“Carlo parla al cuore di tanti giovani. Il perché va cercato nel fatto che, al di sotto di tutte le banalizzazioni della vita, rimane sempre dentro di noi una scintilla di bene che Dio sa riaccendere di nuova fiamma. Carlo è l’accendino di Dio. Ha una capacità straordinaria di riaccendere quello che Gesù chiama il ‘lucignolo fumigante’ (Mt 12,20)”. Lo ha detto il vescovo della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, monsignor Domenico Sorrentino, nel corso dell’omelia tenuta nel pomeriggio del 12 ottobre nella chiesa di Santa Maria Maggiore-Santuario della Spogliazione in occasione della celebrazione eucaristica della memoria liturgica del Beato Carlo Acutis, concelebrata da diversi presbiteri diocesani e da monsignor Robert Baker, vescovo di Birmingham (Alabama Usa). Continuo il pellegrinaggio di fedeli davanti alla sua tomba, custodita nel Santuario. “Carlo – ha detto ancora il vescovo – è un testimone di gioia. Quando lo vedi anche solo in una foto, rimani folgorato da quella luce del volto. Ti parla di una bellezza diversa, quella che il peccato ha deturpato, ma che lo Spirito di Dio tiene in serbo in fondo al cuore di ciascuno di noi. È la bellezza della creazione, come è uscita dalle mani di Dio, e che oggi l’umanità comincia a riscoprire anche nell’ambiente spingendo i giovani a indignarsi per una natura violata e devastata. Carlo celebra la creazione di Dio. La celebra – ha continuato monsignor Sorrentino – quando sale un monte o si tuffa nell’acqua, quando porta a spasso i suoi cagnolini o quando imbraccia il suo sassofono, quando si immedesima col suo computer o quando fa i suoi viaggi tra i santuari d’Italia e oltre, come un giramondo dello spirito, desideroso di cogliere dappertutto i segni di Dio. Quello che Francesco d’Assisi esprime col suo cantico di Frate Sole, Carlo lo esprime con il suo volto solare e il suo amore per la vita. Si comprende dunque perché fa colpo sulla nostra società così provata dalla tristezza, dal dubbio, dalla ricerca di sé e dal culto dell’immagine. Carlo non cura la sua immagine: ‘Non io, ma Dio’. Non fa mistero di essere originale e di cercare originalità, ma quella che viene da Dio, perché tutti siamo usciti originali dalle mani di Dio. In questo anno che ci separa dalla sua beatificazione è certamente aumentato, per così dire, il ‘lavoro” di Carlo, e se ne vedono i frutti! Ormai sono tanti, in ogni parte del mondo, che si affidano a lui. Spesso arrivano delle risposte che toccano il cuore e talvolta fanno provare la sensazione di una grazia ottenuta, che fa immaginare non lontano il miracolo che servirà per la sua iscrizione nell’albo dei santi. Carlo lavora dall’alto al progetto di un mondo più felice. Si dedica – ha sottolineato – a formare una generazione di giovani che siano come lui, che non brucino nel nulla la loro libertà. La sua ricetta è tutt’altro che banale: egli sapeva bene che le cose più belle sono anche le più sofferte e combattute. Egli sa e dice, con la sua vita, che la gioia del Vangelo nasce dalla croce. Non fu croce per lui la malattia che lo stroncò in due settimane? Egli la accettò, offrendo il suo sacrificio per la Chiesa. Sapeva che la croce accolta con Cristo è sorgente di vita”. Dopo il riferimento all’eucaristia (“L’ostia santa, il pane con cui Gesù in ogni Santa Messa si ripresenta col suo sacrificio per farsi alimento della nostra vita, letteralmente rapì il cuore di Carlo”) il vescovo ha concluso con un’invocazione affinché “in questa sua memoria liturgica, infonda in noi il suo amore per l’Eucaristia, mentre ci prepariamo a riceverla sotto il suo sguardo sorridente e gioioso”.
13