1. VIVERE LA CHIESA. Per una fede celebrata e condivisa: tessuto delle comunità, senso di appartenenza, qualità delle celebrazioni
I segnali che mettono in evidenza il senso di appartenenza alla parrocchia sono dati dalla partecipazione all’Eucaristia domenicale e alle varie attività liturgiche, educative e caritative portate avanti in modo continuativo, ma questi vengono meno quando si parla di impegnarsi nelle unità pastorali e nelle attività che queste richiedono e nelle iniziative che coinvolgono una dimensione diocesana, che tuttavia assume rilevanza nei momenti di presenza del Vescovo. Si evidenzia una certa stanchezza e fatica nel trovare persone che si impegnano attivamente nella pastorale, al contrario c’è maggiore disponibilità quando si tratta di usufruire dei servizi proposti; al tempo stesso, occorre sottolineare la nota positiva della presenza dei movimenti laicali e degli itinerari di fede, che operano con gioia e impegno caritatevole nell’ambito delle varie realtà diocesane.
La liturgia domenicale esprime gioia e manifesta il senso della festa e dell’appartenenza, tuttavia viene avvertita da tutti la scarsa presenza dei giovani con cui è sempre più difficile comunicare per coinvolgerli all’interno delle varie comunità.
Le celebrazioni domenicali risultano partecipate, sentite e capaci di incidere profondamente nella vita dei fedeli nella misura in cui questi ultimi si sentano coinvolti, protagonisti del messaggio di Dio che entra nella loro vita e nella loro quotidianità. Si nota infatti che ci sono celebrazioni molto partecipate ed altre molto meno. Oggi, nonostante la parrocchia rimanga la cellula essenziale nella crescita della fede, si assiste ad uno spostamento molto frequente dei fedeli da una parrocchia all’altra in relazione all’esperienza di incontro con Dio maturata personalmente attraverso le diverse proposte portate avanti nelle singole parrocchie e dai diversi parroci.
L’Evangeli Gaudium è purtroppo ancora poco conosciuta e si fa fatica ad accogliere quel cambiamento di prospettive che tale esortazione richiede. Si preferisce ancora portare avanti “le solite cose” con qualche aggiustamento. Si assiste ad un permanere dell’intendere la pastorale soprattutto come conservativa, rifuggendo dalle proposte emerse nell’Evangeli Gaudium.
2. GLI ADULTI E LA FEDE. Per una fede pensata e adulta: priorità degli adulti problema dei linguaggi.
La diocesi si compone di realtà rurali e cittadine, nelle quali ci si approccia in modo diverso all’annuncio della fede e alla formazione cristiana. Nelle piccole realtà il primo annuncio viene proposto poco in quanto si considera acquisito dalla famiglia e dalla comunità, nelle città invece, si tiene conto della presenza di adulti e giovani lontani dall’esperienza e dalla formazione religiosa e quindi bisognosi di un primo annuncio. A questi è rivolta l’attenzione e il servizio dei movimenti laicali che lo hanno come carisma. E’ fondamentale tornare al primo annuncio, manca, come se dessimo per scontato il cuore della nostra fede: Cristo morto per amore e risorto. Non deve essere un annuncio freddo e razionale, ma deve far ardere il cuore, attraverso la parola e la testimonianza. Per quel che concerne la formazione permanente alla fede e il cammino cristiano si nota una fatica all’interno delle parrocchie nel portare avanti percorsi catechetici e di preghiera che favoriscano nei fedeli l’esperienza di vivere una fede adulta e fruttuosa per la propria vita. Per tale ragione si nota una presenza dei fedeli saltuaria che spesso si riduce ai soli momenti forti della vita familiare (sacramenti) e dell’anno liturgico.
Per quanto riguarda le proposte messe in atto dalla diocesi e dalla parrocchia per un accompagnamento costante nel percorso verso una fede adulta occorre fare un distinguo tra le piccole realtà che usufruiscono delle iniziative diocesane, come la Scuola di Teologia, gli incontri di approfondimento con personalità di rilievo che spaziano dal mondo ecclesiale a quello laico, oppure da catechesi organizzate dalle singole unità pastorali secondo un calendario regolare legato a momenti di preparazione ai sacramenti; dalle città nelle quali a questi strumenti si aggiungono i percorsi strutturati di formazione permanente alla fede promossi dai vari movimenti laicali. Nella nostra diocesi sono presenti movimenti e aggregazioni laicali, che poggiano le loro fondamenta sul primo annuncio. Sarebbe importante che sempre più le parrocchie si aprano e queste esperienze e che queste ultime si inseriscano maggiormente. La mancanza del primo annuncio e dell’esperienza diretta con Gesù vivo ha provocato il sorgere di altri stimoli, che aumentano le distrazioni e allontanano dall’essenza stessa della fede. Chi ha ricevuto il primo annuncio oggi, e lo ha accolto con un cuore limpido ed umile, diventa molto più che ieri un testimone gioioso e credibile, che va al di là di un modo di concepire la fede, come devozione di una religiosità accolta e subita passivamente.
Gli adulti hanno difficoltà, a volte, nel comprendere il messaggio che il sacerdote esprime durante l’omelia. In effetti il linguaggio sembra rivolto solo “agli addetti ai lavori”. Il linguaggio della fede, accolto e vissuto soprattutto nella liturgia, risulta poco efficace, incomprensibile e distante. Il mondo di oggi, che tutto semplifica, necessita di un linguaggio religioso più semplice, diretto ed essenziale. Gesù Cristo deve essere e rimanere al centro della liturgia altrimenti si corre il rischio concreto di mettere in risalto solo la figura del celebrante e di accentuarne il protagonismo. Oltre all’ostacolo della mancanza del primo annuncio, la causa di questo impoverimento cristiano, è anche la carenza di interesse, di desiderio, “impedimento agli occhi di vedere”, i pregiudizi, le incomprensioni e la mancata reale conoscenza dell’amore di Dio.
Il ruolo dei pastori è fondamentale per la trasmissione e la maturità della fede dei fedeli; considerando l’età avanzata di numerosi sacerdoti, la scarsità delle vocazioni al presbiterato e l’attenuarsi della pratica religiosa nel popolo di Dio, è difficile oggi parlare di gioiose prospettive; tuttavia si nota che laddove la comunità ecclesiale è fedele nell’ascolto della Parola di Dio, nel ricevere i sacramenti, nel testimoniare la fede cristiana con opere di carità, nell’amore tra i suoi membri, allora si può constatare la fioritura di vocazioni. Molto importante, per venire in soccorso della diminuzione delle vocazioni al presbiterato, risulta essere la pastorale vocazionale, che in parte nella nostra Diocesi ha dato i suoi frutti, ma che certamente dovrebbe essere ancora di più sostenuta e rinnovata. Al tempo stesso si avverte la necessità di coinvolgere e responsabilizzare il più possibile diaconi e laici impegnati (dotati di ministeri istituiti e non) nell’azione pastorale e nel servizio della comunità e parimenti aiutare le comunità ad apprezzare e valutare positivamente le figure di quest’ultimi.
3. I GIOVANI E LA FEDE. Per una fede “interessante” trasmessa alle nuove generazioni: coraggio innovativo
L’ostacolo più grande nella trasmissione di fede alle nuove generazioni siamo in prima istanza noi, come credenti adulti e come comunità cristiana. I giovani sono attratti dalla verità, dalla coerenza, dalla bellezza, dal vedere che una realtà d’amore si può concretamente realizzare che rende piena la vita, che dona senso all’esistenza, che trasmette la gioia di aver incontrato Qualcuno che realmente ti ha salvato. Purtroppo di questo non ne parliamo a sufficienza, ma ancora di più non lo viviamo, né in comunità, né nelle famiglie.
Un altro ostacolo è dato dalla fatica e dalle ferite che segnano la vita di molti dei nostri giovani e che sono la conseguenza della grave crisi che sta colpendo la famiglia. Oggi più di prima i giovani non hanno punti di riferimento, non si sentono amati, non conoscono l’amore e sono in ricerca spasmodica di affetto e riconoscimento. Si nota che tale condizione delle nuove generazioni rende ancora più urgente l’impegno di evangelizzazione e di annuncio della “Buona Notizia”. Tale opera deve essere corroborata da una adesione coerente e fedele al messaggio evangelico di coloro che sono proposti come operatori pastorali e catechisti sia nei percorsi della preparazione all’iniziazione cristiana, sia nei percorsi del dopo-cresima.
Un altro ostacolo purtroppo è dato dal non prendersi sufficientemente cura della formazione cristiana e spirituale dei giovani, li si abbandona al sopravvento della loro emotività, al fatto che vivono per l’immediato, che hanno bisogno di vivere il momento e forti sensazioni, ma poi tutto svanisce altrettanto velocemente; non sono più capaci neanche di interrogarsi sulle grandi domande del senso della vita, si nota in loro un disinteresse per la sfera religiosa, ma perché è completamente assente la profondità umana.
Nella nostra Diocesi emerge inoltre che si tende a dimenticare che i giovani cattolici non sono meramente destinatari dell’azione pastorale, ma membra vive dell’unico corpo ecclesiale, battezzati, in cui vive e agisce lo Spirito del Signore, li si riconosce spesso solo per fini utilitaristici (catechismo, campeggi estivi, ritiri…) quindi, la loro disponibilità incontra spesso un certo autoritarismo e sfiducia di adulti e pastori, che non riconoscono a sufficienza la loro creatività e faticano a condividere le responsabilità.
Un ostacolo serio alla trasmissione della fede alle nuove generazioni è la famiglia odierna che non frequenta più nella maggioranza dei casi la Chiesa, ragion per cui pensa che il bene assoluto dei figli stia nel lasciarli liberi di scegliere se continuare a frequentare la Chiesa oppure no, e nella maggioranza dei casi i figli seguono ciò che fanno i genitori e quindi abbandonano la Chiesa. A conferma di ciò,si nota che i giovani che continuano a frequentare la parrocchia, per la quasi totalità, sono i figli delle famiglie che la frequentano, che partecipano all’Eucaristia domenicale e sono coinvolte nelle attività di servizio.
Un altro ostacolo importante alla trasmissione della fede ai giovani sta nel fatto che questi hanno bisogno di identificare uno spazio nella Parrocchia come il loro, hanno bisogno di viverlo e di utilizzarlo come luogo di aggregazione, di relazione, di socialità in cui sia possibile anche aiutarli a crescere nella fede. Allora la Chiesa potrebbe trattenere vicino a sé i giovani tenendo, laddove possibile, uno spazio aperto al fine di metterlo a disposizione delle loro attività.
I giovani in forza del Battesimo sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede e ad annunciare la Buona Notizia che a loro volta hanno ricevuto. Questo si realizza attraverso il discreto numero di ragazzi che terminato il percorso dell’iniziazione cristiana e del dopo-cresima si mettono a disposizione della comunità nel servizio di animatore-catechista. Tale impegno nel servizio all’evangelizzazione è riscontrabile anche nelle parrocchie, nei movimenti e nei cammini di fede nei quali i giovani si prodigano nell’opera di annuncio del Vangelo e nel servizio della carità, nell’impegno per l’aiuto alle missioni sia dal punto di vista della lotta alle diseguaglianze sociali che per la salvaguardia del Creato, infine l’attenzione ai malati, agli anziani, ai poveri e alle persone migranti. I giovani coinvolti nell’opera di evangelizzazione sono ancora una minima parte dei giovani del nostro territorio, ci sono parrocchie più sensibili ad aiutarli a dedicarsi all’annuncio del Vangelo e parrocchie meno sensibili, nelle quali la comunità non percepisce evidentemente il bisogno dell’annuncio.
Le nostre comunità a volte non riescono ad apprezzare questo fino in fondo, perché il rischio grande è quello di essere comunità “da divano”, sedute, senza zelo; l’annuncio del Vangelo, la testimonianza, l’opera di carità, significa mettersi in gioco, uscire dalle Sacrestie, uscire dalla staticità e dall’ambiente confortevole della chiesa materiale per andare a confrontarsi e a compatire, secondo il suo significato etimologico, cioè soffrire insieme con i fratelli. Significa condividere le gioie e i dolori, le perplessità e i dubbi e rispondere con semplicità e logica del Vangelo che è Amore.
Per quanto riguarda l’impegno nella pastorale giovanile purtroppo questo non risponde alle attese e ai sogni dei giovani in quanto le buone iniziative proposte con una cadenza trimestrale durante l’anno non sono supportate il più delle volte da percorsi di fede per i giovani strutturati e continui all’interno delle parrocchie. La percezione poi della loro vocazione è un argomento che non interessa proprio a nessuno. Si ha grandissima difficoltà a trasmettere la fede ai ragazzi che frequentano la Parrocchia, pensiamo quanti ostacoli più grandi ci possono essere per portare il messaggio a chi non frequenta la Chiesa. Tuttavia, a prescindere dalle attività pastorali giovanili è molto difficile trattenere i ragazzi al dopo-cresima; ciò che contraddistingue oggi il mondo giovanile è la grande fragilità, dietro la corazza che cercano di indossare nascondono tante ferite e questo è ben visibile. Anche se non vogliono mostrarlo, i giovani sono in continua richiesta di aiuto e il bisogno di interrogarsi sulla propria vocazione rimane sempre attuale e dato l’enorme smarrimento, oggi è ancora più urgente.
Per quel che riguarda la pastorale vocazionale portata avanti in questi anni, i risultati, nonostante l’impegno profuso, sono stati esigui. Il punto centrale, che sta all’origine della diminuzione delle vocazione, è dato dall’apostasia della famiglia che è la “Chiesa domestica”, colei che si prende cura del seme che Dio ha messo nel cuore di ogni uomo. La percezione dell’involuzione vocazionale tra i credenti è diffusa, tuttavia, forse, c’è in tal senso un po’ di rassegnazione, come se ciò fosse dipeso dai costumi e dagli usi cambiati che, di conseguenza, rendono inesorabile tale processo. La generosità del Signore, tuttavia, non è venuta meno e all’interno del Suo popolo il Signore continua a donare le vocazioni alla vita presbiterale e consacrata ancora oggi, ma, per mancanza di testimonianza, di annuncio del Vangelo, di accompagnamento e di vita cristiana comunitaria vissuta concretamente, queste si disperdono.
Nelle comunità, in cui si assiste ancora a forme di vita evangelica, dove si aspira alla santità, con tutti i limiti e le fragilità della condizione peccatrice dell’uomo, si può veder fiorire quelle chiamate al servizio presbiterale e alla vita religiosa per esprimere la condizione beatifica della vita eterna che sono tanto fondamentali per la realizzazione del Regno di Dio nella nostra diocesi e per queste generazioni.
4. FEDE E VITA-1. Per una fede capace di plasmare la vita: gli affetti
Le parrocchie sono più orientate verso i fanciulli, che verso le famiglie, molte delle quali sono in difficoltà. La parrocchia mostra il proprio volto misericordioso a tutti quelli che vi si accostano. E’ un viso amabile, sincero, sorridente, gioviale quello che ogni presbitero e laico impegnato vuole dotarsi. Non si può interloquire con l’altro se la nostra affabilità non è né sincera né prova della nostra testimonianza. Calarsi nelle varie spaccature di questa società, sempre più frenetica ed individualista, quasi liquida, è la sfida di questo tempo. Si avverte tuttavia la difficoltà a fare dell’annuncio evangelico la chiave di interpretazione della sfera degli affetti delle persone in quanto gran parte della comunità sociale di ogni parrocchia è distante dalla Parola di Dio e dal messaggio evangelico e risulta spesso mancante la pastorale volta ad entrare in relazione con le persone che non frequentano la parrocchia che dovrebbe coinvolgere tanto i presbiteri quanto i laici impegnati.
La quotidianità, i figli, le famiglie di origine, la malattia, le proprie fragilità mettono alla prova i coniugi che spesso perdono la consapevolezza del sacramento del matrimonio. Una società sempre più basata sull’io rispetto al noi, determina che il mondo degli affetti subisca oggi un potente condizionamento in direzione di un superficiale emozionalismo e un desiderio insaziabile di possesso e di consumo. Un’altra fragilità da evidenziare è quello del ruolo dei genitori che in molti casi hanno abdicato alla loro funzione di educatori per assumere quella di “amici” dei propri figli. Padre Giulio Michelini alla Scuola Diocesana di Formazione Teologica nella lezione tenuta nell’anno 2018/2019 a proposito della famiglia disse: “Sembra che i genitori non riescano più a trasmettere ai giovani quei contenuti educativi che non sono poi nemmeno secondari, perché riguardano la vita, le gioie e i pericoli che essa comporta, col coraggio che ci vuole per affrontarla”. (Castellana Ecclesia 4). In molti casi la funzione è stata delegata alla scuola ed in modo irresponsabile ai social media, adoperati senza il supporto di una formazione per il loro corretto e maturo utilizzo. Si nota una difficoltà profonda di comunicazione all’interno delle famiglie, di scambio, di ricerca di condivisione, tratto che è traslabile anche ai rapporti tra generazioni sia nelle parrocchie sia nella comunità sociale.
Il lavoro della pastorale familiare è buono, evidenziamo che sia i corsi di preparazione al matrimonio che “gli incontri di fede con le persone separate, divorziate, conviventi e risposate” sono un concreto aiuto, senza trascurare la proficua attività del Centro di Consulenza Familiare e Individuale che offre un servizio professionale, che opera nella parrocchia di San Giovanni Battista agli Zoccolanti. Il vero problema è come accompagnare le coppie dopo il matrimonio, occorre una catechesi permanente del matrimonio. Non siamo all’anno zero nella nostra Diocesi, in quanto percorsi di fede strutturati come la “Comunità Magnificat” del Rinnovamento nello Spirito, il “Cammino Neocatecumenale”, “le Cellule di evangelizzazione”, i gruppi “Olio della lampada e “L’Equipe Notre Dame, sono punti di riferimento che andrebbero maggiormente valorizzati. Tutte queste iniziative non sono adeguatamente conosciute sia all’interno delle nostre parrocchie sia dalle comunità dei nostri territori. Si riscontra la mancanza della modalità di lavorare a “rete” per migliorare la comunicazione in tutte le sue forme.
Per le persone separate, divorziate, conviventi e risposate Amoris laetitia è stato certamente un momento di grazia ed ha permesso di entrare in comunione con la comunità dei fedeli. Anche per il popolo di Dio ha portato una maggiore consapevolezza su questi temi. Premesso questo, certamente Amoris laetitia non è però ancora molto conosciuta. Si sono tenuti dei momenti di approfondimento nei tempi appena successivi all’uscita dell’Esortazione Apostolica, ma poi molti dei suoi contenuti non sono stati approfonditi, meditati e vissuti, attraverso pratiche pastorali, nelle comunità parrocchiali.
5. FEDE E VITA-2. Per una fede concreta e incisiva: il lavoro, il tempo libero
Si è concordi nell’osservare che la costruzione di mega centri commerciali ha completamente disumanizzato quello che restava della domenica concepita come giorno di riposo, dedicato alla famiglia o alle diverse attività personali.
Viviamo una realtà complessa in cui il lavoro è diventato veramente un bene prezioso, e a guardare bene ci si rende conto che il lavoro non si è, di certo, creato aumentando gli spazi o aumentando le ore di impiego, anzi questo ha contribuito a rendere meno sicuro e meno stabili i rapporti familiari e le relazioni interpersonali. Infatti lavorando sempre di domenica e nei periodi di feste, in modo continuativo, si è perso il vero “senso del Riposo”, soprattutto il senso del riposo Cristiano. La contropartita potrebbe sembrare un aumento dell’offerta di lavoro, ma che così concepita, sul medio termine annulla l’uomo e le sue relazioni.
Quante volte sentiamo o diciamo: “non ho più una vita, sono sempre qui …. e devo essere anche felice, perché il lavoro è merce rara.”
Quello che è diventata la nostra vita, quello che è rimasto del senso di riposo, nel ritmo frenetico del lavoro di tutti i giorni, purtroppo è sotto gli occhi di tutti e il risultato non è quello di un’occupazione aumentata bensì di una alienazione che tocca il singolo e le famiglie. Dalle nostre riflessioni è emerso che osservando quello che sta avvenendo in altri paesi europei e anche nelle nostre grandi città probabilmente anche da noi si andrà verso il ritorno al piccolo negozio, al mercato colorato e profumato, al dialogo con il venditore, al rapporto con la gente che passa, a un intreccio di relazioni che umanizza e crea sinergia. Non è solo una moda, ma un’esigenza auspicabile, perché salva dall’anonimato, dall’appiattimento sociale e soprattutto salva “dall’appiattimento del cuore”.
Di fronte ai problemi dell’occupazione lavorativa nella nostra Diocesi ci sarebbero tante riflessioni da fare e tante cose da dire perché quasi tutti noi in famiglia viviamo l’esperienza della disoccupazione o della precarietà di un proprio figlio o del proprio coniuge. Anche nella nostra realtà territoriale, le aziende sopravvissute alla crisi economica del 2008, favorite dalle nuove norme sul lavoro, hanno creato un sistema che, spesse volte, non ha più niente di dignitoso: lavoro sottopagato, assunzioni fatte secondo criteri che non garantiscono più l’assunzione di persone diversamente abili, la discriminazione verso le donne, che “per disgrazia possono anche andare in maternità”!
L’operaio o il commesso non hanno più la serenità e la voglia di parlare con te, di intrecciare un dialogo. Si vedono sempre più spesso persone stressate, si sentono commenti sempre più amari rispetto al proprio lavoro, che diventato raro, una volta ottenuto, ti introduce quasi sempre nel mondo del precariato e ti costringe, per mantenerlo, ad uno spiacevole ritorno al passato.
La precarietà, purtroppo, è uno status dei lavoratori di oggi, un virus che fa ammalare l’anima, elimina i sogni e riduce le aspettative sul futuro.
Per fortuna in molti giovani l’assenza di certezze ha anche stimolato la creatività: per esigenza si sono letteralmente inventati attività nuove, arricchendo, inoltre, la propria esperienza di vita con le più svariate forme di volontariato, che nel frattempo è diventato quasi un’altra forma di lavoro.
Si nota che la comunità cristiana di fronte a questa realtà non si pone in modo incisivo tanto quanto potrebbe fare secondo le sue potenzialità. Ciò che una volta veniva svolto dalle ACLI, oggi è stato sostituito dal disimpegno in materia e dalla concertazione affidata a iniziative di singoli (per lo più Pastori) impossibilitati a mettere in campo la stessa forza e autorevolezza di un tempo.
Si evince che gli stessi credenti laici hanno perso la consapevolezza del valore aggiuntivo che la propria fede offre al contesto sociale; il nostro Credo permette al cristiano in virtù della luce di Dio di avere una visione a trecento sessanta gradi della realtà e pertanto di poter trovare risposte anche sul piano lavorativo, che si potrebbero tradurre in un corporativismo cattolico capace di creare situazioni e risorse occupazionali e rispondere contemporaneamente alle necessità sociali.
L’impostazione odierna del lavoro purtroppo lascia poco spazio al tempo libero, specialmente nella domenica e nei giorni festivi. La scarsità di impiego stabile è vero che apparentemente lascia tempi “liberi” ma questi vengono occupati da altre attività, altri, impegni, altri servizi necessari per “sopravvivere”.
Le parrocchie, le associazioni, i movimenti programmano delle iniziative che permettono alle persone di incontrarsi specialmente nei giorni di festa ma la burocrazia, la necessità di innumerevoli permessi (alcune norme sono riconosciute doverose ed importanti) scoraggia gli organizzatori che non possono portare da soli il grande peso della responsabilità. Di conseguenza, a fronte di una maggiore necessità di iniziative, queste in realtà, in qualche caso, diminuiscono (sagre, feste paesane, gite, pellegrinaggi….).
6. FEDE E VITA. Per una fede risanante e consolante: le fragilità
Nelle varie realtà ecclesiali si riscontra l’aumentare di un individualismo esasperante. È un’insofferenza che si avverte nelle persone delle varie fasce di età, nei discorsi e incontri sia personali sia di gruppo, negli orientamenti e nelle scelte di vita. Della fragilità se ne parla spesso rispetto al passato, ma in concreto, per la grande maggioranza delle situazioni presenti, rimane un desiderio aleatorio che non produce fattivamente azioni di assistenza. Molte famiglie o persone nubili o celibi (sensibilmente in aumento) si trovano in situazioni di sofferenza, non solo economica (che tra l’altro è molto presente), ma anche umana e sociale che molti nascondono o non fanno emergere, per rispondere alla logica del mondo che ci vuole tutti felici, ma solo in apparenza. Una sofferenza di tipo psicologico, solitudine, depressione, disagio sociale, problematiche emotive, separazioni, lutti, a cui si aggiungono i problemi di salute; tante sono le persone che si avvicinano alla morte e che spesso vivono nella più completa solitudine una fase fondamentale della loro esistenza umana, tutte situazioni che chiedono un supporto e una vicinanza affettiva.
Le nostre comunità si distinguono per vicinanza e accoglienza delle persone fragili che portano dentro ferite; tale attitudine e servizio viene esercitato soprattutto da alcune persone, le quali per gratitudine di fede e per una sensibilità e apertura ad affrontare le problematiche degli altri si sentono “chiamate” a svolgere questa missione per la comunità, assistite da persone formate nel sostegno e nell’accompagnamento di persone con fragilità.
Si nota che anche il debole e la persona con fragilità relazionali ha perso il senso di comunità.
Le persone fragili portano delle ferite, alcuni sono richiedenti aiuto, e essi sono accolti dalla comunità come opportunità di conversione: loro stessi evangelizzano. Anche il fragile ha valori da rivelare e condividere. Resta però difficile avvicinarsi ai deboli e ai feriti, capire quanto bisogno c’è e avere una conoscenza precisa delle problematiche.
La ferita più grande è la mancanza di vicinanza. Sentirsi all’interno della comunità, andare a trovare le persone, avvicinarsi, sentirsi vivi per rendere vivi. Si avverte sicuramente la necessità di uscire dall’autoreferenzialità della comunità ecclesiale, senza paura.
Le comunità piccole danno la possibilità di raggiungere in qualche modo tutti, di poter farsi presenti (sacerdoti, diaconi, ministri e laici) come, per esempio, il servizio ai malati con scadenze o certa frequenza, in cui non solo il malato, ma la stessa famiglia è avvicinata e coinvolta. Si avverte in alcune comunità la mancanza di carità, comprovata da un residuo numero di fedeli laici che insieme ai presbiteri, diaconi e ministri istituiti si mettano a disposizione per il servizio di visita, ascolto, assistenza e supporto delle persone con difficoltà. È mancante anche una condivisione seria dei beni materiali personali all’interno della comunità ecclesiale che possa favorire l’aiuto alle persone che si trovano nella precarietà economica.
Nelle nostre parrocchie c’è la necessità di bussare, di cercare e di chiedere aiuto in momenti cruciali della vita delle persone, in modo diretto o tramite altre persone, presso le comunità di appartenenza, ma anche presso famiglie e credenti più sensibili e aperti a dare un sostegno che parte dall’ascolto e si concretizza in un vero aiuto. Questo avviene per la consapevolezza dell’importanza di relazionarsi con un atteggiamento umano, benevolo e cristiano. Se ciò non accade è perché nel singolo, ferito e fragile nasce la paura di essere giudicato da una comunità, o che lui stesso assuma un atteggiamento auto-colpevolizzante.
Nella nostra Diocesi esistono alcune realtà di solidarietà disseminate nel territorio che accolgono e che vanno incontro alle persone che vivono in uno stato di difficoltà, di solitudine e di emarginazione.
I Centri di Ascolto Caritas e i servizi offerti dai movimenti laicali si propongono, insieme alle comunità parrocchiali, di offrire iniziative di apertura, di approccio e di prima risposta ai bisogni espressi. Il loro stile è quello della condivisione a partire dall’ascolto, costruendo possibili risposte attraverso i servizi promossi e favorendo percorsi di sostegno, sia per problematiche di tipo spirituale, umano-relazionale e materiale.
Come comunità locali ci siamo in tante situazioni. Alcune parrocchie della Unità Pastorale hanno al loro interno gruppi di carità e di solidarietà e associazioni di volontariato:
– la “Commissione della carità”: è attenta al proprio territorio ed entra con le persone per coglierne i problemi, comprenderla, aiutarla e darle risposta;
– il “Progetto Rubino”: accoglie e sostiene le situazioni di disagio dei bambini delle famiglie in difficoltà economiche;
– le “Mani tese”: va incontro alle situazioni di solitudine degli anziani per fare visita e fermarsi accanto, prendersi cura e accompagnarli al medico, a fare spesa e all’Eucaristia.
– L’Oratorio “Ore d’Oro”: accoglie tutti i giorni molti bambini, indistintamente dalla nazionalità e religione, dagli svantaggiati agli emarginati e che coinvolge numerosi giovani animatori ed educatori con attività finalizzate a favorire la maturazione di una maggiore fiducia in sé stessi, alla crescita personale e comunitaria;
– “I Samaritani”: associazione che viene incontro ai bisogni della comunità, mettendo a disposizione parte del tempo, delle capacità e della disponibilità allo scopo di operare volontariamente, per la promozione, la diffusione, il coordinamento, la sperimentazione di attività sociali, culturali, sportive di ogni persona e tra gli svantaggiati, emarginati e soggetti in condizione di disagio, senza discriminazione.
La valutazione delle varie realtà di solidarietà è positiva, purtroppo ciò che manca in alcune di esse è la relazione con un’esperienza regolare di preghiera e di incontro con Dio al fine di arricchire quella che rischia di essere opera umana senza la Grazia rinnovatrice dello Spirito Santo. Si avverte la necessità di migliorare e di mettere in rete tali realtà per un servizio più incisivo nelle comunità.
Le esperienze di sinergia tra le comunità e le strutture pubbliche nella nostra Diocesi ci sono, anche se non numerose. Per esempio la collaborazione con le Scuole per delle attività e per questioni di integrazione, la collaborazione con i Servizi sociali del Comune in alcuni casi di persone in necessità per delle soluzioni comuni, la visita e la presenza al Centro Alzheimer e alla casa di riposo “Villa Gerini”.
7. FEDE E BENE COMUNE. Per una fede incisiva e decisiva per la costruzione delle città a partire dai più deboli e dagli ultimi: politica e solidarietà
Solo in alcune comunità parrocchiali emerge la consapevolezza della valenza determinante, per una fede adulta, il riconoscere che i momenti di preghiera personali e comunitari sono altrettanto importanti dei momenti di azione caritativa e che questa sinergia è la base per poter esercitare un’attenzione operosa verso l’altro chiunque esso sia. Quindi si riscontra che non c’è tale convinzione in tutto il territorio diocesano, perché in molte realtà parrocchiali prevale l’opera sulla fede.
Gli strumenti che le parrocchie mettono in atto per rispondere ai bisogni del territorio sono dati dalla presenza di associazioni, aggregazioni e movimenti (come sopra citati) che nascono per andare incontro a chi chiede di essere ascoltato e guidato, ma si nota la fatica ad educare tutti i cristiani alla carità a causa di un individualismo a volte difficile da sradicare anche in chi è frequentatore assiduo delle parrocchie.
Il tema dell’impegno sociale e politico a livello regionale sembra essere poco sentito dalla maggioranza dei cristiani, che a volte sono disorientati da una predicazione che si colloca al di sopra delle dinamiche che afferiscono alla sfera sociale e politica della comunità o addirittura ne è lontana. Non siamo testimoni di una politica che rispecchia il messaggio di Dio e si confronta autenticamente, “sine glossa”, con la Dottrina Sociale della Chiesa e non incidiamo affatto nell’azione politica e sociale della nostra Regione e quando lo si fa è perché si scende a compromessi, edulcorando la morale cristiana e interpretandola secondo i propri riferimenti ideologici. Sarebbe opportuno e quanto mai urgente formare i giovani delle nostre comunità ad un impegno nella politica, per una “politica cristiana”.