Il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha incontrato il 25 gennaio, nell’Arcivescovado di Perugia, un folto gruppo di giornalisti e operatori dei media in occasione della festa del loro Santo Patrono Francesco di Sales. All’incontro, promosso dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali in collaborazione con la sezione umbra dell’Ucsi (Unione cattolica stampa italiana), sono interventi anche il presidente dell’Ordine regionale dei Giornalisti Roberto Conticelli e il consigliere dell’Ordine nazionale Gianfranco Ricci. Il cardinale Bassetti, soffermandosi sul messaggio del Papa per la 54a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali dedicata al tema “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es. 10,2). La vita si fa storia, ha evidenziato che «senza memoria si finisce per ripetere, in maniera acritica, gli stessi errori del passato». Il presule ha voluto presentare ai giornalisti perugini il prossimo evento Cei dal titolo: “Mediterraneo, frontiera di pace”, in programma a Bari dal 19 al 23 febbraio, che «vedrà riuniti i vescovi delle nazioni affacciate sul grande mare per proporre insieme percorsi di riconciliazione fra i popoli». Il presidente della Cei si è anche soffermato sull’importanza di dare spazio ai «racconti costruttivi» più che alle «storie distruttive e provocatorie», come sottolinea il Papa nel suo messaggio, «che logorano e spezzano i fili fragili della convivenza». Bassetti, a margine del suo intervento, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti, ha sottolineato l’importanza di aderire al magistero del Papa, ricordando che «la sua guida viene dallo Spirito Santo. La critica, come spesso ribadisce anche il Santo Padre, va bene, perché fa parte dell’intelligenza umana, ma le logiche distruttive non fanno bene a nessuno».
“Cari giornalisti e cari operatori dell’informazione,
è con grande gioia che, come accade ogni anno, torno a incontrarvi per la vostra festa. Infatti il 24 gennaio la Chiesa fa memoria di san Francesco di Sales, il vostro patrono. Vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è stato non solo maestro di spiritualità ma anche un brillante scrittore che per incontrare i “lontani” faceva affiggere i suoi “manifesti” scritti in uno stile agile ed efficace.
Oggi i mezzi di comunicazione consentono di raggiungere migliaia, se non milioni e miliardi, di persone e di creare reti senza confini. C’è un flusso di informazioni così ampio e continuo che ciascuno di noi può conoscere quanto accade in ogni angolo del mondo attraverso una sterminata pluralità di fonti. Eppure questa mole così ricca di notizie non è sempre attendibile. Tutti possono “improvvisarsi” comunicatori, anche falsificando la realtà o istillando pregiudizi e visioni distorte.
Soprattutto su Internet e nelle reti sociali l’anonimato ha partorito gli “odiatori”. Come cittadini, come Chiesa e come pastore, non possiamo che condannare ogni atteggiamento o intervento che semina disprezzo, inimicizia, ostilità. Azioni e parole dettate dal rancore sono un peccato contro Dio e contro l’umanità e sono in netta antitesi con il “comandamento dell’amore” che Cristo ci consegna. Quando si sostituisce il Signore con l’idolatria dell’odio, si arriva alla follia di sterminare l’altro. Provo dolore verso ogni forma di antisemitismo che deve essere combattuta senza esitazioni oppure verso chi addita come nemico l’altro, il fratello che ha un’etnia, una storia o una cultura diversa della nostra.
Anche la stampa, la televisione e il pianeta digitale sono chiamati a un’informazione che non alimenti le divisioni. Come ho già detto più volte, la nostra amata Italia è un Paese da ricucire. I mezzi di comunicazione possono contribuire ad acuire le cesure oppure possono incoraggiare alla fraternità. Sia questa seconda opzione la via maestra per chi opera nei media. Il cardinale Carlo Maria Martini, nel 1991, metteva in guardia con lungimiranza dalla bramosia dello scoop. “Basta arrivare primi con l’immagine, la notizia – scriveva Martini nella Lettera pastorale “Il lembo del mantello -; non importa come, non importa quanto valutata, meditata, rielaborata. Così si assiste a una specie di martellamento o bombardamento per stupire e passare oltre”. Oggi su Internet e nelle reti sociali la voglia dello scoop si trasforma nella mania di conquistare i “clic”. Si è più popolari, e quindi più attendibili, se si collezionano quanti più “clic” possibile o quanti più “Mi piace” possibile. Ad ogni costo. Anche calpestando la verità, la dignità della persona, l’armonia sociale.
Adesso vanno di moda gli “influencer”, ossia coloro che davanti a uno schermo orientano i pensieri e i modi di agire nell’opinione pubblica. Ma dovremmo chiederci: qual è la loro finalità? Chi c’è dietro di loro? A dettare legge nell’universo digitale è l’idea dell’uomo consumatore, ridotto a oggetto. Ecco perché siete tenuti anche a svelare i lati oscuri della comunicazione, per rendere i cittadini più consapevoli.
Per fare tutto ciò gli organi della comunicazione sociale devono uscire da un circolo vizioso: è quello dell’autoreferenzialità. Anche papa Francesco lo indica come una “piaga” della Chiesa. Può accadere che i media si chiudano in loro stessi, si citino a vicenda, raccontino più quello che avviene nei palazzi o è immaginato sulle pagine dei giornali, piuttosto che portare alla ribalta le attese della “povere gente” e quanto tocca davvero il cuore e la mente delle persone. C’è quindi bisogno di un’informazione “in uscita”, che si cali davvero fra le difficoltà e le speranze delle nostre comunità. Pertanto la vostra agenda sia ispirata dalla gente che chiede pane e lavoro, dignità e rispetto, attenzione e vicinanza da parte delle istituzioni e non sia piegata agli interessi particolari o ai potentati politici, economici e ideologici.
Si diceva un tempo che il giornalista deve consumare le suole delle scarpe per andare fra la gente e capire ciò che succede. Oggi si pensa che stando davanti a un computer, a un telefonino o a uno schermo si possa conoscere la realtà “reale” ed essere in grado di analizzarla. Non è così. La barriera “digitale” non sempre consente di intercettare i bisogno dell’uomo, di immergersi nella società, di costruire visioni di ampio respiro.
Me ne sto rendendo conto anche organizzando l’Incontro “Mediterraneo, frontiera di pace” che porterà a Bari i vescovi delle nazioni affacciate sul grande mare per proporre insieme percorsi di riconciliazione fra i popoli. A concludere l’iniziativa sarà papa Francesco che così testimonia la sua paterna vicinanza alla Chiesa italiana e all’area mediterranea che è la culla delle tre grandi religioni abramitiche ma anche bacino di guerre, miserie e morte come accade fra le onde del grande mare diventato un cimitero per coloro che fuggono dalla violenza e dalla povertà. Ecco, parlando con i confratelli vescovi dei Paesi delle altre sponde del Mediterraneo, ho compreso quanto sia parziale, se non talora distorta, la prospettiva con cui guardiamo alle loro terre e ai loro problemi. Cito le guerre che infiammano l’intera regione oppure il fenomeno migratorio che l’Occidente vede talvolta con timore e che in Nord Africa o in Medio Oriente viene considerato una “perdita sociale” perché la partenza di uomini, donne, ragazzi e famiglie impoverisce la società e, quindi, da loro giunge l’appello ad aiutare i Paesi a svilupparsi per scongiurare esodi di massa.
Il tema che papa Francesco ha scelto per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2020 è “Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria” (Es 10,2). La vita si fa storia. Senza memoria si finisce per ripetere, in maniera acritica, gli stessi errori del passato. Il Papa ci ricorda che, soprattutto in una società digitale dove l’istantaneità e la velocità sono i principi cardine, non possiamo piegarci soltanto sul presente “usa-e-getta” ma occorre avere radici solide. Da qui il richiamo di papa Francesco alla memoria, alla storia. Attraverso la memoria avviene la consegna di speranze, sogni ed esperienze da una generazione ad un’altra. La comunicazione è chiamata dunque a mettere in connessione, attraverso il racconto, la memoria con la vita e, in questo modo, a diventare anche uno strumento per costruire ponti e per condividere la bellezza dell’essere fratelli e quindi appartenenti all’unica grande famiglia umana”.
Gualtiero Card. Bassetti