Celebrazione della Veglia pasquale nella Cattedrale di Terni – Mons. Soddu: “I sepolcri della violenza umana continuano a moltiplicarsi in tutte le nazioni, sembra quasi non ci sia alcun freno o limite alla violenza e alla crudeltà. Per il cristiano, per noi, il fondamento della rinascita è Cristo”

Celebrata la veglia pasquale nella Cattedrale di Terni con la suggestiva liturgia, presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu, iniziata sul sagrato della chiesa con la benedizione del fuoco nuovo e con l’accensione del cero pasquale, portato in processione lungo la navata centrale della cattedrale al canto del Lumen Christi.
È seguita la liturgia della parola con le letture dell’Antico Testamento e del Vangelo e quindi la liturgia battesimale con la benedizione dell’acqua del fonte battesimale, il rinnovo delle promesse battesimali e l’aspersione dell’assemblea. Con l’acqua del fonte battesimale sono stati battezzati Dante, Edoardo, Olga e Joachim, che, insieme ad altri 17 adulti, hanno terminato il percorso del catecumenato, guidati da don Pio Scipioni, ed hanno ricevuto il sacramento della Confermazione.
«E’ un momento carico di emozione quello che viviamo – ha detto il vescovo – radunati nel cuore della notte per rivivere e incontrare il Signore risorto, questa realtà fondamentale della nostra fede è per l’umanità intera e quindi per ciascuno di noi il dono essenziale in forza del quale, liberati dal peccato, abbiamo l’opportunità di vivere in Cristo Gesù come figli di Dio. La risurrezione di Gesù è fondamento di una vita nuova, quella battesimale: la nostra vita in Cristo, l’ essere rinati a vita nuova. Gesù ci indica la via della salvezza, lungo la quale dobbiamo progredire e rivisitare ogni giorno per essere da lui dissetati».

Domenica 31 marzo, Pasqua di Risurrezione, il vescovo Soddu ha celebrato la solenne messa nella Concattedrale di Narni, concelebrata dal parroco don Sergio Rossini.

L’omelia:
«Cristo ha vinto la morte! In questo giorno, in questa nuova creazione, come fu per l’origine del mondo, il Signore dà innanzitutto la luce, ma non più semplicemente come elemento fisico, Egli da sé stesso Luce del mondo. Il Signore è la luce che vince le tenebre. Egli è la luce che illumina e dà il senso all’esistente; Egli è la luce che riscalda le fredde giornate della vita; disgela e scalda il cuore delle persone, dalle quali fa rinascere la primavera di un mondo nuovo.
Siamo chiamati a vivere questo primo giorno della settimana, nella piena consapevolezza che è anche il primo e il fondamento di una vita nuova, quella battesimale: la nostra vita in Cristo.
Siamo chiamati a percorrere questo tratto di strada insieme a Maria di Magdala; un tratto di strada che però dilata e prolunga, fino agli insondabili orizzonti della salvezza, l’intera esistenza di tutti coloro che nella fede sono disposti a porne i primi passi. Passi che, come per Maria di Magdala, iniziano nel buio, sia fisico che spirituale ed esistenziale, ma certamente proiettati verso la luce del giorno.

Tra il cuore della Maddalena e il sepolcro vi è una sorta di compenetrazione e di identificazione. Mentre si avvicina al luogo della sepoltura si accorge però che la pietra con la quale era stato chiuso è ribaltata; entrata costata che il corpo di Gesù non c’è più. Si trova in una situazione davanti alla quale non ha più neanche un corpo su cui piangere. In Maria di Magdala si possono condensare le tante madri, sorelle figlie delle quali vediamo nei reportage delle guerre del nostro tempo. Il suo cuore, già pieno di morte si riempie di ulteriore dolore. Dolore che non può subito non condividere con coloro che erano stati toccati e travolti dalla medesima tragedia.

Dalla tomba vuota inizia l’edificazione della fede
«Dopo Maria di Magdala gli apostoli Pietro e Giovanni si recano al sepolcro vuoto. Di Giovanni, entrato dopo Pietro, si dice. “vide e credette”; credette perché fino a quel momento “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Dalla tomba vuota inizia la edificazione della fede dei discepoli del Signore. La tomba vuota è e rimane l’espressione eloquente di una presenza differente dalla morte, diversa dal cadavere, tutt’altro che tomba sepolcrale.
La tomba vuota esorta tutte le esistenze, ad iniziare da quella di Maria di Magdala fino alle nostre, ad essere liberate dalla presenza lugubre, tetra e inesorabilmente corrosiva della morte.

Dalla tomba vuota, da quel primo giorno dopo il sabato, iniziano a dipanarsi le manifestazioni del Risorto. E se la tomba vuota aveva destato (come può destare anche a noi) perplessità, ancora di più le manifestazioni del Risorto avrebbero suscitato interrogativi. Il riconoscimento del Signore infatti come sappiamo non avviene istantaneamente, automaticamente. Il risorto è lo stesso di prima ma differente, ecco perché non si riconosce. Così è di colui e colei che vive la vita battesimale, pur essendo sé stesso vive di Cristo, vive e comunica una realtà inspiegabilmente nuova, positiva, piena di luce, accogliente e colma di vita; per dirla con s. Paolo: “Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”

La fede nel risorto, la fede pasquale, la nostra fede battesimale ci esorta a ribaltare tutto ciò che impedisce ai nostri cuori, ossia il peccato, di essere l’espressione di questa vita nuova.

I sepolcri della violenza e la ricerca della pace
«Morti al peccato, rinati a vita nuova ed esserne testimoni. La testimonianza in questo senso riguarda il senso pieno della vita non racchiuso e mai limitata a una esperienza esclusivamente sensoriale. Essa parte dalla fede e in forza della fede gli apostoli ricevettero le apparizioni e in forza della fede ottennero tutti i doni dei misteri di Cristo.
Certamente si potrebbe storcere il naso, come di fatto molti tendono a fare, rinnegando le proprie radici ed abdicando anche a quanto di più sacro possa esserci nel profondo del cuore umano.
Nel nostro tempo, per fare un esempio, si cercano vie percorribili affinché si possa arrivare alla conclusione delle guerre e a instaurare la pace. Sarà per questo necessario porre il fondamento di una pacificazione che parta dalla riconciliazione, pena l’accrescimento degli egoismi e delle violenze.
È necessario che tutti, ad iniziare da ciascuno di noi, facciamo il percorso dei primi testimoni: Maria di Magdala, Pietro e Giovanni. I sepolcri della violenza umana continuano a moltiplicarsi in tutte le nazioni, in tutte le città, in tutte le vie; sembra quasi non ci sia alcun freno o limite alla violenza e alla crudeltà. Le strategie politiche in merito, si riducono più che altro a ripetere dichiarazioni senza alcun fondamento. Per il cristiano, per noi, il fondamento della rinascita è Cristo. Non è possibile altra via. Pertanto: “se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù”. La ricerca della Maddalena si esaurisce nel percorso fino al sepolcro e prosegue nelle “cose di lassù”. Questo giorno possa in noi e per mezzo nostro diventare l’alba di un mondo nuovo, laddove le cose di lassù non sono “cose appese o sospese nel vuoto”, ma sono la realtà di Dio che si è calato nella nostra umanità e nella morte e risurrezione del Figlio l’ha redenta. “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo».

Perugia: Celebrata in cattedrale la Veglia pasquale nella Notte Santa. L’omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis: «La luce del Risorto affascina anche oggi, ci esorta a non attardarci nell’oscurità del Sabato Santo»

Abbiamo iniziato questa solenne celebrazione con un segno che parla al cuore: il buio della notte è stato rischiarato da un fuoco nuovo, da un cero acceso, da cui la luce si è propagata, fino a raggiungere ciascuno, fino a riempire tutta la Cattedrale.

È un segno che, forse, è importante non mettere da parte troppo in fretta.

Il buio esprime bene la nostra condizione. Nel lungo Sabato Santo che stiamo attraversando la luce è soffocata da violenze senza fine, che diffondono un sentimento di impotenza e di paura, tutt’altro che vinto dalla prova di forza che le potenze internazionali cercano di mostrare.

In tanti momenti il buio ce lo sentiamo anche dentro. Gli ha dato un nome Papa Francesco, in una delle meditazioni della Via Crucis di ieri sera: “Quando mi sento schiacciato dalle cose, bersagliato dalla vita e incompreso dagli altri; quando avverto il peso eccessivo e snervante della responsabilità e del lavoro, quando sono compresso nella morsa dell’ansia, assalito dalla malinconia…, quando mi scandalizzo degli altri e poi mi accorgo che non sono diverso…”.

Il buio che avvolge questo tempo ci ha indebolito la memoria: stentiamo a sentirci partecipi di una Tradizione viva, nella quale la fede cristiana non solo ha costruito Cattedrali, ma ha promosso la dignità della persona, ha dato slancio e contenuto alla cultura, ha innervato di santità diffusa il nostro popolo, ha dato vita a tante esperienze di carità.

Oltre alla memoria del passato, il buio stende il suo velo anche sul nostro presente: è il buio di certe solitudini disperate, di relazioni ferite, di quella sfiducia che porta ad abbassare la serranda, a vivere ripiegati, distanti dal sentirci responsabili di una famiglia o di comunità, per la quale spendersi con generosità.

Nel buio diventa difficile anche immaginare il futuro. Più che essere atteso o desiderato, più che essere visto come la terra verso la quale tendere per realizzare progetti di vita, il futuro è avvolto da incertezze e inquietudini.

Torniamo a quel fuoco nuovo, a quel cero acceso. Sono segni, attraverso i quali la Chiesa ci educa, ci apre un percorso di fede, condividendoci l’annuncio centrale dell’esperienza cristiana: il Signore è risorto. È Lui l’Alfa e l’Omega, il Signore del tempo e della storia. È Lui la nostra luce. Una luce che consola, provocandoci a integrare anche l’esperienza del buio o del fallimento in qualcosa di più grande, a recuperare uno sguardo d’insieme, a saper ricondurre i diversi tasselli in un disegno unitario, che dà significato a quello che siamo e a quello che facciamo. A questo miravano le letture bibliche: aiutarci a far memoria della storia della nostra salvezza, attraverso le grandi tappe di questo cammino – la creazione, la liberazione dalla schiavitù… – tappe che trovano il loro compimento nella luce del Cristo Risorto.

In tanti uomini e donne di oggi questa luce genera fede, speranza e carità; uomini e donne che sentono che la vita non è frutto del caso, ma è vocazione che attende la risposta di una vita buona, riconciliata, sobria, fraterna; una vita che ritrova il profumo della gratuità, del dono di sé.

Questa luce vive nella pazienza e nella perseveranza di chi si fida della fedeltà di Dio, per cui resiste nella prova, accompagnato da una forza più grande di ogni stanchezza, una forza che è grazia.

Questa luce affascina anche oggi: questa sera ce lo testimoniano tre ragazze – Almira, Kisiana e Sara – che, dopo un percorso di formazione, hanno chiesto di ricevere il battesimo. Grazie, perché la vostra scelta ci esorta a non attardarci nell’oscurità del Sabato Santo, per lasciarci raggiungere da un raggio di Pasqua e diffonderla con la nostra vita.

Don Ivan,
Vescovo

Terni – processione del Cristo Morto del venerdì santo

Tante persone, famiglie, i sacerdoti delle parrocchie di Terni centro, dame e cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, hanno partecipato venerdì sera alla processione del Cristo morto presieduta dal vescovo Francesco Soddu. La processione aux flambeaux con la statua del Cristo morto e della Madonna addolorata, partita dalla chiesa di San Francesco, si è snodata lungo le vie centrali della città, passando per piazza della Repubblica dove c’è stata la sosta davanti all’edicola della Madonna del Popolo con la lettura del vangelo e la meditazione, per proseguire poi fino alla Cattedrale.
Sono stati letti brano del Vangelo di Giovanni e preghiere di invocazione perchè cessino babarie e violenze dei nostri giorni.
Il vescovo ha ricordato come il momento della celebrazione del venerdì santo con la processione cittadina del Cristo morto e della Madonna Addolorata dia testimonianza dell’amore di Gesù: “Apriamo il nostro cuore a Gesù che ancora una volta dice “ho sete”, chiede di dargli da bere. Gesù ha sete della nostra fede, perchè possiamo accedere alla sorgente zampillante della sua grazia. In quest’ora, appeso sulla croce Gesù ha ancora sete. Qui si gioca la nostra fede cristiana: mettiamo la nostra vita nelle sue mani di chi ci ha donato la salvezza nel Battesimo? oppure distratti dagli avvenimenti della storia non riusciamo a capire che Gesù ha chiesto a noi una goccia d’acqua e invece gli portiamo l’aceto del nostro essere amari, avvelenati dalla vita. In questo vi è la scena del mondo che non riesce a condividere l’acqua bella della sussitenza umana e che scambia l’aceto della morte, della distruzione, della guerra, della sopraffazione, degli interessi personali e nazionali facendoli passare per un distillato di un diritto che non ha nessun fondamento. Questo è Gesù appeso alla croce, al quale l’umanità poggia la spugna imbevuta di aceto. A Gesù che ha dato la sua vita per noi, diciamo il nostro rendimento di grazie e chiediamo la pace per il mondo, passando attraverso la nostra vita, una vita rinnovata. Chiediamo al Signore unità e comunione e saperlo sempre testimoniare nella nostra vita e nel mondo, facendo in modo che la nostra preghiera per la pace, per l’unità passi non soltato simbolicamente ma effettivamente nella nostra vita. Solo nell’amore totale possiamo avere la piena freschezza della vita, che dal sepoclro di Cristo si apre a vita nuova”.

 

Perugia – La Via Crucis del Venerdì Santo nel centro storico

La Via Crucis del Venerdì Santo nel centro storico di Perugia. Percorse le XIV Stazioni nella suggestiva cornice di Piazza IV Novembre con la splendida Fontana Maggiore, tra la Cattedrale di San Lorenzo e il Palazzo comunale dei Priori. Animata da una rappresentanza di cavalieri dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e dal gruppo di Comunione e Liberazione, la Via Crucis è stata guidata dall’arcivescovo e seguita con particolare raccoglimento da numerosi fedeli.

The Economy of Francesco legge la Pace Maratona di lettura online promossa da EoF venerdì 29 marzo

Quando la pace fatica a farsi strada adotta altre vie per alimentare il suo sogno di profezia. Incontri, marce, condivisioni di storie, azioni collettive. Maratone di lettura. Leggere e ascoltare la richiesta di pace: tra le persone, nella società in cui viviamo, tra gli Stati. Abbiamo bisogno di una pace raggiunta con mezzi di pace: il dialogo, la conoscenza delle ragioni dell’altro, il pensiero critico, il rifiuto della violenza.

La maratona di lettura promossa dai giovani economisti e imprenditori di Economy of Francesco per la pace è una catena di voci che leggono parole e storie di pace: le voci sono quelle dei lettori volontari, ragazzi, giovani e adulti; le parole sono quelle dei libri scritti da autori e autrici di tutto il mondo, brani di narrativa, poesia, interviste e molto altro.

Terra Santa, Cile, Iraq, Perù, Italia, Brasile, Norvegia e molti altri i paesi coinvolti in 12 ore no stop di letture, riflessioni, testimonianze, preghiera, musica. L’arte, e la letteratura in particolare, ha saputo indagare ed esprimere la realtà dei conflitti armati in tutta la loro drammaticità, rilevandone strategie di potere, assurdità e sofferenze. Ma la letteratura è anche ricca di pagine che ci fanno capire come si prepara la pace, come la si pensa, come si evita che la guerra conquisti il nostro cervello e il nostro cuore.

Dopo aver letto a sostegno dei diritti delle donne, la maratona di lettura EoF si concentra, in questa edizione, per la pace per offrire ai ragazzi, ai giovani e a quanti vorranno partecipare l’occasione per dare voce alla pace. Una iniziativa che è, insieme, di testimonianza e di riflessione e che potrà diventare anche un momento simbolico per conoscere e sostenere alcune azioni umanitarie portate avanti da organizzazioni ed enti impegnati in zone di guerra.

Sarà possibile seguire la maratona Ask for Peace dalle 8.00 di venerdì 29 marzo sul canale internazionale You Tube di EoF. Per tutte le informazioni visita www.francescoeconomy.org.

Perugia – Cena del Signore. L’omelia dell’arcivescovo Mons. Maffeis ai fedeli: «Allacciarsi il grembiule e mettersi a servire, l’unica via per diventare persona»

Giovedì Santo, 28 marzo, alle 18, la Messa nella Cena del Signore, presieduta dall’Arcivescovo Ivan Maffeis nella Cattedrale di Perugia, con il rito della lavanda dei piedi sarà compiuto ad una rappresentanza di cittadini prevenienti da Paesi dilaniati dalla guerra.

L’OMELIA
Un catino, dell’acqua, un asciugamano. Non ci è difficile rappresentarci la scena della lavanda dei piedi: durante la cena pasquale, Gesù si alza da tavola, depone le vesti, si cinge di un grembiule e si mette a lavare i piedi ai commensali. È semplice, se non fosse che Colui che compie il servizio dello schiavo è “il Maestro e il Signore”. Di qui lo stupore e la confusione che sconvolgono, per cui si può capire la ritrosia e la resistenza di Pietro: “Tu non mi laverai i piedi in eterno!”.

Certo che lo comprendiamo Pietro! Come lui, siamo anche noi attenti a non dover niente a nessuno, a non dover dire grazie, a non farci toccare da quello che succede. Perché, lo intuiamo, potrebbe chiamarci in causa, chiederci di dare la nostra risposta. “Vi ho dato un esempio, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Sì, farsi lavare i piedi potrebbe rivelarsi un gesto estremamente rischioso; potrebbe esporci a dover fare altrettanto. Meglio ritrarsi…

Il fatto è che questa possibilità non c’è. È soltanto un’illusione pensare di poter disertare, volgendo altrove lo sguardo: l’unica via per diventare persona è quella di rendersi disponibili, di allacciarsi il grembiule e mettersi a servire. L’esistenza si realizza solo così, altra via non ci è data.

Del resto, ciò che siamo, con buona pace del nostro orgoglio, è frutto di chi ci ha amato, di chi si è chinato su di noi, di chi ci ha donato tempo, energie, vita. A quante persone dobbiamo riconoscenza: genitori, fratelli, amici, educatori…

La stessa lavanda dei piedi, compiuta da Gesù, più che un gesto straordinario è un’istantanea, che fissa quella che in realtà è la cifra di tutta la sua vita, la chiave per entrare nel mistero della sua identità, il filo delle sue giornate. In ogni momento, in ogni incontro, Gesù ci ha manifestato il volto di un Dio che si inginocchia davanti agli uomini, che si lascia mangiare dalla loro fame. Non per nulla resterà fra i suoi fino alla fine del mondo nel Pane spezzato. E chi si nutre alla mensa della sua Parola e dell’Eucaristia – chi si lascia lavare da lui – non può vivere altra logica. Non c’è comunione con il Signore, se questa non porta al servizio dei fratelli. Più ancora: non c’è vita. Perché, quando la trattieni, la vita si accartoccia e si spegne. Noi viviamo nella misura in cui ci doniamo.

Con questi sentimenti, questa sera ci chiniamo sui piedi di fratelli e di sorelle che sono stati costretti a fuggire dal loro Paese: dalla “martoriata Ucraina, sull’orlo di una catastrofe umanitaria di ancora più ampie dimensioni”, da cui provengono Katerina, Myroslava, Anna e Iryna; dal Burkina Faso di Billa e Yoda, Paese insanguinato dalla guerra civile in corso tra il governo e i gruppi di matrice islamica. Questa sera ci chiniamo anche sui piedi di Adriana, Ameen, Rudolph ed Elian, studenti universitari, provenienti da Gerusalemme, dai territori israeliani, da Betlemme e da Nazaret: impossibilitati a far ritorno a casa dalla violenza che ha già causato decine di migliaia di morti innocenti.

Facciamo nostre le parole della Lettera che ieri il Papa ha inviato ai Cattolici di Terra Santa: “In questi tempi oscuri, in cui sembra che le tenebre del Venerdì santo ricoprano la vostra Terra e troppe parti del mondo sfigurate dall’inutile follia della guerra, che è sempre e per tutti una sanguinosa sconfitta, voi siete fiaccole accese nella notte; siete semi di bene in una terra lacerata da conflitti”.

Cari fratelli, care sorelle, più che acqua vorremmo versare sulle ferite del vostro corpo e della vostra anima l’olio della consolazione e il vino della speranza. Sentiteci vicini con la nostra amicizia e la nostra accoglienza. Come scrive ancora Papa Francesco, non siete soli e non vi lasceremo soli, ma rimarremo solidali con voi attraverso la preghiera e la carità operosa”.

Don Ivan,

Vescovo

 

Città di Castello – Gubbio: cammino Sinodale e costituzione di una commissione interdiocesana

Le Chiese di Gubbio e di Città di Castello rilanciano il Cammino sinodale attraverso una nuova fase da organizzare e vivere in maniera congiunta tra le due comunità diocesane. Il vescovo Luciano Paolucci Bedini, infatti, ha proposto l’idea di una Commissione sinodale interdiocesana, diffondendo in questi giorni un documento dal titolo “Nella Chiesa e nel mondo siate testimoni del dono della vita e dell’amore – Per una pastorale formato famiglia” (CLICCA PER VISUALIZZARE E SCARICARE).

“La proposta di questo percorso di studio e approfondimento – spiega il vescovo Luciano – ha come obiettivo principale quello di formarsi insieme per accompagnare da protagonisti le nostre Chiese diocesane sorelle nel cammino di conversione di tutta la pastorale in chiave missionaria. Si tratta di imparare a porre al centro dell’ascolto, della riflessione, della programmazione e dell’azione della comunità cristiana (questo è la pastorale) la vita delle famiglie concrete e reali che abitano il nostro territorio. Non esistono ‘le pastorali’, ma unica è l’attenzione pastorale della Chiesa. Perciò occorre ripensare tutta la pastorale a partire dalle famiglie”.

Il percorso della Commissione sinodale interdiocesana si apre domenica 28 aprile, nell’oratorio di Santa Maria a Umbertide, con l’incontro sul tema “La Chiesa, una famiglia di famiglie”. Domenica 19 maggio, nell’oratorio della Madonna del Latte a Città di Castello, si continua con “La missione delle famiglie cristiane”. Domenica 9 giugno, nell’oratorio “Don Bosco” di Gubbio, incontro su “L’alleanza pastorale ordine-matrimonio”. Domenica 30 giugno, infine, l’incontro su “L’evangelizzazione in stile familiare” nell’oratorio “Ore d’oro” di Trestina.

Ogni incontro in presenza sarà preparato da un tempo di studio dei materiali indicati, di ricerca e condivisione di altri che potranno aggiungersi, e dalla elaborazione scritta di considerazioni e proposte concrete che saranno poi offerte agli altri della commissione.

Entro il 20 aprile 2024 è possibile iscriversi alla Commissione cliccando sul bottone qui sotto e compilando il modulo online. Ti aspettiamo!

Terni – celebrazione della messa in Coena Domini in carcere. Il vescovo ripete il gesto della lavanda dei piedi a dieci detenuti

La celebrazione della messa in Coena Domini, del giovedì santo, è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale di Terni, il secondo anno che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere cittadino.
La messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del direttore della Casa Circondariale Luca Sardella, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, dei volontari, formatori e operatori all’interno del carcere.
Nel corso della celebrazione, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a dieci detenuti.
«In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena – ha detto il vescovo ai detenuti –. Ultima ma che è prima, perché è l’inizio di qualcosa che coinvolge tutti e che si ripete sempre: il servizio vicendevole, la donazione della vita gli uni per gli altri. Da questo dono nasce quello che sogniamo sempre: la liberazione e la pace. Nella misura in cui facciamo entrare Gesù nel nostro cuore, la nostra vita si trasforma, rinasce. Chiediamo al Signore la capacità di essere disponibili ad accoglierlo nel nostro cuore e farlo entrare nella nostra esistenza, lui che ha dato la sua vita per noi, perché diventiamo capaci di donarla agli altri.
Il gesto della lavanda dei piedi non è un gesto di cortesia, ma è un gesto profondo di donazione, un gesto di amore. E di gesti amore tutti abbiamo necessità. Se manca l’amore non c’è più niente nella vita, ma solo odio, prevaricazione, conflitto. Seguendo gli insegnamenti del Vangelo apparirà il senso profondo della pace e della riconciliazione di cui tutti abbiamo necessità, abbandonando gli egoismi, l’egocentrismo e ciò che appesantisce la vita, per essere capaci di farsi prossimo con i doni che Gesù ci dà ed aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova».
Al vescovo è stata donata una croce pettorale realizzata dai detenuti di Casal del Marmo e Rebibbia nell’ambito del progetto Croce della Speranza promosso dall’Ispettorato generale dei Cappellani, per tutti i vescovi impegnati nella pastorale carceraria.

Spoleto – Celebrata la Messa crismale. L’Arcivescovo: «Il convergere delle differenze rivela la bellezza e la ricchezza della nostra Chiesa, aiuta a superare resistenze e campanilismi, alimenta la nostalgia di essere un luogo di fraternità e di comunione»

Mercoledì 27 marzo 2024 nella Basilica Cattedrale di Spoleto l’arcivescovo Renato Boccardo ha presieduto la Messa crismale con tutti i sacerdoti della Diocesi. La celebrazione è stata animata dalla corale diocesana diretta da Mauro Presazzi, con all’organo Angelo Silvio Rosati. Diversi anche i fedeli presenti: si è espressa così un’unità di fede e di intenti tra Vescovo, presbiteri e popolo di Dio. Una bella varietà di esperienze che fa emergere la ricchezza della Chiesa: tutte le membra diverse, eppure unite nella fede e nell’amore per Dio. La Messa del Crisma, poi, è caratterizzata anche dalla benedizione degli olii santi: il crisma usato per i battesimi, la cresima e l’ordinazione dei sacerdoti e dei vescovi; l’olio dei catecumeni utilizzato nel battesimo; l’olio per l’unzione degli infermi.

OMELIA ARCIVESCOVO – FOTO GALLERY – VIDEO INTEGRALE MESSA 

Una Chiesa “in stato di formazione”. «Il cammino intrapreso con le pievanie – ha detto l’Arcivescovo nell’omelia – esige di riservare particolare attenzione alla formazione dei sacerdoti e dei fedeli laici. Si tratta di ridare vigore dell’esistenza cristiana, perché la freschezza del Vangelo incontri la vita degli uomini e accenda la scintilla della vita buona del testimone di Gesù. Non abbiamo bisogno di cristiani “padroni della fede” o “gestori della parrocchia”; abbiamo uno straordinario bisogno di credenti e di preti umili e coraggiosi, tenaci e appassionati, liberi di cuore e testimoni credibili, perché tutti possano incontrare il Signore risorto e vivente. Vediamo questa situazione nel progressivo costituirsi delle nuove parrocchie, i cui membri scoprono e sperimentano la bellezza e la fecondità del pensare insieme, dello stare insieme, del celebrare insieme, facendo della comunità che si aggrega per la celebrazione della liturgia, specialmente la domenica, il segno visibile della presenza sacramentale di Cristo nel mondo. Il convergere delle differenze rivela la bellezza e la ricchezza della nostra Chiesa, aiuta a superare resistenze e campanilismi, alimenta la nostalgia di essere un luogo di fraternità e di comunione dal quale traspaia la gioia del Vangelo accolto, assimilato e vissuto. E si scopre che il condividere quanto si è e ciò che si ha non costituisce un impoverimento ma un arricchimento reciproco; che è meglio fare un po’ meno ma insieme, piuttosto che correre isolati su strade diverse, spesso in modo disordinato».

Il Vescovo ai preti: è necessario aver cura delle relazioni, dei beni, degli affetti, della bocca e del cuore. «Non c’è nessuna cura del popolo di Dio – ha detto l’Arcivescovo rivolto ai “suoi” preti – che non si accompagni alla cura di sé. La cura di sé è lo specchio in cui si riflette la cura che abbiamo per la nostra gente. E la gente ama il suo prete, talvolta anche gli perdona le debolezze, talaltra lo ammira, talaltra ancora lo critica ferocemente, ma è necessario che egli sappia comunque proporsi come umile esempio di testimone da imitare. Non possiamo continuare ad essere preti senza rimanere profondamente uomini e cristiani. Perciò vi dico fraternamente e paternamente: è necessario aver cura delle relazioni, dei beni, degli affetti, della bocca e del cuore. Specialmente, la cura della bocca e del cuore invita a custodire la parola e le intenzioni. Domandiamoci onestamente: se il popolo cristiano ascoltasse i nostri discorsi ne rimarrebbe edificato perché sentirebbe che in essi trapela passione per il Vangelo? Oppure ne resterebbe sorpreso e scandalizzato per l’invidia e la gelosia che talvolta li attraversa, o addirittura per la maldicenza che deforma anche le imprese più belle? Non è forse questa la causa di un ministero deludente e deprimente, che sottrae energia ad un ministero entusiasta e tonico?».