A voi carissimi confratelli nell’episcopato; a te mons. Gualtiero, che ci hai accolto in questa Chiesa di Foligno; a voi carissimi fratelli e sorelle, fedeli di Cristo, giunti dalle varie Diocesi, a tutti pace e gioia dal Signore risorto.
Il nostro convenire in questi due giorni dell’Assemblea Ecclesiale regionale, voluta dalla CEU, e realizzata con tanta passione dal nostro presidente Mons. Renato Boccardo insieme all’équipe regionale, ci ha consentito di fare un’esperienza unica, di sentirci parte di una comunità, della santa Chiesa di Dio che vive nel mondo con la grazia dello Spirito e che si incarna nel cuore e nelle membra di ciascuno di noi.
Quello che abbiamo vissuto non è stato un convegno né tanto meno un congresso, ma un incontro di popolo, del popolo cristiano, che animato dalla Parola si mette alla ricerca di quel tesoro nascosto, che altro non è se non l’amore di Dio, l’unico capace di rendere piena la nostra gioia e di dare un senso vero alla vita.
Siamo qui perché ci sentiamo amati dal Signore e vogliamo condividere questo amore tra noi e trasmetterlo, come possiamo, ai tanti fratelli che vivono la sofferenza, l’abbandono, la solitudine. Trasmettere, condividere la “gioia del Vangelo” è l’atteggiamento di fondo che deve permeare ogni nostra azione e tutta la vita. Non nascondiamo la difficoltà di un incontro, di un dialogo a volte molto difficile con un mondo disilluso dalle promesse umane, stordito dai bagliori della tecnologia e del benessere, che non sente più il bisogno di interrogarsi sulla propria esistenza. Ma il cuore umano non si può imbrigliare, esso palpita, vibra e si scuote quando non si sente appagato e a questo non bastano le sicurezze umane. Ci vuole qualcosa di più, che il nostro intimo non smette mai di cercare. In questo scenario, a volte un po’ desolato, la Parola di Dio ci apre spazi infiniti, ci dona il coraggio e la forza per intravedere ciò che sta oltre: quella “luce gentile”, diceva il santo cardinale Newman, che ci penetra, e quel Volto che ritrae l’immagine vera di ciascuno di noi: il volto del Signore Gesù. Egli non ci lascia soli, ci viene incontro, parla al nostro cuore, sana le nostre ferite, e ci invia a portare a tutti la buona novella del Regno.
Carissimi, anche i temi principali delle Letture di questa domenica ci rimandano alla forza della preghiera e alla speranza della vittoria nell’ora della prova.
In primo luogo, la Parola di Dio ci esorta alla preghiera perseverante. Come quella di Mosè, che è protagonista della vittoria contro gli Amaleciti quanto Giosuè, che si trovava in prima linea, nel mezzo della battaglia, e combatteva con ben altre armi. Mosè invece, sul monte, insieme al sacerdote Aronne, è il mediatore che vede quanto accade al suo popolo, e si mette davanti a Dio con le braccia alzate.
Possiamo dire, carissimi fratelli e sorelle, che anche noi, pastori delle Chiese dell’Umbria, abbiamo ascoltato in questi giorni quanto ci veniva detto dai delegati delle comunità che siamo chiamati a custodire e guidare, e la prima cosa che ci impegniamo a fare – ancor prima di programmare piani pastorali o scrivere documenti – la prima cosa è proprio pregare. È con la preghiera che anzitutto comprendiamo, come deve aver capito Mosè, che non siamo noi a dover proteggere il popolo, ma è il Signore Gesù, che ha cura della sua Chiesa. È grazie alla preghiera, poi, che Dio ci purifica e ispira le nostre menti perché possiamo anche noi combattere la nostra “buona battaglia” comprendendo cosa dobbiamo fare, quali scelte possiamo e dobbiamo compiere. È la preghiera, poi, che ci permette di stare davanti a Dio con una confidenza e un’insistenza che ha il suo modello nella vedova importuna del Vangelo.
Il secondo tema delle letture di oggi viene dallo sfondo in cui è collocata la parabola di Gesù, come anche dal combattimento di Israele contro gli Amaleciti. In tutti e due i casi l’orante – che sia rappresentato dalla vedova o da Mosè – si trova in una situazione difficile, pericolosa, dove può perdere tutto: la vedova può perdere quello che le spettava, e che il suo avversario le vuole prendere; Mosè e il suo popolo invece rischiano addirittura di perdere la stessa possibilità di sopravvivere nel deserto.
Anche noi, cari fratelli e sorelle, ci troviamo in un tempo difficile – come ci ha ricordato ieri la relazione del prof. Diotallevi –, nel quale i molti e repentini cambiamenti a cui assistiamo rischiano di portare le nostre Chiese, se non ad una sconfitta, ad una pericolosa insignificanza. In questo tempo così complesso e che ci può mettere in crisi, la domanda di Gesù risuona più che opportuna: quando lui tornerà, troverà ancora la fede? Non lo sappiamo.
Ma, una cosa è certa: dobbiamo fissare lo sguardo al ritorno di Gesù; a Colui che «verrà a giudicare i vivi e i morti». Ci è stato promesso che non saremo soli per sempre, ma che il Signore verrà, e, se ora le nostre Chiese sono nella condizione di una vedova che grida perché il suo Sposo e i suoi figli, l’hanno abbandonata, Gesù ci chiede di fidarci di lui, come fa l’orante del Salmo 122, che, alzando i suoi occhi verso i monti, dice: «Il mio aiuto viene dal Signore».
Per grazia di Dio le Chiese dell’Umbria si sono trovate in questa bella esperienza di sinodalità e hanno avuto il coraggio di guardare con gratitudine al passato, di analizzare il presente, e di gettare anche uno sguardo più lontano, sul futuro. Non tutto ci è chiaro, e, se la situazione che abbiamo visto, in qualche tratto, è preoccupante, non deve mancare la speranza che da essa possono maturare frutti che nemmeno riusciamo ora ad immaginare. Ci ha ricordato Mons. Brambilla, commentando la prima lettera di Pietro: «Non si può rendere ragione della speranza viva se non innestati nel grande edificio della vita ecclesiale. Fuori di essa la speranza è solo un azzardo fallace, un tentativo destinato ad andare a vuoto». Ci è chiesto uno spirito di figli, che, strettamente uniti alla pietra viva che è Cristo, rendano credibile la propria testimonianza, ricompongano le lacerazioni e contengano le derive. Uniti intorno a Cristo Signore possiamo portare veramente il frutto che la Chiesa e la società si aspettano da noi. Uniti intorno al Signore si superano le paure delle battaglie, anche quelle più aspre, e si scopre che è in lui che ogni speranza si realizza, ogni vittoria arriva e ogni buio lascia spazio alla luce di un giorno nuovo. In Lui troviamo la forza di parlare alle famiglie di oggi, così provate dalla secolarizzazione, ai giovani che cercano faticosamente di costruire il loro futuro, a quanti, anche tra noi, sono provati dalla povertà e da situazioni di vita dolorose. Papa Francesco, al Convegno ecclesiale di Firenze, ha chiesto alla Chiesa italiana di far propri i tratti dell’umiltà, del disinteresse e della beatitudine. «Una Chiesa che presenta questi tre tratti – disse papa Francesco – è una Chiesa che sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente». È una Chiesa presente, che si carica delle ansie dei suoi figli e ne condivide le gioie, che sa infondere fiducia. Nella logica del Vangelo, è la fiducia che muove l’uomo che – come ci ricorda l’icona biblica di questa Assemblea – si fida di Dio al punto di lasciare tutto e vendere quello che ha per comprare il campo dove ha trovato il tesoro.
Chiediamo al Signore, per intercessione dei nostri santi, di rivelarci cosa dobbiamo abbandonare e di darci la forza per cercare quel Regno che è nascosto, ma che, siamo sicuri, c’è, anche qui, in questa terra benedetta, anche oggi: un Regno che non mancherà di far fruttificare i semi che ci impegniamo a seminare ancora in questo campo. Amen!