Risanare lo spaesamento, guardando a Benedetto e Francesco
Sentirsi a casa è una espressione comune. Tutti ab- biamo l’intuizione di cosa essa significhi. La prima sensazione del non sentirsi a casa consiste nel sen- tirsi spaesati. Che cosa significa la parola “spaesa- mento”? Significa non avere un paese e dunque non avere un paesaggio. Lo spaesato è colui che si sente disorientato, senza punti di riferimento e d’orienta- mento, in un contesto non congeniale. Uno spaesato non sa dove sia e non sa dove andare: sa andare ma non sa dove. Lo spaesamento può tradursi anche in disagio. Siamo a disagio quando non ci armonizzia- mo con il contesto (di relazioni o di ambiente) in cui siamo e non riusciamo dunque a collocarci dentro di esso. Oggi, nel XXI secolo, fronteggiamo una crisi – simile e dissimile – a quelle del VI e XIII secolo.
II disfacimento delle strutture organizzative insieme alla grave e generale crisi demografica mettono l’uo- mo del VI secolo in una situazione di particolare de- bolezza. Tutto si inselvatichisce: le foreste, i monti, i rapporti, tutto. Le vecchie strade romane si deterio- rano; l’insicurezza cresce, le scorribande di barbari e malviventi imperversano. Epoca di grandi migrazio- ni di popoli, dove intere popolazioni si spostavano dalle tradizionali zone di insediamento dell’Europa centrale e orientale verso sud e verso occidente.
L’avventura di san Benedetto (+ 547) si inserisce – provvidenzialmente e magistralmente – a cavallo di un mondo che crolla in macerie e uno che tarda a nascere, nelle doglie del parto. Monasteri come Montecassino diventano fari di luce in un mondo buio, isole e culle di civiltà, assediate da un mondo in mutamento. I monaci bonificano valli e paludi, e ridanno un volto rinnovato, vigoroso e fresco al misu- rarsi monastico con un territorio ormai rinato attorno alla immensa rete interconnessa delle abbazie, ridi- ventato fecondo e creativo.
Coltura e cultura si sviluppano all’interno e attorno i monasteri: l’edificazione di tantissimi paesi e di tan- tissimi villaggi attorno ai monasteri era diretta a dare all’uomo smarrito e sbandato, un asilo, una sicurez- za, un laboratorio di civiltà, una spinta di nuova cre- atività.
San Francesco (+1226) prediligerà luoghi piccoli e semplici, nella periferia dei borghi, per vivere evan- gelicamente una vita fraterna in mezzo ai poveri cri- sti, intessendo legami di fraternità e di servizio. Ma pochi anni dopo, invierà i suoi frati anche alle città universitarie per conquistare professori, studenti e popolo, e ritessere con una predicazione vivace e accessibile la vita ecclesiale facilmente sfilacciata e tarlata dalle ideologie manichee, depressive e de- primenti, e dall’avidità del profitto, diffuse un po’ ovunque. I conventi urbani dei frati si inseriranno pro- gressivamente nel tessuto spirituale, sociale, intellet- tuale e politico cambiato, nell’era dei comuni e nel sorgere della borghesia e nel diffondersi dell’usura e dello sfruttamento degli sprotetti, impegnandosi attivamente per la giustizia e la pace sociale.
Benedetto, Francesco e i loro figli hanno risposto creativamente ai nuovi bisogni. Non possiamo fare altrettanto?
GUGLIELMO SPIRITO, OFM Conv