Spoleto – celebrazione del Natale nel Duomo. Mons. Boccardo: «Nonostante qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune la parola Natale in nome di una “comunicazione inclusiva” noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo»

Nella notte e nel giorno di Natale 2021 l’arcivescovo di Spoleto-Norcia mons. Renato Boccardo ha presieduto la Messa nella Basilica Cattedrale di Spoleto. Hanno concelebrato i parroci della Città e la liturgia è stata animata dal coro della Pievania di Santa Maria. Il servizio all’altare è stato curato dai seminaristi e dai ministranti, coordinati dal cerimoniere arcivescovile don Pier Luigi Morlino. All’ingresso della Cattedrale c’erano dei posti tavola confezionati dalla Caritas (piatto, bicchiere, tovagliolo). Si tratta del progetto “adotta un pasto”: le persone hanno lasciato un’offerta e hanno preso il posto tavola, consentendo così alle famiglie povere di trascorrere un Natale sereno e di portare, idealmente, nelle loro case i fratelli e le sorelle più in difficoltà. Davvero generosa è stata la risposta dei fedeli presenti in Duomo.

Dio-con-noi e mai Dio-contro-gli-altri. Il Natale – ha detto il Presule – nell’omelia della notte «non è una “apparizione” di Dio tra gli umani, ma la nascita di un bambino che soltanto Dio poteva dare all’umanità, un “nato da donna” che veniva da Dio e di lui era racconto e spiegazione (cf Gv 1,18)». I cristiani a Natale «stanno in mezzo agli altri con la stessa gioia con cui Dio è venuto in mezzo a noi nel Figlio, l’Emmanuele, il Dio-con-noi, che non può e non deve mai diventare Dio-contro-gli-altri. Allora il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo – non finirà bruciato nel consumarsi di poche ore e di molti beni, ma si dilaterà moltiplicandosi nel vissuto quotidiano: sarà il pegno di una vita più umana, abitata da relazioni autentiche, capace di esprimere in gesti e parole la bellezza e la luce, come eco di quella luce che brillò nella notte di Betlemme e che deve brillare ancora oggi in ogni luogo avvolto dalle tenebre della pandemia, del dolore e della paura».

Il rischio di cancellare la parola Natale. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). «Questo mistero – ha detto l’arcivescovo Boccardo nell’omelia della Messa del giorno – è ciò che noi chiamiamo “Natale”, il suo messaggio e il suo contenuto. Anche se “Natale” è una parola che qualche lobby europea neanche tanto nascosta vorrebbe cancellare dal vocabolario comune in nome di una “comunicazione inclusiva”. Fondamento di tale modo di vedere è il principio secondo cui l’uguaglianza richiede l’annullamento delle differenze. Con questa autentica aggressione del linguaggio ereditato da secoli di fede e di cultura, si tende a formare individui che non si riconoscano appartenenti a nessuna categoria ma solo a sé stessi. È il trionfo del puro individualismo. Ed è anche l’annegamento del singolo in una massa informe e indistinta, nella quale egli perde alla fine la propria identità, che per definirsi ha bisogno delle relazioni. Ma le relazioni diventano impossibili, o meramente formali, in una società dove al posto delle differenze ci sono persone che sono solo sé stessi e che non hanno in comune né l’essere uomini né l’essere donne, né l’essere cristiani né l’essere islamici, né l’essere credenti né non credenti. Purtroppo queste non sono solo teorie; è la tendenza ad imporre – attraverso le mode, oltre che attraverso il linguaggio – la logica dell’omologazione, che rende tutti uguali annullando le differenze culturali e lasciando in vita individui sradicati e incapaci di relazioni profonde. Chiunque ragioni libero da ideologie e pregiudizi sa bene che per un mondo dove si realizza la vera uguaglianza non si può puntare sull’annullamento dell’appartenenza dei singoli alle loro rispettive comunità locali, ma piuttosto sull’apertura di ciascuna di esse alle altre e al mondo intero. Insomma, il “rispetto dell’uguale dignità delle persone” non si realizza a spese delle differenze, ma attraverso di esse. Pertanto, noi continuiamo a parlare, con serenità, convinzione e fermezza, del Natale di Nostro Signore Gesù Cristo».

«Celebrare con frutto il Natale – ha detto ancora mons. Boccardo – significa perciò lasciarci illuminare dalla luce che viene in questo mondo, senza stancarci o scoraggiarci della strada che dobbiamo ancora percorrere per diventare in pienezza figli di Dio. Celebrare con frutto il Natale significa esprimere nella vita la nuova realtà dell’uomo, sperimentare la gioia e la pace proprie di chi sa riconoscere in Dio il volto del Padre, di chi sa di poterlo invocare, come e in Gesù, «Abbà» e, per questo, sa riconoscere la grandezza e la dignità di ogni uomo, a qualunque razza, religione e popolo appartenga. Celebrare con frutto il Natale, come evento del nostro cuore, significa irradiare e diffondere l’amore del Padre, testimoniare la sua paternità vivendo la carità verso tutti i fratelli, condividendo le loro situazioni, provvedendo alle necessità materiali dei più bisognosi, mettendoci al servizio della pace e della riconciliazione».