Cascia festa di Santa Rita – Solenne pontificale presieduta dal Card. Pietro Parolin Segretario di Stato di Sua Santità.

All’inizio della Messa l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo così si è rivolto al Porporato: “Un saluto cordiale di benvenuto Eminenza, la sua presenza tra noi ci porta in un qualche modo alla presenza stessa di Papa Francesco al quale le chiediamo di trasmettere il nostro ricordo devote e l’assicurazione della nostra preghiera. A lei Eminenza assicuriamo il sostegno della nostra preghiera in questo particolare momento in cui il suo ministero affronta difficoltà e prove nella ricerca di un dialogo continuo, di soluzioni di pace e di giustizia per il popolo dell’Ucraina”.

L’OMELIA DEL CARDINALE PAROLIN
Carissimi fratelli e sorelle,
ringrazio il Signore di poter celebrare l’Eucarestia, in occasione della festa liturgica di santa Rita, su questo sagrato della Basilica a Lei dedicata a Cascia, dove dal 18 maggio 1947, anno della sua consacrazione, riposano le sue spoglie mortali e sono custoditi alcuni preziosi ricordi, come il suo anello nuziale e il Crocifisso dal quale partì la spina che colpì e si conficcò nella sua fronte.
Qui, ogni spazio, anche il più piccolo, narra la sua straordinaria esperienza di Dio, i luoghi in cui pregava, come il coro, e la cella dove visse e morì. Anche il vicino e antico borgo medievale di Roccaporena conserva le memorie a lei più care: la casa in cui nacque, la chiesa dove si sposò, il lazzaretto nel quale accudiva i malati e la chiesetta dove pregò Dio perché i suoi figli non si vendicassero degli uccisori del padre. E poi il suo “scoglio”, ovvero il colle su cui si ritirava a pregare da sola, inerpicandosi tra cespugli e rocce fino ad arrivare in cima, lontano dalla confusione del mondo e dal travaglio del vivere quotidiano.
Saluto con grande affetto tutti voi qui presenti e quanti ci seguite attraverso TV2000, in particolare l’arcivescovo di Spoleto-Norcia, Mons. Renato Boccardo, il priore generale degli Agostiniani, padre Alejandro Moral Anton, il provinciale d’Italia, padre Giustino Casciano, i padri agostiniani e i cari sacerdoti della diocesi di Spoleto-Norcia. Sono molto grato per il gentile invito.
Saluto anche con viva cordialità le Autorità civili e militari e le monache agostiniane, nel cui monastero Santa Rita ha vissuto ed è stata di esempio per quaranta anni.
Siamo davvero in tanti oggi a rendere omaggio a santa Rita per deporre nelle “sue mani” il proposito di imitarne le virtù, in particolar modo quelle del perdono, della pace, della carità e della sofferenza.
All’intercessione di questa umile donna di Roccaporena affido le tante intenzioni del Santo Padre Francesco, che non cessa di far sentire quotidianamente la sua voce affinché si spezzi quanto prima l’inutile spirale di morte in Ucraina. In questa terra di fede e di pace, qual è l’Umbria, auspico che siano ripresi presto i negoziati e si possa giungere finalmente alla tanto desiderata pace. La violenza – ci ricorda la vicenda di questa donna di fede – non risolve mai i conflitti, ma soltanto ne accresce le drammatiche conseguenze.
Le vicissitudini di questa monaca agostiniana, come è noto, sono state tramandate nel tempo per quella tradizione orale e popolare che la chiama la “santa degli impossibili e avvocata dei casi disperati”. Una santa cara al cuore di tanta gente semplice, che non cessa di invocarla per la conversione dei cuori e per ravvivare la speranza.
Della sua vita sappiamo che, quando fu data in sposa a sedici anni a Paolo di Ferdinando di Mancino, ebbe modo di conoscere da vicino gli effetti devastanti degli odi familiari e di addolcire, con le preghiere e con l’esempio, il carattere indocile e violento del marito. Non sappiamo perché Paolo poi fu assassinato, né le ragioni per cui, poco tempo dopo, i suoi due figli morirono in giovane età. Sappiamo però che Rita indicò loro la via della riconciliazione e del perdono.
Negli atti del processo di beatificazione, svoltosi nel 1628 sotto Urbano VIII a quasi due secoli dai fatti, è riportata la deposizione di Antonio Cittadoni, console di Cascia, di 74 anni, che ricordava i racconti uditi da bambino dal nonno Cesare: «Io, dopo che conosco bene e male, ho inteso dal detto Cesare mio avo, come da tutti gli antichi di questa terra, che la beata Rita era vissuta santamente… in particolare che aveva pregato sempre Dio per quello che gli aveva ammazzato il marito e che essa nascose la camicia insanguinata del marito… acciò i figli vedendola non si movessero alla vendetta» (Documentazione antica ritiana II, p. 37).
Davvero Rita è la donna forte e la vergine saggia che in tutti gli stati della vita indica quale sia la via autentica alla santità come sequela fedele di Cristo fino alla morte. Segregata dal mondo ed intimamente associata al Cristo sofferente, ella ha fatto rifluire nella comunità dei fratelli il frutto della sua profonda unione al Cristo morto e risorto.
Carissimi, l’esempio di questa donna innamorata di Dio ci ricorda che è ora di riproporre a tutti con convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria.
Nell’esortazione apostolica Gaudete et Exultate (19 marzo 2018), Papa Francesco ha scritto: «Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito, di tua moglie […]. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali» (n. 14). In altri termini, la via della santità non è fatta di gesti eroici, ma di gesti ordinari compiuti, però, in modo straordinario, come quelli di santa Rita.
La vita della santa di Cascia e dei santi in genere è la massima glorificazione della natura umana, perché in essa più che mai la natura si è rivelata «narrazione della gloria di Dio» (cf. Sal 8). In nessun altro caso come nella vita dei santi si comprende bene che vivere è lodare. La santità è lo stato di colui che giunge a mettere nella vita il più di divino possibile, portando al massimo le sue capacità naturali, intellettuali e morali.
In una massima di Pascal leggiamo: «Per fare di un uomo un santo bisogna assolutamente che agisca la grazia di Dio; chi ne dubita non sa né cosa sia un santo né cosa sia un uomo». La santità, dunque, rimane una realtà soprannaturale che non si risolve nello sforzo puramente umano, né in una perfezione di tipo naturalistico. Essa ha origine in Dio, dallo Spirito di Cristo, che diffonde la carità nel cuore dei credenti (Rm 5,5). È una realtà, quindi, irriducibile ad una mera perfezione naturale dell’uomo.
Ce ne dà conferma il messaggio evangelico mediante il discorso figurato “della vite e dei tralci” (Gv 15,1-14). Gesù usa l’immagine della vite per dire quanta premura Dio ha per noi.
Ci sono tre personaggi in questa immagine: il vignaiuolo, che è il Padre, la vite, che è Gesù, e i tralci, che sono i discepoli. Il Padre, come ogni vignaiuolo, si prende cura della sua vite: la coltiva, la pota e organizza la vendemmia. Noi siamo accuditi dal Padre! Gesù si presenta come la vite, come uno che ha messo radici tra di noi. Anzi, egli non è semplicemente accanto a noi, ma noi siamo in lui. Se lui è la vite, noi siamo i tralci, i rami da cui escono i grappoli. La vite e i tralci si nutrono della stessa linfa, sono una sola pianta. Per questo, ben sette volte nel vangelo che abbiamo ascoltato Gesù usa il verbo “rimanere”, invitandoci a rimanere in lui. Solo chi ama desidera che l’altro resti, non se ne vada, continui ad essere presente.
L’immagine della vite e dei tralci permette a Gesù di accennare anche alla potatura. Tutti noi siamo tralci, ma abbiamo bisogno di essere potati per produrre frutto. Questo non vuol dire che Dio ci mandi delle sofferenze, piuttosto che ci spinge a tagliare via i nostri egoismi. Con la potatura annuale delle viti, vengono eliminati quei tralci che hanno già dato frutto e non produrrebbero più nulla, limitandosi solo a succhiare linfa in modo parassitario. Siccome il legno della vite serve solo a far passare la linfa, Gesù aggiunge che il ramo tagliato non serve a nulla, ma viene gettato nel fuoco. La potatura dunque è l’eliminazione dell’egoismo, a volte dolorosa, ma necessaria all’uomo. Il “frutto” di cui parla il vangelo sono, invece, le opere dell’amore.
Carissimi fratelli e sorelle, non scoraggiamoci se a volte ci sentiamo tralci secchi, delusi dai nostri fallimenti, tentati di ripiegarci su noi stessi. Non dobbiamo abbatterci, perché, come dice la Prima Lettera di Giovanni, anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, «Dio è più grande del nostro cuore» (1Gv 3,20). Il Signore, infatti, riesce a far circolare linfa anche nei nostri tralci secchi, ci aiuta a produrre frutto nonostante le nostre debolezze.
Riusciremo così a vivere quel programma che San Paolo propone a tutti i cristiani nel brano della Lettera ai Romani (seconda lettura): “La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda”.
Santa Rita è un ritratto vivente di questa pagina della Scrittura. Essa, soprattutto, non si lasciò vincere dal male, ma vinse con il bene il male.
Ci conduca per mano, perché ognuno di noi ritrovi la forza di continuare a sperare e a vincere ogni genere di male operando il bene.
Amen.

Perugia – inaugurato il centro di accoglienza “Casa della carità fraterna”. L’ultima opera segno della Chiesa diocesana incoraggiata e sostenuta dal cardinale Bassetti

«Il cristianesimo non è una filosofia, non è una morale, il cristianesimo è la vita intima in Dio. Dio che dimora in noi, che vuole dimorare nel cuore dei suoi figli con il suo insegnamento e il suo amore, ma i suoi figli fanno di tutto per dimenticarsi di Lui». Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti nell’omelia della celebrazione eucaristica che ha preceduto l’inaugurazione del centro di accoglienza “Casa della carità fraterna” di Perugia, nel pomeriggio del 21 maggio. Concelebranti sono stati il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, il parroco di Perugia città don Calogero Di Leo e don Andrea Soletschi, segretario dell’Arcivescovo Maggiore greco-cattolico di Kiev. L’inaugurazione ha visto la partecipazione dei rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose del capoluogo umbro, in primis della presidente della Regione Donatella Tesei, e di un ospite di eccezione, legato alla città per i suoi trascorsi di studente universitario, l’ambasciatore della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede Lutfullah Goktas. Tra i diversi benefattori presenti Brunello Cucinelli, da sempre attento e sensibile alle opere di carità promosse dalla Chiesa diocesana. L’inaugurazione, che doveva tenersi da tempo, ma rinviata a seguito della pandemia, ha richiamato la presenza di molti perugini a testimonianza di una comunità solidale verso chi vive pesanti situazioni di disagio umano e materiale.

Segno della città di Dio. Il cardinale, commentando la Parola di Dio, ha richiamato i fedeli al significato profondo dell’Apocalisse in un tempo di grave turbamento come il presente, soffermandosi sulla «città del cielo» e sulla «città della terra». Quest’ultima, ha evidenziato, «è costata tanta fatica, tanti sacrifici ed anche tanti peccati», ma «alla fine le due città si incontrano per fondersi in un’unica città dove non ci saranno più né pianti né lacrime, perché Dio sarà tutto e in tutti. Il Signore ci chiede di collaborare a costruire su questa terra la sua città. Anche questa dimora per persone in gravi difficoltà abitative, la “Casa della carità fraterna”, diventa il segno della città di Dio che cresce e che un po’ alla volta vuole prendere possesso, vuole incontrarsi con la città degli uomini, affinché possano scomparire le lacrime, le sofferenze, gli odi, le guerre e regni in tutti i cuori la pace e l’amore di Dio. Questo è il cammino tracciato in maniera concreta dalla Parola di Dio e credo che inviti tutti noi ad allargare il cuore e abbracciare questo progetto: la città di Dio, attraverso le opere di bene, si incontra con la città degli uomini che fa la storia e la civiltà».

Dove si trova la “Casa della carità fraterna”. Sorge nel centro storico di Perugia, in corso Bersaglieri, nel complesso del cinquecentesco oratorio di San Giovanni Battista, familiarmente denominato “San Giovannino”, come ha sottolineato il presidente dell’associazione socio-culturale “Beata Colomba da Rieti”, Amilcare Conti, la cui sede è ospitata nel complesso ed opera in stretto rapporto con la Confraternita di San Giovanni Battista proprietaria dell’immobile. La casa è un centro di accoglienza che, al completo della sua capienza, può ospitare 25 persone in momentanea situazione di difficoltà sociale, in cui trovano già ospitalità 20 persone provenienti da zone del territorio perugino e dall’Italia, oltre a due mamme con figli fuggite dalla guerra in Ucraina. «E’ l’ultima di diverse opere di carità progettate e realizzate durante i tredici anni dell’episcopato del cardinale Bassetti – ha ricordato Conti –. Sua eminenza ha incoraggiato e sostenuto la loro realizzazione affinché la Chiesa diocesana ampliasse la sua azione di contenimento del crescente fenomeno della povertà». Fenomeno che negli ultimi due anni ha fatto registrare quasi il 30% in più di persone di nazionalità italiana sul totale di quelle che si sono recate al Centro di ascolto della Caritas diocesana.

Presentazione della “Casa della carità fraterna”. E’ un luogo molto accogliente e dignitoso dove le persone trovano un rifugio temporaneo, uno spazio abitativo da cui la vita riparte. L’intervento è eseguito su una superficie complessiva di circa 500 mq, in cui sono realizzate 6 camere da letto, dotate di bagno dedicato (di cui 2 per portatori di handicap) e 3 appartamenti. Inoltre, a servizio della casa è stato progettato uno spazio polifunzionale con sala ricreativa, un locale lavanderia e una sala dedicata all’accoglienza che è adiacente all’oratorio di San Giovanni, da dove si accede alle scale e all’ascensore che distribuisce ai vari piani. La struttura è senza barriere architettoniche e dotata di moderni servizi. Il progetto prevede l’adozione di un sistema di impianti ad elevata efficienza energe­tica per ridurre al minimo i costi di gestione. Il restauro è stato possibile grazie al contributo di molti benefattori: Conferenza Episcopale Italiana, Fondazione Brunello e Federica Cucinelli, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Fondazione Cattolica Assicurazioni, Fondazione Giovanni Paolo II Arezzo, Sacro Convento di Assisi – Con il Cuore, Faac – Arcidiocesi di Bologna, Cooperativa Auxilium Roma, Associazione Corimbò Perugia, Associazione Beata Colomba da Rieti, Famiglia Enrico Sciri – Marsciano, Enel Distribuzione Umbria e Cittadini di Perugia.

Perugia: Il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha annunciato la rinuncia alla guida dell’Archidiocesi al termine del convegno di studi sulla figura di Giorgio La Pira. «Dal 27 maggio in poi sarà vescovo emerito»

Nel portare il saluto e la benedizione del Papa ai numerosi partecipanti al riuscito convegno “Giorgio La Pira: un ponte di speranza”, tenutosi a Perugia nel pomeriggio del 19 maggio, il cardinale Gualtiero Bassetti, al termine del suo intervento, ha annunciato che questa mattina (19 maggio), in udienza dal Santo Padre, «ho rimesso nelle sue mani il mio mandato di vescovo e di presidente della Cei, che doveva proprio concludersi con la prossima Assemblea generale dei vescovi italiani (Roma, 23-27 maggio, ndr). E quindi dal 27 maggio in poi sarò vescovo emerito, come lo è stato prima di me mons. Giuseppe Chiaretti. Ho deciso di rimanere in diocesi, dopo essere stato a Firenze, in Maremma, a Massa Marittima-Piombino, e poi ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro, dopo aver fatto un po’ il pellegrino…», perché «questa è l’ultima diocesi che il Signore mi ha affidato, che è la nostra diocesi, che è diventata per me come Firenze, la “culla” da dove ero partito. Perugia, l’Umbria, san Francesco… è il luogo dove vengo ad approdare. Questi sono i miei sentimenti e pensate con che animo e con quanta nostalgia ho rivissuto, attraverso questo nostro convegno, la figura di Giorgio La Pira e ringrazio tanto tutti i relatori. Voi siete stati un segno della Provvidenza per riconciliarmi anche con tutta la mia vita. È stato bello che chi ci ha aiutati tutti sia questo segno, che rimane di sicura speranza, che è Giorgio La Pira».

Perugia – l’intervento conclusivo del cardinale Gualtiero Bassetti al convegno “Giorgio La Pira: un ponte di speranza” promosso da Archidiocesi, Università degli Studi e Università per Stranieri

Una gremita e attenta Sala dei Notari del Palazzo comunale dei Priori di Perugia ha seguito, nel pomeriggio del 19 maggio, l’interessante convegno di rilevanza internazionale dal titolo “Giorgio La Pira: un ponte di speranza”, promosso in collaborazione dall’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, dall’Università degli Studi di Perugia e dall’Università per Stranieri del capoluogo umbro, che ha visto la partecipazione di noti studiosi del pensiero del sindaco “santo” di Firenze.
Il convegno, come ha evidenziato nella sua lectio magistralis Andrea Riccardi, «suggella l’accoglienza di Giorgio La Pira nella Chiesa italiana», rendendo merito al cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, perché «ha reintrodotto la figura di La Pira nel cattolicesimo italiano senza forzature, ma con tenacia».

Di seguito si riporta il testo integrale dell’intervento del cardinale Bassetti con cui ha concluso il convegno.

Cari amici e cari amiche,
questa mia riflessione conclusiva avrà soprattutto una dimensione personale. Come sapete, infatti, Giorgio La Pira rappresenta una figura di grande importanza nella mia vicenda biografica. Mi ha sempre accompagnato nello svolgimento del mio ministero episcopale e l’ho sentito spiritualmente vicino in questi cinque anni da Presidente della CEI. Ma non solo. Giorgio La Pira è stato decisivo anche nella mia crescita come uomo, come credente e come sacerdote. Il “sindaco santo” ha segnato infatti la formazione dei fiorentini della mia generazione. Noi tutti lo chiamavamo “il professore”.
Era infatti impossibile non confrontarsi con le sue prese di posizioni, le sue iniziative internazionali e le sue azioni politiche. Egli è stato un punto di riferimento audace per tutti coloro – ed eravamo tanti negli anni che precedettero il Concilio – che sentivano che la fede ricevuta richiedeva una testimonianza nuova di impegno a favore degli ultimi e di liberazione da tante incrostazioni che rischiavano di offuscare – invece che rivelare – il Volto di Dio[1].
Cosa rimane oggi di La Pira? Io penso che rimanga moltissimo, che la sua eredità, non solo sia estremamente attuale, ma sia ancora tutta da sviluppare e comprendere nei suoi risvolti più profondi. Quindi, ben vengano anche in futuro iniziative di riflessione e di studio come questa.
La Pira, per me, è stato indubbiamente un mistico prestato alla politica. Un cristiano autentico che non ha mai trasformato la sua fede in una ideologia politica. Oggi questo è il rischio più grande per le società contemporanee: finite le grandi ideologie del XX secolo rimane l’uso politico della fede, ovvero la manipolazione e la parcellizzazione del messaggio evangelico per scopi mondani.
In La Pira tutto ciò non è mai stato presente. Egli è stati un uomo dotato di grandi visioni che ha saputo leggere il movimento delle correnti più profonde e ha indicato una destinazione. Ha visto prima e, meglio degli altri, quello che si stava agitando nelle viscere del mondo e, con grande anticipo, ha agito di conseguenza. Permettetemi una sintesi estrema: se De Gasperi è stato lo Statista italiano, La Pira è stato il profeta. Un profeta dei tempi odierni, una «sentinella per la casa d’Israele» che ha espresso con passione e generosità, fino a sembrare stolto e ingenuo, questa sua missione.
Voglio chiudere questa mia breve riflessione citando un discorso che fece La Pira ai giovani de “La Vela” a Castiglion della Pescaia, nell’estate del 1975. Egli disse che il “primo problema” della società odierna è la bomba atomica. “Essa è veramente il problema della vita e della morte del genere umano e dello spazio. Tutti i problemi politici, culturali, spirituali sono legati a questa frontiera dell’apocalisse. O finisce tutto, o comincia tutto”.
Dunque, con il pericolo di una guerra nucleare “o finisce tutto, o comincia tutto”. Queste parole sono oggi straordinariamente attuali ed hanno un significato duplice. Innanzitutto, la drammatica carneficina in Ucraina ha riportato alla luce quello che avevamo dimenticato: la guerra in Europa e il rischio, finora solo paventato, di un conflitto nucleare.
Le parole di La Pira, “o finisce tutto, o comincia tutto”, hanno però anche un significato esistenziale più profondo che investe la vita di ognuno di noi e su cui vorrei richiamare la vostra attenzione. La nostra esistenza ha un termine, al di là di qualunque prova a cui siamo sottoposti. E anche i nostri compiti, le nostre missioni e le nostre attività hanno una fine. Tutto finisce, ma in un certo senso, tutto inizia nuovamente. Fa parte della vita e dobbiamo accettarlo con serenità e gioia, con fede retta e speranza certa, come diceva San Francesco.
La Pira, nell’agosto del 1977, ormai sofferente, scrisse un’ultima lettera all’amico Paolo VI in cui diceva:
Beatissimo Padre, le scrivo all’estremo di forze in cui mi trovo. (…) Resta il fatto di una vita votata agliideali che ogni giorno mi avevano guidato in questa situazione.
Queste parole ci restituiscono la cifra morale e spirituale della sua personalità. All’indomani della morte, Aldo Moro ne tracciò un ricordo affettuoso su «Il Giorno».
Quel che più colpiva erano il candore e il calore della sua speranza, quell’ottimismo assolutamente privo di faciloneria e di cinismo, che derivava dalla sua straordinaria capacità di andare al di là della superficie delle cose, fino alle ragioni ed ai dati di fondo e dalla sua intatta fede nella dignità dell’uomo e nella grandezza del suo destino. Sono certo che non si tratti di una persona come le altre, di un’esperienza come le altre.
Faccio mie le parole di Aldo Moro. Giorgio La Pira non è stata “una persona come le altre”. Possa aiutare tutti noi ad uscire da questa drammatica guerra in Europa e a guidarci lungo le nuove strade che la vita ci riserverà in futuro.

Gualtiero card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve
Presidente della Cei

Incontro dei vescovi con i direttori dei media umbri in vista dell’Assemblea ecclesiale regionale e della 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali

Si terrà a Foligno, presso il complesso parrocchiale di San Paolo Apostolo (via del Roccolo), venerdì 20 maggio, alle ore 10.30, l’incontro promosso dai vescovi della Conferenza episcopale umbra (Ceu) con i direttori responsabili di testate giornalistiche umbre, in vista dell’Assemblea ecclesiale regionale (28 maggio) e della 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali (29 maggio).

L’Assemblea ecclesiale, che verterà sul tema: “Quale ripresa? Per una sapienza pastorale dopo la pandemia”, sarà vissuta come «appuntamento di comunione e fraternità dopo la dispersione e la frammentarietà generata dall’emergenza sanitaria, per dare un segnale di ripresa e un messaggio di speranza», annunciano i vescovi. Quest’assise della Chiesa umbra «si inserisce nel Cammino sinodale delle Chiese in Italia che dà spazio all’ascolto e al racconto della vita delle persone, delle comunità e dei territori – sottolineano i presuli –. Vogliamo vivere questo tempo di ascolto e di dialogo insieme agli operatori dei media, anche in vista dell’imminente Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dedicata al tema: “Ascoltare con l’orecchio del cuore”. Papa Francesco, nel suo messaggio per questa 56a Giornata mondiale, ricorda a tutti che “l’ascoltare è il primo indispensabile ingrediente del dialogo e della buona comunicazione”».

All’incontro interverranno mons. Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Ceu, mons. Domenico Sorrentino, vescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Foligno, vice presidente della Ceu, e mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio ed eletto di Città di Castello, delegato Ceu per le Comunicazioni Sociali. Modererà l’incontro Riccardo Liguori, coordinatore della Commissione regionale per le comunicazioni sociali della Ceu.

Ritorno delle campane a S. Pellegrino di Norcia. Grande festa con l’Arcivescovo. Mons. Boccardo: «A S. Pellegrino nostro patrono chiediamo di intercedere affinché il Signore metta il sale in testa degli amministratori comunali e provinciali, regionali e nazionali chiamati a gestire la ricostruzione”.

Le tre campane della chiesa parrocchiale di S. Pellegrino di Norcia sono tornate, lunedì 16 maggio 2022, nel paese nursino dopo i violenti terremoti del 2016. Fino ad ora erano conservate nel deposito di opere d’arte del Ministero della Cultura a Santo Chiodo di Spoleto. Sono state posizionate in una torre campanaria orizzontale realizzata in legno e posizionata al lato del centro di comunità che ora funge da chiesa. È stato l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo a benedire le campane, fatte poi suonare da alcuni uomini del paese e dal parroco don Marco Rufini, e poi a presiedere la Messa nella festa liturgica di S. Pellegrino.

L’idea di far tornare le campane è stata del parroco don Marco Rufini, come racconta il presidente della Comunanza Agraria di S. Pellegrino Claudio Leoncilli: «Una sera di qualche mese fa – dice – arriva a casa don Marco e mi parla di questo suo desiderio, chiedendomi cosa ne pensassi. La mia riposta è stata subito affermativa. Ci siamo messi al lavoro per ottenere i permessi necessari, per realizzare lo spazio dove collocarle e per organizzare il trasposto dal deposito di Santo Chiodo. C’è stata la massima collaborazione della gente per questo che è un piccolo segno di speranza per la comunità di S. Pellegrino. E il nostro grazie va all’Archidiocesi, in particolare al Vescovo e a don Marco, per la costante vicinanza e per non averci fatto mai mancare sostegno e affetto in questi anni».

La celebrazione eucaristica e le parole dell’Arcivescovo. All’avvio della Messa mons. Boccardo ha fatto gli auguri ad una delle donne più anziane di S. Pellegrino che proprio quel giorno compiva 91 anni e che non ha mai abbandonato il paese dopo il terremoto vivendo prima nelle tende, poi in roulotte ed ora in una soluzione abitativa di emergenza: «Lodiamo il Signore per la lunga vita di Cecilia, costellata anche da tante difficoltà. Chiediamo a S. Pellegrino di continuare a proteggere lei e gli altri anziani del paese». Spontaneo è partito un lungo applauso dei numerosi fedeli presenti. Nell’omelia poi mons. Boccardo ha detto che «le delusioni e i fallimenti, i momenti di prova che caratterizzano la nostra vita come l’esperienza tragica del terremoto non devono portarci a dire: mollo tutto, anche il rapporto con Dio. Le fatiche e le paure, così come le speranze, le dobbiamo vivere qui a S. Pellegrino, luogo dove siamo chiamati a mettere in pratica ciò che il Signore ci dice. É in questa bella terra che dobbiamo testimoniare che la vita cristiana è una cosa seria». Poi, la preghiera dell’Arcivescovo a S. Pellegrino: «Al nostro patrono chiediamo di intercedere affinché il Signore metta il sale nella testa degli amministratori, comunali e provinciali, regionali e nazionali, chiamati a gestire la ricostruzione. Noi possiamo protestare, occupare le strade e fare articoli sui giornali ma se non c’è il sale nella testa di chi governa serve a poco».

Saluto finale di don Marco Rufini. «Grazie Eccellenza per essere qui tra noi. Quando gli ho detto della campane il suo calendario era pieno, ma è riuscito a spostare alcune cose ed essere con noi qui a S. Pellegrino. Con questa comunità e con quella di Frascaro stiamo facendo un percorso intitolato “Ricominciamo dalla comunità – un cammino nell’amicizia” per ritrovare le motivazioni ad abitare in queste zone, per far emergere i limiti che ci sono non per piangerci addosso ma per superarli, per dire a tutti i livelli della società che una comunità è tale quando i suoi legami diventano generativi e non per i numeri che la compongono. Grazie a chi ha realizzato il nostro campanile orizzontale servito a ridare un po’ di movimento a S. Pellegrino; grazie a Maurizio Nanni, impresario, che ci ha portato le campane da Santo Chiodo a qui, per amicizia e non per altro; grazie alla Comunanza Agraria, alla Pro loco e agli abitanti: tutti si sono adoperati per questo progetto lavorando anche sotto la pioggia e con un vento fortissimo. Grazie davvero».

Scheda campane. Prima del sisma del 2016 la torre campanaria di S. Pellegrino ospitava quattro campane. La più piccola era del campanile della chiesa di Santa Giuliana. Le tre riportate a S. Pellegrino sono state realizzate da importanti fonderie del centro Italia. Quella maggiore, che è la più moderna, è stata realizzata dalla “Fonderia Lera” di Lammari (LU) nel 1911 e misura 84 centimetri di diametro. La campana mezzana è stata realizzata dalla “Premiata Fonderia di campane Demetrio Soli e Figli” di Foligno (PG) nel 1899 e misura 74,5 centimetri di diametro. Quella minore è stata realizzata nel 1854 dalla “Fonderia fratelli Raffaele e Pasquale Pasqualini” di Montedinove (AP) e misura 64 centimetri di diametro.

Perugia – la celebrazione della dedicazione della chiesa intitolata a san Giovanni Paolo II Il cardinale Bassetti: «Un mirabile connubio tra la recente chiesa di pietre e la chiesa viva del popolo»

«In questa domenica, festa dal timbro fortemente pasquale, è consacrata una nuova chiesa, la dimora di Dio tra gli uomini». Lo ha richiamato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’inizio dell’omelia della celebrazione della dedicazione della chiesa intitolata a san Giovanni Paolo II dell’Unità pastorale delle comunità parrocchiali di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino di Perugia, domenica pomeriggio 15 maggio. Concelebranti sono stati l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra, e il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, insieme ai sacerdoti dell’Unità pastorale, mons. Giuseppe Gioia, don Fabrizio Crocioni, don Antonio Paoletti e don Oscar Walter Huaman Bustamante, e ad altri sacerdoti diocesani. Alla celebrazione presenti anche i rappresentanti delle Istituzioni civili del capoluogo umbro e numerosi fedeli.

È stata una vera festa di popolo di Dio tanto attesa da tutta la città, perché «quando consacriamo un tempio al Dio vivente – ricordava San Giovanni Paolo II – entriamo nel mistero della Pasqua di Cristo. Cristo stesso, infatti, crocifisso e risorto, è la pietra angolare», ha voluto citare il cardinale Bassetti il santo a cui è intitolata questa nuova chiesa aggiungendo: «l’edificio e il popolo di Dio che lo anima costituiscono la vera immagine della Chiesa in cammino verso il Regno eterno, dove il Signore stesso sarà la grande dimora di tutti i salvati».

Nel ripercorrere le fasi della realizzazione della chiesa, il presule ha sottolineato «l’impegno di tutti nella ricerca continua di un luogo adatto e dei mezzi economici necessari per affrontare la costruzione di questa chiesa, fin dall’episcopato del mio predecessore, Mons. Giuseppe Chiaretti, di venerata memoria, di cui oggi ricordiamo il 39° anniversario di ordinazione episcopale, 15 maggio 1983. Grazie all’aiuto degli amministratori pubblici e delle ditte specializzate, questo campo, nella vallata dinanzi al Santuario della Madonna della Pietra, è divenuto il cuore pulsante di tutta l’Unità pastorale. Completati i lavori strutturali qualche mese fa, via via si è cercato di curare l’arredamento dell’aula liturgica e sistemare tutti gli spazi esterni, che offrono alla comunità parrocchiale, in particolar modo ai giovani, luoghi per la preghiera, per la catechesi, per la formazione e per lo svago». La chiesa, ha proseguito il cardinale «oggi si mostra in tutto il suo splendore, insieme alle opere parrocchiali; belle e funzionanti, nelle varie parti architettoniche. In questa comunità vi è stato un mirabile connubio tra la recente chiesa di pietre e la chiesa viva del popolo, che qui esisteva e si è formata lungo tanti anni di servizio pastorale di don Giuseppe Gioia e dei suoi collaboratori».

Avviandosi alla conclusione, Bassetti ha auspicato che «questo complesso, con la sua chiesa, deve rappresentare – soprattutto nel tempo in cui si svolge il cammino sinodale della Chiesa italiana – un esempio di sinodalità. Qui devono collaborare in modo concreto, stimandosi vicendevolmente, le diverse associazioni di fedeli che fanno riferimento alle parrocchie del territorio, come anche i movimenti e i cammini che da tempo trovano spazio tra voi. Tutti, anche i fedeli che non fanno riferimento ad alcuna particolare espressione della fede, anche coloro che solo entreranno qui per una preghiera, devono trovare accoglienza e comunione. Sarà in questo modo, allora, che gli edifici costruiti da uomini potranno diventare – come abbiamo ascoltato dall’Apocalisse – “la casa di Dio” o “la tenda di Dio con gli uomini” (Ap. 21,3). Non è difficile ritrovare in questa descrizione il riferimento alla tenda o “tabernacolo” che Mosè aveva costruito nel deserto, in mezzo alle tende degli Ebrei, e di cui si parla nel libro dell’Esodo: era quello era il luogo in cui ci si incontrava, e soprattutto era il luogo in cui si ascoltava la voce di Dio che parlava a Israele. Nella gioia di questa giornata, desidero salutare tutti i presenti, le famiglie e giovani, gli anziani. È forse la mia ultima celebrazione insieme a voi come vescovo. Vi accompagni sempre la mia benedizione e il mio affetto».

Diversi sono stati i segni che hanno caratterizzato la liturgia della dedicazione di questa nuova chiesa, dalla consegna delle sue chiavi da parte di mons. Gioia al cardinale Bassetti alla collocazione nell’altare della reliquia di san Giovanni Paolo II ex sanguine su abito indossato nel giorno dell’attentato in Piazza San Pietro, il 13 maggio 1981, alla consacrazione dello stesso altare con l’olio del crisma da parte del cardinale. La reliquia di san Giovanni Paolo II è stata donata all’Unità pastorale dal cardinale di Cracovia Stanislaw Dziwisz, il primo giugno 2015, nel corso del pellegrinaggio dei giovani dell’Oratorio “GPII” in terra polacca, per la definitiva allocazione nel complesso interparrocchiale intitolato a questo grande santo del nostro tempo.

Perugia – nuovo complesso interparrocchiale d’unità pastorale, un “villaggio di relazioni”. Il cardinale Bassetti presiederà la celebrazione della dedicazione della chiesa intitolata a san Giovanni Paolo II di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino

La pandemia ha ritardato di un anno la solenne celebrazione della dedicazione della nuova chiesa intitolata a san Giovanni Paolo II dell’Unità pastorale delle comunità parrocchiali di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino di Perugia, una delle zone della periferia sud del capoluogo umbro ad alta intensità demografica in costante crescita, tra le più significative aree aziendale-commerciali del perugino, ma con non pochi problemi sociali e di integrazione, che conta una popolazione di 13mila abitanti. La chiesa sarà consacrata domenica 15 maggio, alle ore 15, dal cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, il cui altare custodirà, da domenica prossima, una reliquia del grande Papa polacco.
Comunità mariana. La cerimonia della posa della prima pietra del complesso interparrocchiale si è tenuta il giorno dell’Immacolata Concezione del 2016, in omaggio alla grande devozione di Giovanni Paolo II per la Beata Vergine Maria e per essere in comunione con tutta la comunità diocesana di Perugia-Città della Pieve che da secoli affida la sua protezione alla Madonna. E non è un caso che il cardinale Bassetti abbia voluto donare a questa chiesa una statua lignea della Vergine ispirata a Santa Maria della Grazia raffigurata nell’affresco della cattedrale di San Lorenzo (opera di un allievo del Perugino).
Villaggio di relazioni. Era da lustri che la comunità cristiana del consistente insediamento urbano che si sviluppa da San Faustino fino a Ponte della Pietra passando per Prepo, lungo la direttrice della nota via Settevalli, attendeva questo importante complesso interparrocchiale, un vero e proprio “villaggio di relazioni” che va oltre le attività liturgiche e pastorali. Un complesso che si apre all’intera città nei cui locali ospita fin d’ora progetti come il “Gruppo educativo territoriale” e il “Punto d’incontro dedicato ai genitori” facenti capo ai Servizi sociali del Comune di Perugia, oltre a dare ospitalità nelle canoniche a quattro gruppi familiari in gravi difficoltà e a contribuire al progetto della Caritas diocesana “Adotta una famiglia” facendosi carico dell’accoglienza di altri due nuclei familiari.
Un complesso molto frequentato. Struttura portante della comunità cristiana che qui si riunisce sono i due cammini di fede presenti nell’Unità pastorale con centinaia di fedeli: il Cammino Neocatecumenale, iniziato a Prepo nel 1978, grazie al parroco, mons. Giuseppe Gioia, e a San Faustino, nel 1990, grazie all’altro parroco, mons. Ennio Gaggia; il Rinnovamento nello Spirito Santo voluto sempre da mons. Gioia, nel 1981. Non solo, quindi, le centinaia di fedeli che vengono una o più volte alla settimana per le celebrazioni eucaristiche e gli incontri di preghiera e i 500 tra fanciulli e adolescenti che frequentano l’Oratorio “GPII” (Giovanni Paolo II) a cui è stato riservato uno degli ambienti più ampi del complesso. Ci sono anche 130 catechisti ed educatori-animatori e le 140 famiglie assistite settimanalmente dalla Caritas interparrocchiale operativa anche nelle sedi “storiche” delle primordiali tre parrocchie. Non manca l’area sportiva ben attrezzata con il campo di calcio a cui accedono anche gruppi da fuori zona e non solo i frequentatori dell’Oratorio “GPII”. «Per questo è un “villaggio di relazioni” dove si incontrano settimanalmente centinaia di giovani, di famiglie, di anziani sia per l’attività di culto che quelle educative, caritative e catechetiche».
I punti cardinali più uno. A parlarne sono i quattro sacerdoti di questa grande comunità interparrocchiale, dal decano, che tanto ha voluto il nuovo complesso, mons. Giuseppe Gioia, per i fedeli semplicemente “don Peppe”, ai più giovani: don Oscar Walter Huaman Bustamante, di origini peruviane, don Fabrizio Crocioni, parroco e rettore del Santuario mariano di Ponte della Pietra, e all’ultimo consacrato ed anche il più giovane, don Antonio Paoletti, nipote dell’indimenticabile arcivescovo Giuseppe Chiaretti a cui stava particolarmente a cuore anche la costruzione di «belle chiese moderne, non fredde cattedrali nel deserto», come spesso si raccomandava. E la chiesa San Giovanni Paolo II di Perugia è la testimonianza visiva di questa raccomandazione raccolta pienamente. Ne vanno orgogliosi i suoi sacerdoti, i quattro punti di riferimento di questa comunità, come i quattro punti cardinali, più uno, suor Roberta Vinerba, francescana diocesana, nota teologa, catechista e animatrice di generazioni di adolescenti, portavoce del “villaggio di relazioni” che tanto si è prodigata per l’edificazione del complesso parrocchiale insieme ai quattro sacerdoti.
Dal prefabbricato al grande complesso. Per decenni, pur condividendo tante iniziative, le comunità di Prepo, Ponte della Pietra e San Faustino non potevano ritrovarsi insieme per celebrare l’Eucaristia, come un’unica comunità, per motivi di spazio, basti solo pensare che quella di Prepo si riuniva in un prefabbricato. «Oggi possiamo vedere la comunità cristiana riunita e viva, in continuo bisogno di conversione – commentano i sacerdoti –. Ci mancava un luogo “centrale e unitario” nel quale vivere la Fede e andare ad annunciarla “fino agli estremi confini della terra”».
Non prigionieri della paura. «Oggi questo luogo c’è e c’è grazie al lavoro di tanti – evidenziano don Peppe, don Fabrizio, don Antonio e don Oscar –: si tratta di un’opera che richiede un imponente investimento in termini di energie e di risorse economiche. Il complesso interparrocchiale è un’opera umana e divina insieme, realizzata con il cuore generoso di tante persone. Sappiamo che non c’è un tempo migliore o peggiore per vivere se non quello che ci è dato. A noi sono toccati questi anni. E vogliamo abitarli con speranza. Alle generazioni future dovremo dire che non siamo restati prigionieri della paura e che abbiamo fatto la nostra parte, pensando a chi sarebbe venuto».

Il nuovo complesso San Giovanni Paolo II non è una “cattedrale nel deserto”
Ad illustrare il complesso interparrocchiale San Giovanni Paolo II dell’Unità pastorale di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino di Perugia, i cui lavori sono iniziati nel 2016 e terminati nel 2021, è la sua portavoce, suor Roberta Vinerba, anche se, come sottolinea la stessa religiosa, «basta scorrere la fotogallery realizzata dall’Ufficio stampa diocesano per ammirare la bellezza di questo moderno luogo di culto e di incontro che si apre ai distanti, interfacciandosi anche a livello edilizio-architettonico con il contesto urbano circostante senza voler essere una “cattedrale nel deserto”, ma ben si armonizza con gli edifici preesistenti».
Tre i corpi principali di fabbrica «con il cuore del complesso la chiesa – sottolinea suor Vinerba –, con una superficie di 625 mq e con 450 posti a sedere. I tre corpi, di complessivi 1.500 mq, trovano connessione nel sagrato, pensato come un ideale chiostro che si apre da un lato, sull’accesso del parcheggio e sul campo sportivo, dall’altro sull’area verde, un piccolo parco con al centro due campi multifunzionali. Dalla chiesa si accede al locale Oratorio, la sede del “GP2”, di mq 110, che si offre come prima accoglienza venendo dal parcheggio. Il corpo della casa canonica (tre piani di mq 94 lordi) si allunga nelle sale parrocchiali (mq 350, con 9 sale). Infine vi è il corpo del salone interparrocchiale di mq 210».
Gli arredi liturgici, spiega sempre suor Vinerba, «sono stati realizzati dall’artista Edoardo Ferrari con marmo Botticino. Al centro dell’aula liturgica si trova l’altare (200×200 cm), che esprime l’unità misterica della passione, morte e risurrezione del Signore, attraverso i segni della passione scolpiti nei quattro lati verticali. Nella piaga del costato, sul lato frontale, domenica verrà apposta la reliquia di san Giovanni Paolo II, costituita dal suo sangue. L’ambone è scolpito come fosse il sepolcro aperto e l’angelo della risurrezione, dal volto sfumato che indica l’altare, richiama l’attenzione non su sé stesso, ma sul mistero celebrato sull’altare. La grande vasca del fonte battesimale, ricavato con il marmo estratto dal vuoto dell’altare, (140 cm di diametro) si trova a destra del portale d’ingresso. L’effige lignea della Vergine, donata personalmente dal cardinale Gualtiero Bassetti, è ispirata all’affresco di S. Maria della Grazia che si trova in cattedrale, è posta in una nicchia laterale all’altare. In una cappella laterale vi è la custodia del Santissimo Sacramento, in un tabernacolo marmoreo raffigurante il sole con la sfera che richiama la cupola della chiesa rivestita in legno dalle volte geometriche. Sulla cupola si apre un lucernaio simboleggiante la piaga del costato di Cristo, realizzato dall’artista Simone Filosi».
Il costo complessivo del complesso interparrocchiale San Giovanni Paolo II è di euro 6.295.279,30 (Iva inclusa), finanziato grazie ai fondi per l’edilizia di culto dell’8xmille della Chiesa cattolica che hanno coperto il 75% delle spese, mentre il restante 25% è a carico dell’Unità pastorale di Prepo-Ponte della Pietra-San Faustino che ha contratto un mutuo. Un sentito ringraziamento va a quanti si sono prodigati per la realizzazione dell’intero complesso, dal progettista, l’architetto Paolo Marciani di Roma, al direttore dei lavori, l’ingegnere Paolo Anderlini di Perugia, all’impresa edile “Restaura” di Castiglione del Lago, che con professionalità hanno portato a termine l’opera, oltre a tanti privati benefattori che continuano a contribuire ai costi di costruzione. Gratitudine è espressa anche all’Amministrazione comunale perugina per le opere di urbanizzazione e della piazza intitolata a San Giovanni Paolo II.

Mons. Luciano Paolucci Bedini nuovo Vescovo di Città di Castello. I Vescovi umbri: vicini nella preghiera a mons. Paolucci Bedini per il nuovo servizio ecclesiale, viva ammirazione e gratitudine a mons. Cancian

Papa Francesco ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di Città di Castello (Perugia), presentata da mons. Domenico Cancian. Il Pontefice ha quindi nominato vescovo di Città di Castello mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Gubbio, unendo le due Sedi in persona Episcopi.
Nelle due cattedrali alle ore 12 di oggi, 7 maggio, le cattedrali delle diocesi di Gubbio e Città di Castello hanno ospitato in contemporanea un momento di preghiera e l’annuncio che il vescovo Luciano sarà pastore anche della Chiesa tifernate. Due comunità diocesane che rimangono autonome, unite dal ministero episcopale della medesima persona, mons. Paolucci Bedini.Nella cattedrale dei Santi Mariano e Giacomo di Gubbio, è stato il cancelliere vescovile mons. PietroVispi a leggere la comunicazione arrivata dal Vaticano. Nello stesso momento,nella Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio a Città di Castello veniva dato l’annuncio a firma del nunzio apostolico Emil Paul Tscherrig.
“Nel giorno in cui vi giunge la notizia che il Santo Padre ha voluto affidare alla mia persona la guida e la custodia della vostra antica e nobile Diocesi vi invio un saluto carico di affetto e tremore per la grande responsabilità che mi spetta. Al tempo stesso, il cuore è colmo di gioia e gratitudine per il dono e la grazia che mi permettono di servire ancora la Chiesa in umiltà e semplicità” – il saluto di mons. Luciano Paolucci Bedini. “Il mio saluto più caro è, prima di tutto, per le famiglie. Tutte le famiglie, a partire da quelle che portano il peso di una sofferenza e di un dolore, o faticano nelle umiliazioni della povertà e della solitudine. Aiutiamoci ad ascoltare il cuore di tutti e cerchiamo insieme di non lasciare solo nessuno. Tra voi saluto i fratelli presbiteri e diaconi, guide e servi di questo santo popolo, che accompagnano le vostre comunità e il cammino di tanti. Sentitemi vostro fratello e padre, ma prima di tutto servo, per incoraggiarvi e sostenervi nel ministero che condividiamo a favore di questa bella Sposa. Alle sorelle e ai fratelli di vita consacrata invio la mia benedizione per la loro testimonianza di fedeltà e di amore a Dio. Coinvolgetemi nelle vostre storie di grazia e di santità a beneficio di tanti sorelle e fratelli”. “Altro non so, e non so insegnarvi, carissimi – conclude il nuovo vescovo – se non quello che anch’io ho ricevuto in dono: la meraviglia della vita, la grazia della fede e la potenza dell’amore. Tutto abbiamo ricevuto gratuitamente da Dio, tanto possiamo donare gratuitamente al mondo. Facciamolo insieme”.
Il messaggio di mons. Boccardo presidente della Conferenza Episcopale Umbra: “I Vescovi della Conferenza episcopale umbra assicurano a mons. Luciano Paolucci Bedini, chiamato dal Santo Padre a reggere la Chiesa di Città di Castello insieme a quella di Gubbio, la loro fraterna preghiera per il nuovo servizio ecclesiale.
A mons. Domenico Cancian la viva gratitudine e l’ammirazione per il generoso e sapiente ministero episcopale svolto nella Diocesi tifernate e nella nostra regione”.

Le riflessioni del vescovo Domenico
Insieme a tutti voi, clero, religiosi e laici, accolgo con spirito di fede e obbedienza questa disposizione del Papa. Non è questo un semplice atto amministrativo, è un atto del Magistero pontificio per il bene della nostra comunità. E come tale vogliamo accoglierlo.
Esprimiamo tutta la nostra benevola e cordiale accoglienza al vescovo Luciano che con generosità ha detto il suo “sì” al Signore, assumendosi la responsabilità di guidare la Chiesa tifernate, oltre a quella di Gubbio, di cui è pastore dal 29 settembre 2017. Lo ringraziamo di cuore perché assume questo nuovo servizio con semplicità e disponibilità, umiltà e coraggio, come abbiamo ascoltato dal suo bel messaggio. Ho fiducia che con l’aiuto dello Spirito Santo, con le notevoli capacità umane e pastorali del vescovo Luciano e con la piena collaborazione di tutto il popolo tifernate, si possano superare le difficoltà inerenti al diverso contesto sociale, culturale e pastorale delle due diocesi chiamate a camminare insieme come sorelle “in persona episcopi”.
Nel tempo in cui la Chiesa universale è sfidata a vivere ancor più la sinodalità, vogliamo credere e impegnarci a far sì che le diversità culturali e storiche diventino ricchezza di fraternità mettendo in atto una collaborazione pastorale innovativa e condivisa. In un tempo, come il nostro, di grandi cambiamenti, accompagnati da indicibili sofferenze come le guerre in atto e la pandemia, la disposizione del Papa può diventare uno stimolo per vivere ancora meglio “comunione, partecipazione e missione” com e ci chiede il cammino sinodale. Sempre con lo scopo di testimoniare oggi, in questa nostra terra benedetta, la pace e la speranza della Pasqua di Gesù crocifisso e risorto per tutti. Così possiamo risvegliare la fede viva e l’amore operoso, sull’esempio dei nostri Santi, quelli già in cielo e le tante persone che in mezzo a noi vivono in modo ammirevole, mettendosi a servizio degli altri con pazienza e umile dedizione.
In questo sicuramente ci aiuteranno i patroni sant‘Ubaldo, la cui Festa è in corso, in sieme a Florido e Amanzio, unitamente ai tanti santi e sante che le due Chiese lungo i secoli hanno generosamente offerto.
Il vescovo Luciano ci dirà in seguito il giorno del suo ingresso per prendere possesso della Chiesa Tifernate come pastore e guida. Il primo incontro con lui e il clero tifernate avrà luogo a Canoscio nel ritiro di mercoledì prossimo 11 maggio. Approfitto per ringraziare il popolo di Dio che è in Città di Castello e la comunità civile con le rispettive amministrazioni che insistono sul territorio diocesano. Sinceramente in questi quasi 15 anni, che ho avuto la grazia di servire questa bella Chiesa, mi sono sentito accolto e accompagnato da tutti voi. Insieme abbiamo condiviso momenti belli e sofferenze a volte drammatiche. Così è nato un rapporto di amicizia e di stima che non verrà meno. Seppure fra non molto non sarò qui fisicamente tra voi, sono certo che l’affetto reciproco resterà nei nostri cuori. Insieme abbiamo cercato di attuare il comandamento di Gesù “Amatevi come io vi ho amato” che ho scelto come motto episcopale.
+Domenico Cancian

Perugia: Inaugurato l’Emporio della Solidarietà Caritas “Don Gustavo” in Ponte Pattoli. Il cardinale Bassetti: «Segno di amore, clima e calore di carità».

Un ulteriore segno di attenzione e prossimità pastorale e sociale della Chiesa di Perugia-Città della Pieve alle comunità di periferia, giunge dall’apertura dell’Emporio della Solidarietà Caritas in una delle zone più sensibili del capoluogo umbro, nella frazione di Ponte Pattoli (via Antonia 61), nelle vicinanze del campo sportivo, fruibile da sabato mattina 7 maggio (apertura bisettimanale: mercoledì, ore 16-19 e sabato, ore 9-12) a circa 90 famiglie in gravi difficoltà, oltre a quelle profughe ucraine che man mano arrivano. L’animazione-gestione dell’emporio è affidata a una cinquantina di volontari motivati e formati, tra cui diversi giovani e tra questi un gruppo della “Gi.fra.”, la Gioventù francescana. L’aspetto amministrativo-gestionale è curato dalla Fondazione di Carità San Lorenzo, ente operativo della Caritas diocesana. Quest’emporio si aggiunge ad altri quattro attivati dalla Caritas, a partire dal 2014, in collaborazione con parrocchie e realtà socio-caritative territoriali.

L’inaugurazione si è tenuta il 4 maggio alla presenza del cardinale Gualtiero Bassetti, del sindaco di Perugia, Andrea Romizi, del direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, del presidente della Fondazione di Carità San Lorenzo, Maurizio Santantoni, del parroco, don Giovanni Marconi, del vice parroco, padre Damiano Romagnolo, responsabile della locale “Gi.fra.”, della coordinatrice degli Empori Caritas, Elena Gattavilla, e della responsabile del nuovo emporio, Nadia Riccini, dirigente scolastico a riposo.

Don Gustavo. L’emporio è stato intitolato all’indimenticabile parroco di Ponte Pattoli, mons. Gustavo Coletti (1938-2020), il primo sacerdote perugino a morire di Covid-19, il cui ritratto, realizzato dalla giovane artista Michela Lupattelli, saluta e benedice i frequentatori di quest’opera segno. Molto commovente è stato il gesto del cardinale nel toccare la mano dipinta del suo amico sacerdote, come a volerlo salutare, perché, come ha detto, «don Gustavo è uno dei pochi sacerdoti che non ho potuto seguire nel momento della morte, stavo mordendo anch’io di Covid. Anzi, forse, c’è stata proprio una sostituzione davanti a Dio, perché, quando lui si è accorto di morire, ha offerto la sua vita al Signore per salvare quella del vescovo».

Gesto di grande amore. «A don Gustavo sarò grato in eterno per questo gesto – ha commentato Bassetti –, un gesto di grande amore, perché non c’è più grande amore che offrire la vita per le persone che si amano. Io sento una vita offerta per me, ma anche per tutti voi, perché don Gustavo vi ha cresciuto in questo amore, in questo clima, in questo calore di carità. E se siete in tanti qui è perché lo ricordate e gli volete ancora bene. Quando io venni in Umbria, tredici anni fa, nella mia prima omelia, ricordai che l’Umbria è veramente una terra di carità perché è stata calpestata da san Francesco ma anche san Bernardino da Siena, l’uomo della grande carità».

Segni della carità. «Questi segni della carità continuano – ha sottolineato Bassetti – e nell’ultima settimana abbiamo inaugurato la mensa al “Villaggio della Carità” di Perugia e questo quinto emporio in una zona periferica importante. Ringrazio il Signore, perché questa inaugurazione può sembrare un gesto materiale, nel raccogliere e distribuire viveri, ma questa è Caritas ed è il nostro stile per dire alle persone più povere ed abbandonate – penso ai fratelli, alle sorelle dell’Ucraina -, che ci stanno a cuore. Come ci insegna Gesù, “quello che avete fatto al più piccolo” – e ci sono tanti di questi piccoli del Vangelo in mezzo a noi – il Signore, attraverso il segno di questo emporio, ci dice: “l’avete fatto a me”. Nonostante tutti i nostri difetti, peccati la consolazione più grande è quella di continuare a fare del bene, di continuare a vivere la carità, e Dio continuerà a dire: “l’avete fatto a me”».

Un fiore meraviglioso. «L’Emporio “Don Gustavo” è uno dei tanti “fiori meravigliosi” di carità che stanno crescendo nella nostra città». Così, in sintesi, il sindaco Andrea Romizi nell’intervenire all’inaugurazione di questa nuova opera segno aperta, ha proseguito il primo cittadino, «in un’area di bisogni di prossimità e di vicinanza, restituendo anche tanta vitalità e socialità a questo territorio». Anche Romizi ha avuto parole di affetto e di ringraziamento in memoria di don Gustavo Coletti, perché, ha evidenziato, «ha servito la diocesi e la nostra città e la sua Ponte Pattoli per oltre 50 anni. Come non ricordare i momenti di grande sofferenza vissuti nella fase acuta del Covid che ci ha portato via don Gustavo e altri nostri concittadini. Abbiamo sofferto molto per il cardinale Bassetti, non solo perché è il nostro vescovo, ma per il suo carisma penetrato nel cuore di tutti, credenti e non, e come non pensare a don Gustavo e alla sua ultima preghiera rivolta al Signore per il nostro Pastore».

Colonna del volontariato. Il direttore della Caritas diocesana, don Marco Briziarelli, nel ringraziare quanti si sono adoperati per l’apertura dell’emporio, ha sottolineato l’opera di tanti volontari definendo i ragazzi della “Gi.fra.” «colonna del volontariato». Questi ragazzi e il loro coordinatore, padre Damiano Romagnolo, hanno parlato di «un’esperienza importante, perché collega tra di noi tante esperienze di volontariato: giovani della “Gi.fra.” e non solo, tutti i volontari dei paesi attorno che si stanno impegnando, così come i preti e i frati, parroci e vice parroci della IV Zona pastorale, che danno il loro contributo come semplici volontari. Ma l’ossatura del volontariato qui è fatta da tante signore e signori che si sono impegnati molto per aprire questo emporio Caritas».

Poveri e ultimi come fratelli. I ragazzi della “Gi.fra.”, Elena, Giorgia, Miriam, Sara e Stefano, hanno detto: «come fraternità francescana ci piace metterci in gioco nel fare attività di servizio partendo con lo stare con i bambini del dopo-cresima e Gr.est. (Gruppi estivi, ndr), per poi crescere, maturare, arrivando alla carità che è uno dei pilastri della “Gi.fra.”: poveri e ultimi come fratelli. Proprio quest’anno abbiamo sentito il bisogno di fare servizio, di ripartire dopo due anni di chiusura per la pandemia. Ci piace ripartire impegnandoci come volontari dell’Emporio “Don Gustavo” e questo servizio ci permette di conoscere di più la realtà che ci circonda. Non sapevamo cosa fosse un centro di ascolto o come funzionasse un emporio. Abbiamo iniziato con la raccolta di cibo, che ci ha portato a conoscere tante persone, un servizio che arricchisce sempre nel donarti agli altri».

Come contribuire alla gestione. Per quanti vogliono sostenere anche materialmente quest’emporio, oltre a svolgere attività di volontariato, possono effettuare un bonifico intestato a “Fondazione di Carità San Lorenzo”, specificando nella causale “Emporio don Gustavo”, all’IBAN: IT30P0344003000000000161500. Tutte le offerte a favore della Fondazione di Carità di San Lorenzo Onlus, ente operativo della Caritas diocesana, sono detraibili/deducibili secondo il regime fiscale.