Il pomeriggio del 31 dicembre la Chiesa ha celebrato il Te Deum, inno di lode e di ringraziamento e supplica al Signore al termine dell’anno civile. A Spoleto l’arcivescovo mons. Renato Boccardo ha celebrato questa Messa nella Basilica Cattedrale, alla presenza dei parroci della Città e di diversi fedeli. Il Presule nell’omelia ha detto che se «ripercorriamo con onestà il tempo dell’anno che finisce, se siamo sinceri, dobbiamo riconoscere che anche noi, come i bambini, vogliamo tutto. O meglio: c’è in noi l’aspirazione bramosa a entrare nel tutto, perché percepiamo che solo il tutto dà senso compiuto all’esistenza. E lo ricerchiamo con affanno in mille modi questo tutto, talvolta anche facendoci del male. E dimentichiamo che le cose di sempre sono quelle che costituiscono la nostra vita. Noi vorremmo tutto, e invece dobbiamo scegliere e vivere ciò che è parziale. Sono figlio dei miei genitori, non della regina d’Inghilterra; vivo in questa parrocchia e non a New York; lavoro in questa fabbrica, e non in un’azienda d’informatica a Silicon Valley. Ho queste capacità, questa sensibilità; posso migliorarmi e migliorare le condizioni di vita, ma solo a patto che mi accolga per quello che sono, con le mie ferite e i miei doni». «La nostra conclusione – ha detto mons. Boccardo – è il mio quotidiano, fatto di routine, di eventi piccoli e grandi, di gioie e sofferenze, di imprevisti piacevoli e spiacevoli, di incontri con gente dal cuore buono e con profittatori, di giorni in cui mi pare di spaccare il mondo e di altri in cui mi sento uno straccio; il mio essere giovane pieno di speranze e di illusioni, o adulto ormai navigato, o anziano che vede la vita fuggire… Il mio quotidiano è il luogo da amare di un amore operoso, è il tempo della Grazia, dove Dio mi raggiunge e si fa a me dono, perché io diventi dono per gli altri. È il presente quello che conta per noi». E poi, ha concluso l’Arcivescovo, «affinché l’anno che inizia sia davvero “buono”, occorre dunque imparare a fare memoria di tutto il bene che ci è stato dato nell’arco dell’esistenza: madre e padre, famiglia, amici, insegnanti, lavoro, malattie e guarigioni, sconfitte e rinascite, e via via tutti i volti e le circostanze che ci hanno accompagnato, anche nel dolore. Ripercorrendo la nostra storia possiamo ricostruire la trama di un disegno che ci conduce. Riconoscendo quel percorso come in filigrana comprendiamo che possiamo fidarci, e affidarci. Comprendiamo che l’anno che viene, sconosciuto, non è un tuffo nel buio. Così la memoria diventa realmente motore di speranza. Autentica, però, e fortemente radicata; non attesa superstiziosa che si culla nel frastuono dei fuochi d’artificio».
La mattina del 1° gennaio, solennità di Maria Madre di Dio, mons. Boccardo ha presieduto il solenne pontificale nel Duomo di Spoleto. In questa giorno, da 53 anni, la Chiesa la Giornata Mondiale della Pace, una giornata destinata a suscitare una coscienza, una mentalità, una psicologia di pace. E ogni anno il Papa offre all’attenzione e alla riflessione delle persone di buona volontà un messaggio nel quale invita a farsi operatoti di pace. «A questo livello – ha detto mons. Boccardo nell’omelia – possiamo affermare allora che la pace dipende anche da me, in quanto io posso contribuire a stabilire la pace in quella prima fondamentale cerchia che è la famiglia; in quanto posso, con la mia azione e l’impegno sociale, rafforzare il fondamento stesso della pace che è la giustizia; in quanto, nella società in cui vivo posso contribuire – non fosse altro che con il mio voto – a far prevalere una ideologia di pace e di comprensione tra i popoli, anziché le ideologie basate sull’odio, sulla violenza, o sul sovranismo e nazionalismo esasperato. Ogni uomo può essere, nel suo piccolo, un “figlio della pace” e portare il suo contributo alla pace universale, perché non c’è pace universale se non vi sono uomini di pace. Miliardi di uomini senza pace non possono formare un’umanità in pace, come miliardi di gocce di acqua torbida non possono formare un mare pulito». Poi, mons. Boccardo si è soffermato sulla pace evangelica che è la riconciliazione con Dio ottenuta in Gesù Cristo, la pace che ricostruisce l’uomo in unità e gli restituisce quella sicurezza interiore per cui può esclamare: “Se Dio è per noi chi sarà contro di noi? La guerra, la fame? Niente potrà mai separarci dall’amore di Dio” (Rm 8, 31.39). «È una certezza del cuore – ha detto l’Arcivescovo – che vince ogni paura e ogni cattiveria e che neppure la guerra più selvaggia è in grado di distruggere. Un uomo così è automaticamente anche un uomo che diffonde pace; è “un operatore di pace”. Questa pace non si ferma nel cuore del singolo cristiano; da essa nasce una comunità di pace: Gesù ha abbattuto il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia… per riconciliare tutti con Dio in un solo corpo (cf Ef 2, 14.16). Ogni apartheid, ogni barcone che affonda nel Mediterraneo, ogni muro che viene eretto in Europa è così escluso alla radice. In questo inizio del 2020 – ha concluso il Presidente della Conferenza episcopale umbra – siamo qui per metterci di fronte al volto di Cristo bambino perché, ascoltandolo, possiamo raggiungere la conoscenza del vero e del bene. Non c’è modo migliore per formarsi una coscienza di pace che ascoltare, pregare, meditare, contemplare la parola di Dio fatta carne in Gesù, parola che ci raggiunge attraverso le sacre Scritture, attraverso la tradizione e la Chiesa, mediante l’ispirazione interiore dello Spirito Santo. Questo è il compito della pace per ciascuno di noi. Così, di fronte ai grandi problemi della guerra e della pace nel mondo, non ci sentiremo soltanto sgomenti, impotenti, intimoriti, bensì partecipi di un impegno che fin da questo momento deve segnare le ore, i minuti, i secondi di questo 2020, perché sia un anno della pace e della giustizia».