Assisi – veglia pasquale. Mons. Sorrentino: “Non scoraggiamoci di fronte alle disgrazie del mondo, Cristo risorto è con noi”

“La Pasqua di risurrezione è speranza che rimane salda tra le miserie della nostra esistenza. Ognuno di noi, guardando alle proprie fragilità, di spirito e di corpo, potrebbe essere tentato di scoraggiamento. Gesù risorto viene a dirci: non ti scoraggiare, io sono con te. Ognuno di noi, osservando il mondo così provato da guerre, da squilibri ecologici, da disuguaglianze che rendono così ingiusta la ripartizione della ricchezza e così disumana la vita di tanti fratelli e sorelle, sarebbe tentato di pessimismo e dire: non se ne uscirà mai. E invece il Risorto viene a dirci: riprovaci. Riprovateci insieme, con la mia parola e la mia forza. Io sono con voi”. È questo uno dei passaggi centrali dell’omelia pronunciata dal vescovo delle diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e di Foligno, monsignor Domenico Sorrentino, nel corso della veglia pasquale celebrata sabato 8 aprile, nella cattedrale di San Rufino ad Assisi. In una chiesa gremita, anche per la presenza dei parenti di alcuni adulti che hanno ricevuto il Battesimo, monsignor Sorrentino ha invitato a vivere “la Pasqua come un nuovo sguardo che trae forza dallo sguardo del Risorto. Niente, certo, è automatico: siamo chiamati a fare la nostra parte. Ma sentire Cristo Risorto in mezzo a noi è il segreto per fare cose belle e grandi, che le nostre forze umane non potrebbero realizzare”.

OMELIA VEGLIA PASQUALE ASSISI 2023
Alleluia! Davvero alleluia! Rallegriamoci e lodiamo il Signore, cari fratelli e sorelle!
Che tristezza se tutto fosse finito il venerdì santo! E invece no. E non soltanto come accade in tanti funerali di persone care delle quali si dice: “rimarrai sempre nei nostri cuori”. No. La risurrezione di Cristo è un’altra cosa. Non è nemmeno la semplice risurrezione del corpo, come ad esempio quella sperimentata da Lazzaro ad opera di Gesù. No. La risurrezione di Gesù è il passaggio a una nuova vita, in cui il corpo è trasfigurato secondo criteri misteriosi che lo sottraggono ai limiti di una biologia che inevitabilmente invecchia e perisce, e diventa un corpo glorioso, pienamente abitato e condotto dalla forza dello Spirito di Dio.

Cari fratelli e sorelle, questo mistero sfida la ragione. È tuttavia il mistero sul quale è fondata la nostra fede. Quando tra poco alcuni adulti riceveranno il battesimo, a loro verrà richiesto di accogliere questa verità ed anzi di farne la roccia della loro vita. Come infatti abbiamo ascoltato da San Paolo, il battesimo ci immerge nell’ acqua, per esprimere il nostro morire al peccato, e ci fa risalire da essa, per indicare che risorgiamo con Gesù a nuova vita.
La risurrezione di Gesù è un mistero. Esso è però ben radicato nella storia, come è stata vissuta dai primi testimoni. I vangeli si industriano a raccontarci lo svolgimento dei fatti, con particolari che possono variare a seconda di come la memoria e la lettura degli eventi si sono sviluppate nel tempo e nei diversi contesti narrativi, ma tutti convergono in questa notizia – shock: la tomba di Gesù, la mattina di Pasqua, è stata trovata vuota. A trovarla vuota furono le donne che ne diedero il primo annuncio. Fu poi il Risorto stesso, in diversi momenti e modi, a farsi vedere dai suoi discepoli.
Ci possiamo fidare di quanto ci raccontano? A rendere credibili le loro testimonianze, basti pensare che questi narratori erano gli stessi che poche ore prima erano stati sconvolti dalla passione di Cristo e si erano dileguati. Il Risorto li sorprende nel cenacolo a porte chiuse per paura. Uno di loro, Tommaso, non crederà che dopo aver toccato la carne di Cristo. E che non si tratti di un’invenzione, lo dice il fatto che, dopo la morte di Gesù, tutto era diventato più difficile per i suoi discepoli. Niente li avrebbe spinti a inventare un racconto che li metteva ancora più in difficoltà e li candidava al martirio. Avrebbero potuto cavarsela con molto meno, dicendo che il messaggio di Gesù restava vivo. E invece sono costretti dall’evidenza a scegliere la via più difficile: annunciare che Gesù stesso era vivo, e rimane vivo per sempre. La risurrezione di Gesù è così il fondamento della nostra fede in lui, al punto che, secondo le parole dell’Apostolo Paolo, anch’egli testimone del Risorto sulla via di Damasco, se Cristo non fosse risorto, vana sarebbe la nostra fede (1Cor 15,14).
Sì, noi siamo qui in questa notte santa a dire che la risurrezione di Gesù è la vera sconfitta della morte. In Gesù Risorto il mondo ritrova il suo significato originario, oscurato dal peccato. Per questo nella veglia che abbiamo fatto, le letture bibliche partivano da molto lontano, dalla creazione stessa del mondo, e ci hanno poi riassunto le principali tappe attraverso le quali Dio si è fatto a noi vicino, per rifare l’alleanza originaria e renderla anzi nuova, più bella e più grande, facendo della morte e risurrezione di Gesù il suo approdo e il suo vertice, la “nuova ed eterna” alleanza.
In Gesù l’armonia del mondo è ricomposta. L’oscurità è vinta, come ci ha spiegato il simbolo della luce e del fuoco nuovo. Con la Pasqua un’ondata traboccante dello Spirito di Dio si è riversata nella storia, perché chiunque confessi il nome di Gesù e si aggrappi a lui possa ritrovare un nuovo senso per la sua vita, ponendosi sulla via dell’eternità, ma anche ritrovando una nuova bussola per la sua umanità.
La Pasqua di risurrezione è speranza che rimane salda tra le miserie della nostra esistenza. Ognuno di noi, guardando alle proprie fragilità, di spirito e di corpo, potrebbe essere tentato di scoraggiamento. Gesù risorto viene a dirci: non ti scoraggiare, io sono con te. Ognuno di noi, osservando il mondo così provato da guerre, da squilibri ecologici, da disuguaglianze che rendono così ingiusta la ripartizione della ricchezza e così disumana la vita di tanti fratelli e sorelle, sarebbe tentato di pessimismo e dire: non se ne uscirà mai. E invece il Risorto viene a dirci: riprovaci. Riprovateci insieme, con la mia parola e la mia forza. Io sono con voi.

Vogliamo pertanto vivere la Pasqua come un nuovo sguardo che trae forza dallo sguardo del Risorto. Niente, certo, è automatico: siamo chiamati a fare la nostra parte. Ma sentire Cristo Risorto in mezzo a noi è il segreto per fare cose belle e grandi, che le nostre forze umane non potrebbero realizzare.

Non è questo che dimostra la nostra Assisi? Qui la forza della risurrezione di Gesù ha tracciato nuove vie di speranza. Che cosa è stata, se non una risurrezione, la conversione di Francesco, che ne fece un uomo tutto di Dio e dei poveri? Che cosa è stata, se non una risurrezione, la scelta di Chiara di seguirne le orme sulla via del Vangelo? E che cosa è oggi il volto sorridente del beato Carlo Acutis, che sta attraendo giovani da tutte le parti del mondo, se non l’esplosione della vita di Gesù Risorto in un ragazzo morto ad appena quindici anni?

Davanti a cose come queste, non c’è che da cantare l’alleluia della gioia e rinnovare la nostra fede, come due millenni di storia ce l’hanno trasmessa: sì, Cristo è risorto, è davvero risorto. E dunque noi possiamo risorgere con lui a vita nuova. È questa la Pasqua che ci auguriamo e vogliamo vivere fino in fondo. Ne facciamo un augurio di pace per i tanti fratelli e sorelle che stanno morendo tra le armi e sotto le bombe anche in questi giorni santi. A tutti, proprio a tutti, buona Pasqua!

Terni – Pasqua 2023 – celebrazione della veglia nella cattedrale di Terni. Mons. Soddu: “La resurrezione di Gesù che ci viene donata, la vita nuova, che è la vita in Dio, il cui sapore e bellezza l’assapora solo chi ha un cuore nuovo”

Celebrata la veglia pasquale nella Cattedrale di Terni con la suggestiva liturgia, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, iniziata sul sagrato della chiesa con la benedizione del fuoco nuovo e con l’accensione del cero pasquale che è stato decorato dalle suore Clarisse di Terni. Il cero è stato portato in processione lungo la navata centrale della cattedrale al canto del Lumen Christi.
È seguita la liturgia della parola con le letture dell’Antico Testamento e del Vangelo e quindi la liturgia battesimale con la benedizione dell’acqua del fonte battesimale, il rinnovo delle promesse battesimali e l’aspersione dell’assemblea. Con l’acqua del fonte battesimale è stata battezzata una giovane donna Rachel, che insieme ad altri sei adulti, ha terminato il percorso del catecumenato, sotto la guida di don Pio Scipioni, ed hanno ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana, dell’Eucarestia e della Confermazione.
«E’ un momento carico di emozione quello che viviamo nella veglia pasquale – ha detto il vescovo – radunati nel cuore della notte per rivivere e incontrare il Signore risorto, questa realtà fondamentale della nostra fede è per l’umanità intera e quindi per ciascuno di noi il dono essenziale in forza del quale, liberati dal peccato, abbiamo l’opportunità di vivere in Cristo Gesù come figli di Dio. La solennità della veglia pasquale ci pone dei segni per rendere evidente quanto il Signore attraverso la passione e morte del suo figlio ha voluto dare all’umanità. Manifestare la potenza dell’amore di Dio, significare attraverso dei gesti che sono il riversarsi dell’amore di Dio nel mondo di sempre. La resurrezione di Gesù che ci viene donata, la vita nuova che è la vita in Dio, il cui sapore e bellezza l’assapora solo chi ha un cuore nuovo. Non si può sovrapporre un dono così nuovo in una situazione di antichità. Ascoltare Gesù non le altre voci che partono da un cuore non rinnovato che sono farfugliate e che non hanno a che fare niente con la vita nuova che Dio ci dà, quella del battezzato di colui che partecipa di Cristo. Non è possibile l’amore senza passare attraverso la donazione».

Terni – processione del Cristo Morto per le vie di Terni. Mons. Soddu: “la pietra del sepolcro delle nostre colpe e del peccato sia rimossa dal nostro desiderio di essere uniti a Cristo”

Tante persone, famiglie, i sacerdoti delle parrocchie di Terni centro, dame e cavalieri del Santo Sepolcro  hanno partecipato venerdì sera alla processione del Cristo morto presieduta dal vescovo Francesco Soddu. La processione aux flambeaux con la statua del Cristo morto e della Madonna addolorata, partita dalla chiesa di San Francesco, si è snodata lungo le vie centrali della città, passando per piazza della Repubblica dove c’è stata la sosta davanti all’edicola della Madonna del Popolo con la lettura del vangelo e la meditazione, per proseguire poi fino alla Cattedrale.
Sono stati letti brano del Vangelo di Giovanni e preghiere di invocazione perchè cessino babarie e violenze dei nostri giorni: “Perdonaci Signore, se non contenti dei chiodi con i quali trafiggemmo la tua mano, continuiamo ad abbeverarci al sangue dei morti dilaniati dalle armi. Perdonaci, se queste mani che avevi creato per custodire, si sono trasformate in strumenti di morte”.
Il vescovo ha ricordato come il momento della celebrazione del venerdì santo con la processione cittadina del Cristo morto e della Madonna Addolorata dia testimonianza dell’amore di Gesù: “Apriamo il nostro cuore a Gesù che ancora una volta dice “ho sete”, chiede di dargli da bere. Gesù ha sete della nostra fede, perchè possiamo accedere alla sorgente zampillante della sua grazia. In qest’ora, appeso sulla croce ha ancora sete; spetterà a noi dargli il senso pulito della nostra adesione a lui, oppure inzuppare d’aceto la nostra vita fatta di egoismo, prevaricazione, di cose acide che non sono la sorgente zampillante di acqua fresca che ci è stata donata con il battesimo. Maria ai piedi della croce raccoglie l’ultimo respiro del figlio e lo unisce al suo immenso dolore di madre. Accoglie nella morte del figlio la morte di ciascuno di noi, che esanime a causa del peccato, anela ancora di essere liberato dalla schiavitù di quella corruzione che è molto più forte di quella del corpo. Fa che nessuno di noi abbia ad imputridire nel proprio egoismo; fa che la pietra del sepolcro delle nostre colpe e del nostro peccato sia rimosso dal nostro desiderio di essere uniti a Cristo. Solo nell’amore totale possiamo avere la piena freschezza della vita, che dal sepoclro di Cristo si apre a vita nuova. Rimuoviamo quella pietra messa all’imboccatura del sepolcro delle nostre vite, Gesù l’ha già rimossa, spetta a noi affidarci alla sua grazia, e dalle nostre morti cerchiamo di accogliere la resurrezione”.

Terni – celebrazione della Passione di Cristo del venerdì santo

Celebrata nella Cattedrale di Terni dal vescovo Francesco Antonio Soddu la liturgia della passione del Signore con l’adorazione della croce. La processione d’ingresso dei sacerdoti che ha attraversato la navata della chiesa, iniziata nel silenzio senza canti, ha raggiunto l’altare spoglio, dove la celebrazione è proseguita con la proclamazione delle letture e del vangelo della Passione di Gesù, quindi lo svelamento della croce coperta d’un velo posta al fondo delal chiesa che viene portata in processione all’altare con tre soste e innalzamenti della Croce, l’adorazione della Croce e la comunione. Hanno concelebrato don Salvatore Ferdinandi vicario generale della diocesi, don Antonio Maniero, don Camillo Camozzi e don Saul Bileo.
Al centro della riflessione del vescovo, rifacendosi alla lettura del profeta Isaia e della lettera agli Ebrei, il dono di Gesù all’umanità: “nel servizio si ha la realizzazione piena dell’umanità, tutto il resto porta al fallimento. Il servizio come ha fatto Gesù che ha dato la vita per noi. Noi abbiamo ricevuto Gesù nel battesimo e che cosa ne facciamo? Dal tradimento di Giudia al rinnegamento di Pietro. La verità va inseguita sempre e solo in Dio troverà le risposte. Nessuna paura deve frapporsi tra noi e la testimonianza di Gesù. In questo momento Gesù è la nostra fede, è la sua sete che ci fa giusti nel testioniare sempre il nostro essere cristiani”.
Dopo la lettura della passione di Cristo si è pregato con una serie d’invocazioni per la chiesa, per le categorie della società civile, i credenti e non credenti, i tribolati e malati, per la pace, perchè il mondo sia liberato dalle sofferenze del tempo presente, perchè si estingua l’odio e la violenza, perchè regni la pace, la concordia, la comunione, la giustizia.

Perugia: Celebrata in cattedrale la Cena del Signore del Giovedì Santo. L’arcivescovo Ivan Maffeis ha compiuto il rito della lavanda dei piedi ad un gruppo di persone colpite dal recente terremoto.

«Nei giorni scorsi ho letto la recensione di un libro, che fotografa una situazione che, per molti versi, ci tocca da vicino fin dal titolo: “Scontenti”. La scontentezza – leggo – è “un malessere personale e sociale”, “un male interiore”, che “porta all’animosità”; “uno stato d’incompiutezza che non trova sbocco religioso e che sfocia in malcontento e ribellione”. Ancora: “Ci inoltriamo in un vuoto di punti fermi, di legami di provenienza e di orizzonti di aspettativa…”». Con queste parole l’arcivescovo Ivan Maffeis ha introdotto l’omelia della celebrazione della Cena del Signore del Giovedì Santo, 6 aprile, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, compiendo il rito della lavanda dei piedi ad gruppo di persone dei territori colpiti dal terremoto dello scorso 9 marzo, quattro settimane fa, come segno di attenzione della Chiesa particolare nei loro confronti. Gesto che il presule ha compiuto, in mattinata, in Carcere, ad alcune decine di detenute e detenuti.

Proseguendo l’omelia (il testo completo e la fotogallery sono scaricabili al link: https://diocesi.perugia.it/wd-document/giovedi-santo-messa-nella-cena-del-signore-6-aprile-2023/ ), mons. Maffeis ha commentato: «Quanto è distante questa condizione esasperata (disperata?) dalla serena consapevolezza che Gesù ha di sé: “Sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava…”. Queste parole sono scritte per noi: siamo venuti da Dio, a Dio apparteniamo e a Dio ritorniamo… È questa è la sintesi, piena di speranza, che la fede cristiana offre della parabola della vita…».

«Il racconto della lavanda dei piedi – ha evidenziato l’arcivescovo – ci rivela fino in fondo l’identità di Gesù. Quando si era invitati a partecipare a un banchetto, sulla porta un servo lavava i piedi per consentire di entrare e di sedersi a tavola con gli altri. Così, nel suo amore il Signore si abbassa e si fa servo: ci lava dalle nostre sporcizie e ci rende la possibilità di accedere al Padre e di riconoscerci fratelli, comunità, sua Chiesa».

«La vera umiltà – ha ricordato mons. Maffeis – è quella di chi si lascia raggiungere e salvare dall’amore del Signore, pane per noi spezzato, vino per noi versato. In Lui – in Cristo Gesù, nel mistero della sua passione, morte e risurrezione che si rinnova in ogni Eucaristia – veniamo liberati da una vita ripiegata su noi stessi, che è sterile e rende scontenti; veniamo restituiti alla verità più profonda di ciò che siamo: persone per le quali il Signore ha dato la sua vita».

«È quanto abbiamo vissuto anche questa mattina, celebrando la liturgia della Parola, nel carcere di Capanne, compiendo il gesto della lavanda dei piedi ad alcune decine di detenute e detenuti in un clima di profondo raccoglimento e di profonda commozione che ti fa sentire che per essere perdonato, a volte, devi davvero toccare il fondo della tua povertà e della tua miseria. Si toccava con mano un bisogno, un desiderio, una disponibilità a far spazio all’amore del Signore e a rialzarsi».

«Questa sera preghiamo per le tante famiglie che sono provate dal terremoto perché fuori casa, e abbiamo invitato alcuni di loro, simbolicamente, per non dimenticarci di questi fratelli e di queste sorelle che celebrano una Pasqua nella difficoltà e nel disagio. Sappiamo cosa sia la mancanza della casa – ha commentato l’arcivescovo, concludendo l’omelia –. Preghiamo per loro e per ciascuno di noi, perché sappiamo lasciarci raggiungere dalla Pasqua del Signore: sarà per ciascuno “l’inizio dei mesi, il primo mese dell’anno”, come richiamava la pagina dell’Esodo; sarà il Capodanno da cui discende l’anno di grazia del Signore…».

Terni – celebrazione del giovedì santo nella Casa Circodariale di Terni, il vescovo lava i piedi a dodici detenuti

La celebrazione della messa in Coena Domini, del giovedì santo, è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale, prima volta che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere cittadino.
La messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, del presidente dell’associazione di volontariato San Martino Francesco Venturini, della responsabile del settore carcere della Caritas Nadia Agostini, di altri volontari e operatori all’interno del carcere.
Nel corso della celebrazione, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a undici detenuti e ad un volontario.
«Gesù con la sua morte e resurrezione – ha detto il vescovo ai detenuti – ci libera dalla schiavitù del peccato. Ci libera dal carcere più duro, che è quello che è nel nostro cuore. La libertà dei figli di Dio supera le barriere di ogni carcere, perchè il carcere più duro è quello di fronte a se stessi, non vi è situazione più dura di quella di non vedere una prospettiva. Quando siamo assediati dal peccato cosa ci potrà liberare? Solo il Signore, vincitore della morte. In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena. Il significato di quel gesto, che dice la presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, rivela anche qualcosa di molto pratico che ciascuno è chiamato a fare; e se l’eucaristia sacramentalmente è propria del sacerdote, il suo significato reale lo possiamo fare tutti quanti, nel donarci agli altri. Nello stesso lavare i piedi da parte di Gesù agli apostoli è espresso il senso profondo del servizio, sino alle estreme conseguenze, cioè dare la vita per gli altri. Il tradimento di Gesù è il nostro tradimento, di ciascuno di noi, davanti al quale dobbiamo fare i conti, o cadere nella disperazione come Giuda, oppure in un pentimento profondo come è stato per Pietro. Però il pianto amaro non deve cadere nello sconforto definitivo, ma aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova».

Perugia: Celebrata la Messa Crismale in cattedrale. L’omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis: “Anche noi presbiteri siamo farina del sacco comune, con le nostre povertà, le nostre miopie e contraddizioni”

“A distanza di quasi sette mesi sento profonda gratitudine per questa Chiesa di Perugia-Città della Pieve, la nostra Chiesa, per la disponibilità cordiale con cui mi avete accolto”. Così l’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia della sua prima Messa Crismale da pastore della Chiesa perugino-pievese (ha ricevuto l’ordinazione episcopale lo scorso 11 settembre), pronunciata il pomeriggio del Mercoledì Santo, 5 aprile, nella cattedrale di San Lorenzo, davanti al suo predecessore, il cardinale Gualtiero Bassetti, al Clero diocesano e a numerosi fedeli provenienti dalle sette Zone pastorali dell’Archidiocesi, insieme a tanti ragazzi e ragazze che nel corso dell’anno riceveranno il sacramento della Cresima.

La storia di ogni vocazione. Al momento della consacrazione degli olii, monsignor Maffeis ha voluto accanto a sé questi fanciulli e, nell’omelia, soffermandosi sulla “storia di ogni vocazione”, che “è essenzialmente un compimento del battesimo”, ha sottolineato che “anche noi presbiteri siamo farina del sacco comune, con le nostre povertà, le nostre miopie e contraddizioni, il ritrovarci esposti al pericolo di lasciar smorzare il fuoco del primo amore… È fuoco che si rianima con la frequentazione della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, il perdono sacramentale. Perché tutto ciò non si riduca a pratiche religiose, ma possa alimentare una vita spirituale, ci è chiesto – per usare l’immagine che accompagna quest’anno sinodale – di assumere lo stare di Maria ai piedi del Signore, imparando a deporre quell’attivismo che trasforma la vita in una fuga, in un nascondimento, in una maschera…”.

La ricchezza della celebrazione. Mons. Maffeis ha parlata di “celebrazione così ricca”, perché è quella, oltre della consacrazione dell’olio crismale – utilizzato nei sacramenti del Battesimo e della Cresima e nelle ordinazioni presbiterali ed episcopali – e degli olii dei catecumeni e per l’unzione degli infermi, i sacerdoti insieme al vescovo diocesano rinnovano le promesse della loro ordinazione.

La natura sacerdotale del popolo. Nell’omelia – il cui testo integrale, insieme alla fotogallery della Messa crismale, è scaricabile dal sito della diocesi rinnovato nei contenuti e nella veste grafica (https://diocesi.perugia.it/celebrata-la-messa-crismale/) – Maffeis ha raccolto tre pensieri rivolti in particolare ai presbiteri, ma, come lo stesso presule ha commentato, “nelle intenzioni vorrebbero raggiungere il cuore di tutti”. E avviandosi alla conclusione ha ringraziato il Signore “per la natura sacerdotale dell’intero popolo di Dio, al quale apparteniamo, alla cui crescita è orientata la nostra vocazione e con il quale deve diventare sempre più intesa la corresponsabilità”.

Segni di una cultura della legalità. L’arcivescovo si è anche soffermato sulla provenienza di parte dell’olio che ha consacrato, “donato dalla nostra Polizia di Stato – ha precisato –. Proviene dagli olivi coltivati nel Giardino della Memoria, a pochi passi dallo svincolo autostradale di Capaci, luogo della strage mafiosa in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. È inoltre profumato con l’essenza del bergamotto, offertoci dal Vescovo di Locri – Gerace con un augurio di pace e di speranza per tutti. Sono segni che ci impegnano a far la nostra parte per una cultura della legalità”.

L’indirizzo di saluto del vicario generale. Don Simone Sorbaioli, vicario generale, nel suo indirizzo di saluto all’inizio della celebrazione, ha espresso a nome di tutto il Presbiterio diocesano la gratitudine all’arcivescovo Maffeis. “Nella nostra diocesi – ha detto don Sorbaioli, rivolgendosi al pastore Ivan –, ha iniziato, in continuità con il magistero del cardinale Bassetti, un puntuale lavoro di conoscenza, revisione e impostazione della realtà diocesana. Abbiamo subito apprezzato il suo tratto discreto e profondo al tempo stesso, capace di andare con ciascuno, oltre la formalità dei rapporti istituzionali”.

Il ricordo dei presbiteri vivi e defunti. Come è consuetudine, il vicario generale ha ricordato i presbiteri che nel corso dell’anno celebrano particolari giubilei sacerdotali, ad iniziare dal più giovane nel sacerdozio, don Claudio Faina, ordinato lo scorso 29 gennaio, “che sta muovendo i primi passi del suo ministero nelle parrocchie di San Nicolò e Sant’Angelo di Celle”, ha commentato don Sorbaioli per poi ricordare il confratello che compie 25 anni di ordinazione, don Francesco Buono, insieme a tre diaconi permanenti, Giovanni Benedetto D’Andola, Remigio Dolci e Gaetano Murino. Mentre festeggiano i 50 anni di sacerdozio don Gino Ciacci e don Giuseppe Cistellini, i 60 di ordinazione don Primo Alberati, don Mario Bellaveglia e don Cesare Piazzoli e raggiunge il traguardo dei 70 don Amerigo Federici. Infine, ha sottolineato il vicario genera, “non possiamo dimenticare il decano del Clero perugino (qui presente), mons. Luciano Tinarelli, classe 1926, che quest’anno festeggia i 74 anni di ordinazione”. Un sentito pensiero don Sorbaioli lo ha riservato ai confratelli che nel corso dello scorso anno sono tornati alla Casa del Padre, mons. Augusto Panzanelli, mons. Mario Stefanoni, don Aldo Milli e don Armando Di Renzo.

Segno di speranza. “Accanto a loro ci piace ricordare – ha concluso don Sorbaioli –, come segno di speranza, che la nostra diocesi conta, al momento presente, tre seminaristi in teologia, due giovani che frequentano l’anno propedeutico e altri tre giovani in periodo di discernimento. Questo ci allarga il cuore ma non ci fa dimenticare il dovere di pregare senza stancarci il Padrone della messe”.

Città di Castello – messa crismale

“Essere preti oggi è un dono meraviglioso e una grazia immensa”. Vuol dire essere servi premurosi dei nostri fratelli e sorelle. Lo ha ricordato questa mattina il vescovo di Città di Castello mons. Luciano Paolucci Bedini presiedendo in Cattedrale, per la prima volta da quando siede sulla cattedra di san Florido, la messa crismale – preludio al Triduo pasquale – presente il clero della diocesi tifernate. Durante la celebrazione è stato ricordato con affetto il vescovo emerito mons. Domenico Cancian nel giorno del suo 76° compleanno. Si è fatta memoria anche di don Aldo Viti e don Vinicio Zambri, scomparsi nei mesi passati.

Parlando ai suoi preti e ai suoi diaconi il presule ha preso spunto dalle letture proprie della celebrazione sottolineando che c’è un oggi che Gesù dichiara compiuto per sé nel vangelo. “È l’oggi che si perpetua per noi nell’esercizio del ministero. Oggi siamo chiamati dare la nostra vita per il servizio del presbiterato e dell’episcopato. In questo oggi del mondo, che ci appare sempre più confuso e smarrito, in preda alle scelleratezze dei potenti e lontano dalla solidarietà fraterna senza distinzioni, dove la luce del vangelo sembra essere ormai velata dallo splendore di ciò che è effimero e superficiale. Ma anche nell’oggi della nostra Chiesa occidentale, che sembra faticare sempre più nell’offrire agli uomini l’annuncio della speranza e dell’amore che nella fede custodisce, e di cui solo è debitrice al mondo, per la misericordia che le è stata usata”.

Mons. Luciano Paolucci Bedini ha come offerto alcune idee concrete ai preti ed ai diaconi quando li ha invitati a vivere “offrendo ai fratelli e alle sorelle il pane buono della Parola e l’acqua viva dei Sacramenti. Chinandoci con compassione su chi è toccato dal male, rimanendo accanto con le nostre lacrime. Prendendo per mano i più piccoli per accompagnarli con fiducia dentro la vita. Poter condividere con tutti loro il cammino che il Signore ci indica imparando insieme ad ascoltare la voce dello Spirito. Fungendo da maestri tra il popolo nel discernimento della volontà di Dio, solo perché per primi ne siamo divenuti discepoli, e da questa guida spirituale ci lasciamo condurre ogni giorno”.

Oggi pomeriggio alle ore 18.30 il Vescovo celebrerà in Cattedrale la Santa Messa nella Cena del Signore.
Domenica 12 aprile alle ore 10.30 mons. Luciano Paolucci Bedini presiederà la Messa di Pasqua ed impartirà la Benedizione Papale.

Spoleto – Messa Crismale. L’Arcivescovo: «Una sofferta carenza di clero porta ad una risposta coraggiosa e innovativa, ad un passaggio, non più rimandabile, da una pastorale di conservazione a una missionaria»

Nel pomeriggio di mercoledì 5 aprile 2023 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto nella Basilica Cattedrale di Spoleto la Messa Crismale con i presbiteri e numerosi fedeli. Vescovo e preti si sono ritrovati alle 16.30 nella chiesa di S. Filippo Neri per la liturgia penitenziale dove hanno avuto modo di confessarsi; poi, processionalmente hanno raggiunto il Duomo, hanno varcato la Porta Santa dell’825° anniversario della sua dedicazione e finalmente hanno celebrato l’Eucaristia ed hanno rinnovato le promesse fatte il giorno della loro ordinazione. In questa liturgia, che rivela ogni volta un fascino particolare e che manifesta visibilmente la Chiesa in tutte le sue componenti riunite attorno al Vescovo nella Cattedrale, vengono benedetti gli oli per i sacramenti: il Crisma per i Battesimi, le Cresime, le Ordinazioni sacerdotali ed episcopali; l’Olio dei Catecumeni usato nei Battesimi; e l’olio per l’Unzione degli Infermi. É stata anche fatta memoria dei presbiteri tornati alla Casa del Padre dalla scorsa Messa Crismale ad oggi (mons. Giampiero Ceccarelli, don Guerrino Conti, don Gaetano Conocchia, don Antonio Diotallevi, don Gianfranco Formenton) e si è ringraziato Dio per quanti quest’anno celebrano un anniversario particolare di ordinazione (don Luciano Avenati e don Salvatore Piga 50 anni; don Jozef Gercàk, don Kamil Ragan e P. Pio Spigarelli, Ofm Capp., 25 anni). La Messa è stata animata nel canto dalla corale diocesana diretta da Mauro Presazzi, con all’organo Angelo Rosati.

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Una sofferta carenza di clero. Nell’omelia mons. Boccardo ha condiviso con i presbiteri e i fedeli la grave preoccupazione per la carenza di clero, situazione che interpella la coscienza di tutti, che deve provocare una seria riflessione e che richiede a tutti un coraggioso impegno. Con chiarezza il Presule ha fornito i numeri: «Con meno di 30 sacerdoti sotto i 75 anni di età e con l’aiuto prezioso di alcuni presbiteri religiosi, occorre provvedere a 71 parrocchie. Con sano realismo, dobbiamo prendere atto di non poter più assicurare al ministero pastorale le modalità pratiche che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto e che fino ad oggi abbiamo più o meno conservato». La riflessione dell’Arcivescovo però non è stata fine e a stessa, non è stata un piangersi addosso, ma un punto reale dal quale partire per individuare un modo rinnovato per trasmettere il Vangelo, per stare come Chiesa tra le case della gente.  Ha detto, infatti: «Se noi siamo ora di fronte ad una sofferta carenza di clero – e dobbiamo prevedere che essa andrà crescendo in maniera preoccupante almeno per i prossimi anni -, occorre che ci riportiamo agli atteggiamenti della Chiesa primitiva e proviamo ad imitarla sia nella fiducia nella Provvidenza, che suscita sempre collaboratori adatti per il ministero, sia nell’ingegnosità e nell’apertura a tutte quelle soluzioni che una riflessione ragionevole ci ispira».

Scelte pastorali nel segno della sinodalità. Di questa situazione già ne hanno riflettuto a lungo, con attento discernimento, i membri del Consiglio episcopale e quelli del Consiglio presbiterale: hanno visto che è giunto il momento di mettere in atto delle forme di pastorale coraggiose e innovative. E per facilitare la realizzazione di questo progetto hanno già rimesso nelle mani dell’Arcivescovo il loro mandato di parroci. «Un gesto di autentica corresponsabilità ecclesiale», lo ha definito mons. Boccardo. Una scelta, va chiarito, non dettata da una ritirata strategica fronte della realtà, ma generata dallo sforzo di leggere i segni dei tempi. Ciò richiede una grande disponibilità e una grande libertà interiore da parte dei presbiteri che, su questo percorso che si apre, avranno dei colloqui personali con l’Arcivescovo durante il tempo pasquale.

Le nuove Pievanie. «Si è dunque unanimemente deciso – ha detto l’Arcivescovo – di confermare l’istituzione della Pievania, nella quale convergono le parrocchie di una intera zona pastorale, dando origine ad un unico soggetto canonicamente costituito, con figure ministeriali destinate al suo servizio e provvisto di alcuni elementi identificativi, quali una sede e una denominazione. Ciò richiederà anche la ricollocazione ministeriale dei sacerdoti e una diversa definizione di quelle comunità che da tempo non sono più in grado di assicurare gli elementi fondamentali necessari per essere considerate parrocchia. Un solo presbitero – con il titolo di pievano – sarà riferimento unitario per la Pievania, essendo anche canonicamente parroco di tutte le singole parrocchie che la compongono (can. 526 § 1). Egli eserciterà il ministero con i sacerdoti del territorio e ne sarà coordinatore, in stretta comunione di intenti e di atteggiamenti, per la realizzazione di un medesimo progetto pastorale, anche con forme concrete di vita condivisa, all’interno di una più intensa relazione con i fedeli laici che partecipano con un proprio specifico contributo alla cura pastorale della comunità. Sarà prezioso in questo ambito il coinvolgimento dei diaconi permanenti, con l’attrattiva del realismo umano e pastorale che nasce dalla ordinarietà di vita di cui ciascuno di essi fa esperienza».

Una maggiore corresponsabilità dei fedeli laici. Al pievano e ai sacerdoti della Pievania verrà affiancata nella responsabilità della cura d’anime una Équipe pastorale nominata dal Vescovo con una apposita “Lettera di missione” e composta da alcuni fedeli laici scelti tra quanti si vogliano dedicare in modo più stabile al servizio della comunità nel suo insieme. «Essi – ha detto ancora nell’omelia il Presule – dovranno essere opportunamente accompagnati ad acquisire una adeguata formazione spirituale e ministeriale, per poter rispondere con efficacia al compito loro affidato. Mentre il Consiglio Pastorale di Pievania continuerà ad essere promotore e animatore della vita delle comunità, luogo di sinodalità e corresponsabilità, scuola di ascolto e di discernimento».

Nessuna comunità sarà abbandonata. È importante sottolineare un principio fondamentale: «In forza del mandato di Cristo e della nostra responsabilità come sacri ministri ­– ha detto mons. Boccardo –  nessuna comunità sarà lasciata senza una adeguata cura pastorale, nessuna comunità sarà abbandonata. Anche dove non è più possibile esprimere le funzioni tipiche della parrocchia, persisterà per il Vescovo e per la Diocesi l’obbligo della cura della gente che vi risiede. Non ci proponiamo quindi di ridurre l’attività pastorale, bensì di farne di più, meglio organizzata e condotta, assicurando modalità di1verse di presenza e di servizio, non necessariamente identiche a quante messe in atto finora».

Terni – celebrazione della Messa Crismale con i sacerdoti e i cresimandi

In una gremita cattedrale di Terni è stata celebrata la Messa Crismale del mercoledì santo, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, alla presenza di tutti i sacerdoti diocesani e religiosi, diaconi, religiose, laici e 400 ragazzi e ragazze di tutte le parrocchie della diocesi che riceveranno la cresima nei prossimi mesi.
Una significativa espressione di unione e comunione di tutti i presbiteri nel ministero del sacerdozio e della missione evangelizzatrice a cui sono stati chiamati, ma anche di unione con l’intera comunità ecclesiale.
Il vescovo ha benedetto gli olii sacri che saranno usati nell’amministrare i sacramenti: l’olio dei catecumeni col quale sono unti coloro che vengono battezzati; del crisma, una mistura di olio e essenze profumate usata nel battesimo, nella cresima, nella ordinazione di sacerdoti e vescovi, nella dedicazione delle chiese; l’olio degli infermi, che viene utilizzato per dare conforto ai malati e per accompagnare all’incontro col Padre, i moribondi fortificati e riconciliati.
«La bellezza della Messa Crismale ci porta a considerare l’incommensurabile grandezza dell’amore di Dio, il quale si fa presente nei doni che oggi riceviamo – ha detto il vescovo -.
Base di tutto, presupposto essenziale per ogni nostra azione è la presenza, anzi l’immanenza dello Spirito Santo nella nostra vita. Ogni nostra azione non potrà che essere il riflesso dei doni che lo stesso Spirito effonde su di noi, affinché possiamo esserne pienamente compresi. L’abituale presenza del Signore, potremmo dire la sua familiarità col luogo sacro dell’assemblea, sollecita tutti, ma in modo particolare noi presbiteri, ministri del Signore, nella cura da avere sia del luogo come anche della consuetudine nella frequentazione. E poi l’ascolto della Parola di Dio e il suo approfondimento, un ascolto non limitato al mero senso dell’udito ma partecipativo, accogliente, attivo, generativo. Lo Spirito del Signore fa sì che la Parola diventi vita, che cioè si avveri, prenda carne in noi.
L’abituale nostra presenza in Chiesa, nel luogo ordinario del culto, sia non una sorta di abitudine, che con l’andar del tempo si trascina, fa trasparire stanchezza e noia, quanto piuttosto, evidenziando sempre di più la squisita familiarità che corrobora e alimenta l’amore, riceva e trasmetta vita; vitalità che incentiva la gioia di sentirsi figli amati, familiari di Dio e fratelli tra di noi».

La comunità sacerdotale
«Il presbiterio vive in una forma comunitaria, aspetto questo che dobbiamo sempre presidiare, custodire e coltivare; allontanando da noi ogni forma o tentazione di isolamento, di personalismi e visioni di parte che indeboliscono il corpo, lo fanno ammalare e lo portano progressivamente alla distruzione. Lo sappiamo bene, tutto questo è possibile non tanto in forza di chissà quale mirabile nostro sforzo, quanto piuttosto attraverso il presupposto di una virtù essenziale: quella dell’umiltà, unica dote capace di arginare il peccato, generare disponibilità e dare vigore e slancio ad ogni buon proposito».

«Il senso e il fine dell’unzione, della nostra consacrazione lo rivela la stessa Scrittura: siamo innanzitutto dei mandati, degli inviati. Siamo mandati a portare, a proclamare, a rimettere in libertà, tuttavia non siamo chiamati ad essere dei meri e freddi esecutori. Siamo, come il Signore Gesù, degli inviati in quanto primariamente amati, consacrati, eletti da Dio. Fuori dal contesto dell’essere tali, mandati dal Signore, il nostro lavoro, le nostre attività, il nostro ministero cesserebbe di essere tale. Sarebbe niente di più di un qualsiasi mestiere.
Siamo invece mandati da Dio per essere servi della sua Parola, espressione viva di un dono immenso: del suo ministero pastorale che egli prolunga ed attua attraverso la nostra povera persona. Siamo perciò degli inviati e non dei liberi professionisti.
In virtù del Battesimo che ci rende tutti figli di Dio, quanto detto per i presbiteri è valido per ciascun credente in Cristo, perché tutti abbiamo ricevuto il dono della salvezza».
E quindi un invito ai tanti ragazzi presenti in Cattedrale: «cari ragazzi: non perdete la grande e splendida occasione della vita-bella, che ci proviene unicamente dal vivere, cioè mettere in pratica il Vangelo di Gesù. Mettetevi sempre a sua disposizione ed egli vi guiderà al bene; illuminerà la vostra intera esistenza riempendola del profumo unico della sua presenza».
«Per tutti significa – ha poi aggiunto – che, nella misura in cui ognuno concepisce la propria vita come la risposta a una chiamata del Signore, tutte le singole azioni di ciascuna persona non potranno che convergere verso un unico obiettivo. Su questa prospettiva sarà necessario essere continuamente consapevoli della necessità di dover rinverdire sempre e continuamente il senso della chiamata di Dio; chiamata che ci ha resi suoi figli, costituiti ministri, pastori, servitori del Regno».
Testimoni del Vangelo nella società
«Siamo mandati a portare il Vangelo: ad essere il segno concreto di speranza, di gioia e di vita rinnovata; nella nostra vita, con le nostre azioni, con il nostro modo di essere e di rapportarci. Davanti alle trasformazioni sociali, davanti ai mutati contesti ecclesiali, davanti al perdurare e forse peggiorare del clima generale, non più consono ad accogliere determinate proposte di vita, lo sappiamo, ma è salutare ridircelo sempre e con forza: abbiamo ancora maggiore necessità d’essere ancorati alla sorgente della nostra salvezza e del nostro apostolato. Credendo in questo, abbiamo anche la bella opportunità di poter accostare la nostra attuale missione a quella che caratterizzò l’inizio della storia della Chiesa, con tutte le fatiche e le prove, ma anche con quello slancio missionario di fede che ha fatto sì che “il sangue di Cristo non fosse stato versato invano” ma fosse fatto germogliare nella testimonianza di quanti aderivano alla fede.
In tal modo, per mezzo della nostra vita resa libera, in quanto totalmente orientata a Dio, sapremo anche essere segno eloquente e credibile della libertà proclamata da Gesù».
Il vescovo ha ricordato quei sacerdoti e diaconi che in questo anno celebrano un particolare anniversario: i 60 anni di sacerdozio mons. Piergiorgio Brodoloni e di mons. Antonio Maniero; i 55 anni Accettulli padre Enrico Ofm, mons. Marcello Giorgi; i 50 anni di sacerdozio mons. Antonino De Santis; i 45 anni di sacerdozio mons. Carlo Zucchetti SdB; i 35 anni di sacerdozio can. Adolfo Bettini, mons. Roberto Bizzarri, don Miroslaw Boguszewski; don Andrea Rowny; i 30 anni di sacerdozio don Luca Andreani, don Pietro Blaj, don Enzo Greco, don Lisnardo Morales Serrano, don Tiziano Presezzi; i 25 anni di sacerdozio don Giuseppe Capsoni, don Marco Castellani, don Diego Ceglie, don Angelo D’Andrea, don Leopold Sandor, don Sergio Vandini; i 20 anni di sacerdozio di don Andrei Anghelus, don Roberto Cherubini, don Ioan Ghergut, don Andrea Piccioni, don Lorenzo Spezia e i 20 anni di ordinazione dei diaconi Antonelli Giorgio, Belarducci Felice, D’Andrea Walter, Federici Roberto, Gasperoni Gabriele, Maschiella Sandro, Millesimi Evaldo, Orlando Corrado, Torelli Franco; i 15 anni di sacerdozio padre Marco Ronca OfmCapp; i 40 anni di diaconato di Giocondi Dario e i 10 anni di diaconato di Jacopo Tacconi.