istanti sarai ordinato presbitero. I cinque presbiteri, ordinati il 29 giugno di quest’anno, qui presenti: Daniele, Michael, Samy, Simone e Vittorio, con gioia e trepidazione attendono il tuo ‘eccomi’”. Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha esordito nell’omelia pronunciata alla celebrazione eucaristica dell’ordinazione sacerdotale del giovane seminarista Emmanuel-John Boluwatife Olajide, originario della Nigeria, avvenuta in una gremita cattedrale di San Lorenzo di Perugia, l’8 dicembre, solennità dell’Immacolata Concezione, nel rispetto delle norme di contenimento del contagio da Covid-19. Concelebranti sono stati il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, il rettore del Pontificio Seminario Umbro “Pio XI” di Assisi don Andrea Andreozzi e diversi sacerdoti. Presenti i compagni di seminario e numerosi fedeli provenienti anche dalla Nigeria e dalle parrocchie di Magione, Case Bruciate, Elce, Sant’Agostino e Madonna Alta di Perugia e di Marsciano dove il neo sacerdote ha prestato servizio durante la formazione. In quest’ultima, come ha annunciato il cardinale, don Emmanuel presterà il suo ministero sacerdotale e sarà la sua “scuola”. Il presule ha rivolto anche parole di gratitudine alla famiglia di don Emmanuel e alle comunità parrocchiali che lo hanno accolto e aiutato nel periodo del suo discernimento vocazionale.
Sei ordinazioni nel 2021. Il cardinale Bassetti, all’inizio della celebrazione, ha parlato di “una solennità di Maria Immacolata che porta una sorpresa, una ordinazione al presbiterato”, la più giovane del suo episcopato (don Emmanuel compirà 24 anni il prossimo 31 dicembre), “che con l’aiuto di Dio – ha proseguito – completa un evento per la nostra Chiesa diocesana, quello di vedere ordinati in un anno sei sacerdoti. Le vocazioni sono un grande dono del Signore e sono destinate per genesi al popolo di Dio dove nascono. Il Signore, con queste sei ordinazioni, ci ha dato un segno di misericordia che dobbiamo cogliere e ringraziare”.
La scelta di Dio. Il presule, rivolgendosi nell’omelia all’ordinando, ha detto: “Come vedi ti ho scelto per il Presbiterato nel giorno festoso in cui la Chiesa celebra la scelta di Dio su Maria. Certo, questa scelta di Dio, che si concretizza nell’Immacolata Concezione, viene da lontano, da prima della creazione. Ma anche la mia scelta su di te viene da lontano: dalla scelta di Dio che è anche per te prima della creazione del mondo. È davvero emozionante soffermarsi a riflettere che molto prima di essere nelle mani di Dio, come lo siamo in questo tempo presente, tutti, fin da sempre, siamo stati nel suo pensiero e nel suo cuore: già eravamo con Lui quando creò il mondo”.
Maria, madre dei sacerdoti. “Guardando oggi Maria Immacolata siamo invitati a contemplare in te, Emmanuel, le meraviglie dell’amore di Dio. L’ordinazione sacerdotale nella solennità dell’Immacolata, fatto straordinario per la nostra Diocesi, ci porta naturalmente a considerare il rapporto che c’è tra la Madonna e il sacerdote. Non si tratta di un rapporto occasionale dovuto alla coincidenza. È un rapporto che sta dentro la verità delle cose, perché è scelta amorosa di Dio. Infatti Maria, per volontà di Dio, come ‘generosa socia del divin Redentore’, come dice la Lumen gentium, fu ‘associata’ e ha accompagnato tutta l’opera salvifica di Gesù, dal momento del concepimento verginale di Cristo fino alla sua morte. Riguardo a tutta la vita del Figlio, essa è sempre stata, in un modo in un altro, vicino a Lui. Gesù l’ha detto con chiarezza nel testamento della Croce quando ha affidato Giovanni a Maria e Maria a Giovanni, un intreccio anche nella vita di noi sacerdoti e la Madonna. Il discepolo che accoglie le parole: ‘ecco tua madre’ è lo stesso discepolo che il giorno prima, nel Cenacolo, ha accolto le parole dalle labbra di Gesù: ‘fate questo in memoria di me’. Proprio meditando questo rapporto, Giovanni Paolo II esclamava: ‘Maria è in modo particolare la nostra madre, la madre dei sacerdoti”.
Imitare Maria. “Carissimo Emmanuel, da questo momento accogli anche tu Maria nella tua esistenza, dandole quel posto che merita la madre di Cristo, la nostra madre, Colei che figura ed è modello della Chiesa nell’ordine della fede, della carità e della perfetta unione con Cristo. Accoglila come la prima evangelizzata e la prima evangelizzatrice. Non è lei che ha ricevuto per prima ed in modo pieno l’annuncio della salvezza? Se tu sei chiamato a portare a tutti la buona novella, riascoltando ogni giorno l’invito del maestro a portare il lieto annuncio ai giovani, ai poveri… Tu per primo dovrai spalancare il cuore alla parola di Dio accogliendo nella tua vita il mistero dell’incarnazione, che per il ministero dei presbiteri si realizza sull’altare. Con questa rassomiglianza profonda del presbitero con Maria io ti dico: fai come Lei, imitala nel fare la volontà di Dio e abbandonandoti alla Parola del Signore”.
Non abbandonare nessuno. Il cardinale Bassetti, avviandosi alla conclusione e rivolgendosi ancora una volta a don Emmanuel, ha detto: “Difronte a quello che Dio dice, difronte a quello che Dio dona, ripeti anche tu spesso ‘l’eccomi’ di Maria, facendolo crescere di giorno in giorno nella tua vita. Come Maria raggiunse in fretta la montagna di Giuda, anche tu, ricco della Parola e ricolmo dello spirito di Cristo, va senza indugio dove abitano gli uomini e le donne tuoi fratelli. Essi attendono i gesti della tua carità, forse senza saperlo, attendono di ricevere da te Colui che è la luce, il calore, la speranza, il senso, il compimento della vita umana. Corri sempre Emmanuel dai fratelli, portando con te la presenza di Cristo, anzi corri portato da Lui, che, attraverso di te, ancora continua ad avere compassione della folla, a sfamare le moltitudini, a guarire i malati, a perdonare i peccati; quindi a non lasciare nessuna sorella e nessun fratello soli sul loro cammino. Non abbandonare mai nessuno! Attraverso il ministero dei presbiteri Gesù continua ad essere compagnia dell’uomo pellegrino”.
La Chiesa sinodale. Infine, rivolgendosi a tutti i presbiteri, il cardinale ha esortato ad essere “come l’apostolo Giovanni: accogliete Maria nella vostra vita, prendetela con voi e vi sia di grande conforto la certezza che, prima ancora è Maria che vi prende con sé. Caro Emmanuel, guarda la Chiesa nei suoi primi giorni come è descritta dagli Atti degli Apostoli: ‘Erano tutti assidui e concordi nella preghiera insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù’. Che spaccato stupendo della Chiesa sinodale che ha concepito papa Francesco. E’ così che dobbiamo camminare anche noi. Abbiamo dinanzi Maria ancora al centro della Chiesa, perché al centro della Chiesa possa esserci Gesù. Maria, che oggi cantiamo Immacolata, sia il centro della tua vita e di tutto il popolo di Dio e aiuti tutti noi presbiteri e particolarmente te ad essere in tutto e per tutti sacramento credibile della presenza di Cristo Salvatore”.
Tra gli ordinati uno nero. Al termine della celebrazione, come è la consuetudine, ha preso la parola il neo sacerdote. Tra i diversi ringraziamenti rivolti, “uno in particolare”, come lo stesso don Emmanuel l’ha definito, allo scomparso seminarista Giampiero Morettini, oggi venerabile servo di Dio. “Giampiero ci insegna che il cammino verso la santità è possibile”. Rivolgendosi al cardinale Bassetti don Emmanuel ha detto: “Grazie eminenza per aver creduto nella mia vocazione, anche nei momenti di dubbi si è reso strumento di Dio nella mia vita e mi ha introdotto in maniera particolare alla comunità diocesana, che oggi diventa la mia famiglia, e per mezzo delle sue mani entro a far parte della famiglia presbiterale perugino-pievese. La sua paternità dimostrata è stata ed è segno visibile della paternità di Dio verso di me. Certo, abbiamo dovuto insieme vivere le doglie del parto di questa vocazione e su trenta presbiteri della nostra Chiesa da lei ordinati è per lei motivo di vanto ci doveva scappare uno nero per forza. In questo tempo di attesa, certamente non facile, ho imparato la prima lezione, forse la più importante sull’obbedienza, che perfino il principe della Chiesa deve l’obbedienza alla Chiesa. Vivere questo tempo di grazia, di attesa, non mi sono sentito solo perché tutto il popolo di Dio in Perugia-Città della Pieve attendeva insieme a me la realizzazione di questo giorno a cui va tutta la mia gratitudine”.
Per l’imposizione delle mani e la preghiera di consacrazione del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, il seminarista Emmanuel John Olajide Boluwatife sarà ordinato sacerdote mercoledì 8 dicembre (ore 17), solennità dell’Immacolata Concezione, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia. La comunità diocesana perugino-pievese si appresta ad accogliere con gioia questo nuovo giovane presbitero, il sesto ordinato dal cardinale Bassetti nel 2021.
“L’arrivo di un nuovo sacerdote è un evento di festa e di arricchimento spirituale, pastorale e sociale per una Diocesi e per la comunità locale dove andrà a svolgere il suo ministero”. Ad evidenziarlo è il vice rettore del Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI” di Assisi, il perugino don Francesco Verzini, nel tracciare una breve nota biografica dell’ordinando sacerdote.
“Emmanuel John Olajide Boluwatife, della parrocchia di San Giovanni Battista in Magione, ha 23 anni – sottolinea il vice rettore –, nato in Nigeria dove ha frequentato il Seminario Minore ed ha poi raggiunto la sua famiglia in Italia, proseguendo gli studi teologici presso il Pontificio Seminario “Pio XI” di Assisi. È stato ordinato diacono dal cardinale Bassetti, nella basilica di San Domenico di Perugia, il 12 settembre 2020, festa diocesana della Madonna della Grazia, con don Samy Cristiano Abu Eideh, don Vittorio Bigini, don Daniele Malatacca, don Strappaghetti e don Michael Tiritiello. Mentre gli altri cinque diaconi sono stati ordinati presbiteri il 29 giugno scorso, don Emmanuel verrà ordinato il prossimo 8 dicembre perché ancora non aveva raggiunto l’età canonica per assumere tale ministero. Accogliamo questo nostro fratello nel Presbiterio diocesano esprimendo immensa gratitudine al Signore per avercelo donato, augurando a don Emmanuel di vivere in pienezza e in comunione il suo ministero al servizio della Chiesa e del popolo di Dio”.
L’ordinazione, tenendo conto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento del contagio da Covid-19, sarà possibile seguirla anche in diretta streaming: https://youtu.be/6hms36cFDKg, scaricabile dal link: http://diocesi.perugia.it/wp-content/uploads/2021/12/Indicazioni-ORDINAZIONE-PRESBITERALE-don-Emmanuel-Jhon.pdf
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