Il Santo Padre Francesco mi ha chiesto di caricare sulle spalle un nuovo gregge di fedeli, quello di Orvieto-Todi, senza lasciarmi sfuggire dal cuore coloro che mi sono stati affidati a Foligno. Sono consapevole che “l’obbedienza non restringe ma allarga l’abbraccio” e che il Signore ha domandato ai suoi primi discepoli non solo di tirare a terra le barche, ma anche di deporre sulla riva i pesci che Lui stesso ha fatto loro pescare.
Quando il 5 ottobre 2008 sono giunto a Foligno come pastore, non immaginavo che il cuore di un vescovo dovesse essere capace di custodire, come quello di un padre, gioie e speranze, tristezze e angosce. La grazia di gioire e di soffrire mi ha fatto scoprire sposo e sentire padre. Al giornalista Gennaro Ferrara di Tv2000, che il 13 febbraio scorso, durante il programma Diario di papa Francescomi chiedeva perché un vescovo non debba cambiare diocesi, io rispondevo senza indugio: “Come si fa a sognare un’altra sposa quando si è fedeli a quella ricevuta in dono?”. Non avrei neppure lontanamente immaginato che, trascorsa appena una settimana, il Nunzio apostolico in Italia mi avrebbe convocato per annunciarmi che il Papa mi aveva nominato vescovo di Orvieto-Todi. Ero appena rientrato da una missione pastorale in Bielorussia, era il giorno del mio compleanno ed era l’ora dell’Angelus! Sollecitato a manifestare subito la mia obbedienza, ho scritto queste parole, con mano tremante, a papa Francesco: “Beatissimo Padre, nella voce del Successore di Pietro riconosco l’eco della volontà di Dio, che mi chiede di accogliere la chiamata a diventare vescovo di Orvieto-Todi. Con cuore libero e ardente mi dispongo a lavorare in un altro filare della Vigna del Signore. Benedica me, la Diocesi che ho servito finora e quella in cui mi invia come pastore”.
Quest’anno, in occasione della solennità di San Feliciano, ho consegnato alla Diocesi la lettera pastorale, Segni di Vangelo: neppure il più svagato pensiero avrebbe potuto intuire che quelle pagine, dettate dalla fede del popolo santo di Dio, sarebbero diventate il mio congedo. Lascio ad altri il compito di fare il “bilancio consuntivo” del mio servizio episcopale; a me spetta il dovere di confidare al Signore la mia immensa gratitudine: sia Lui, che conosce il cuore di tutti, a ricambiare in benedizione quanti hanno sostenuto il mio cammino con lealtà e purezza di spirito. Ho desiderato ardentemente che sull’albero delle vocazioni al ministero ordinato spuntassero nuovi germogli: il Signore mi ha concesso la grazia di scorgere il “mandorlo in fiore”. Dopo aver restituito al culto gran parte delle chiese parrocchiali che il sisma del 2016 ha reso inagibili, tutto è pronto per l’apertura del cantiere della cattedrale di San Feliciano. A me il Signore ha chiesto di seminare, ad altri concederà di mietere (cfr Gv 4,37), ma è Dio che fa crescere (cfr 1Cor 3,6-9).
Mi accingo a compiere questo “esodo”, ben sapendo che obbedire significa partire e partire vuol dire un po’ morire. La formula di benedizione che Paolo pronuncia a Mileto, nel momento in cui si congeda dagli anziani di Efeso, mi aiuta a tradurre quanto la commozione impedisce alla gratitudine di esprimere: “Vi affido a Dio e alla parola della sua grazia” (At 20,32). La Madonna del Pianto “ci salvi dai mali che ora ci rattristano” e ci ottenga dal Figlio suo “la salute del corpo e dello spirito”. San Feliciano e Sant’Angela veglino sull’incolumità delle nostre famiglie e ci incoraggino alla speranza: “la nostra presente trepidazione si trasformi in gioioso ringraziamento”.