Mons. Gualtiero Sigismondi comincia il suo ministero episcopale nella nuova diocesi da un luogo simbolo, quel ponte di “Rio Chiaro” dove nel 1263 si incontrarono il vescovo Giacomo, che recava con sé il Corporale del miracolo di Bolsena, e il pontefice Urbano IV. Qui, il vescovo Gualtiero ha ricevuto il primo saluto e l’accoglienza calorosa di una delegazione della comunità orvietano-tuderte.
Poco dopo, il corteo è arrivato in piazza del Duomo dove mons. Sigismondi era atteso da autorità religiose, militari e civili, con i gonfaloni dei Comuni. Ad accoglierlo davanti alla celebre cattedrale orvietana c’era il suo predecessore – ormai vescovo emerito – mons. Benedetto Tuzia e c’erano anche i cardinali Ennio Antonelli e Gualtiero Bassetti, i vescovi delle diocesi dell’Umbria e anche di fuori regione.
Il saluto di mons. Sigismondi alle autorità civili
Sono lieto di incontrare le Autorità civili, politiche, socio-economiche e militari di questa “città sul monte”, “antica dimora dei Papi, che intreccia – secondo Paolo VI – le sue secolari vicende con quelle non solo del loro dominio temporale, ma altresì del loro ministero apostolico”.
Saluto le istituzioni regionali nella persona della Consigliera Dott. Eleonora Paci, S. E. il Prefetto di Terni, Dott. Emilio Dario Sensi, il Presidente dell’Opera del Duomo, Dott. Gianfelice Bellesini, e ringrazio la Dott. Roberta Tardani, Sindaca di Orvieto, che mi ha dato il benvenuto a nome di tutti i Sindaci, fra i quali vedo con piacere l’Avv. Stefano Zuccarini, Sindaco di Foligno.
La Chiesa, consapevole che alla struttura fondamentale del cristianesimo appartiene la distinzione tra quello che è di Cesare e ciò che è di Dio (cf. Mt 22,15-22), rispetta ogni istituzione umana, nutre un sincero apprezzamento per la funzione pubblica e prega per i suoi rappresentanti, affinché cerchino il bene comune. La collaborazione tra comunità politica ed ecclesiale si realizza nel leale rispetto della loro reciproca indipendenza.
“Alla società – osserva p. Francesco Occhetta – il cattolico non fornisce collateralismo al potere, ma lievito e servizio al popolo”. La Chiesa non è un agente politico, e tuttavia ha un interesse profondo per il bene della comunità civile. Opera in modo da non intromettersi in sfere che non le competono, ma non consente restrizioni alla propria libertà di annunciare il Vangelo apertamente. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concede di avanzare una richiesta. Il giovane sovrano non osa domandare successo, ricchezza o lunga vita, ma un cuore docile, in grado di rendere giustizia al popolo e di distinguere il bene dal male (cf. 1Re 3,9).
Per chi è chiamato a guidare una comunità civile o ecclesiale niente è più desiderabile della pace. Nella comunità ecclesiale la pace è il germoglio che spunta dalla radice dell’unità; nella società civile la pace è il frutto maturo della giustizia. Se nella Chiesa gli “operatori di pace” sono “tessitori di comunione”, nella Città i “testimoni di pace” sono, per così dire, “promotori di giustizia”, la quale, in linea di principio, non può essere delegata o appaltata alla carità.
Come Vescovo sono cosciente che “l’attenzione alla città non è separabile dall’impegno ecclesiale”: “carità politica” e “carità pastorale” sono destinate a frequentarsi soprattutto sul terreno solidaristico, educativo e culturale. È proprio nel comune impegno per la promozione integrale dell’uomo che è possibile individuare il punto di contatto o di tangenza tra le istituzioni civili ed ecclesiastiche.
Questa piazza, illuminata dallo splendore della facciata del Duomo, è simbolo reale dell’incontro e del dialogo tra gli “uomini di buona volontà”. Nella “nobile semplicità” e nella “pacata grandiosità” di questo luogo presento le mie credenziali di “seminatore di speranza” e di “collaboratore della gioia del Vangelo”.
Dopo il saluto del sindaco di Orvieto, Roberta Tardani, mons. Sigismondi ha fatto il suo ingresso in Duomo per la cerimonia dell’insediamento in Cattedra seguita dalla solenne liturgia eucaristica.
L’omelia del vescovo Gualtiero in Duomo
“Con la tua continua misericordia, Padre, purifica e rafforza la tua Chiesa e poiché non può sostenersi senza di te non privarla mai della tua guida”. Questa orazione ha accompagnato la mia attesa del nostro primo incontro nel Duomo di Orvieto, che per la finezza della sua armonia è “fuori scala”.
“Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica” (Gv 4,38). Quanto Gesù ha detto ai discepoli al pozzo di Giacobbe oggi è diretto a me. Con semplicità e letizia mi inserisco nella storia di questa Diocesi, guidata finora da S. E. mons. Benedetto Tuzia, il quale il giorno dell’annuncio del mio trasferimento mi ha inviato questo messaggio: “Benedetto Gualtiero, colui che viene nel nome e nella grazia del Signore”.
Carissimo Vescovo Benedetto: “Chi semina gioisca insieme a chi miete” (Gv 4,36). Questo invito sinodale alla gioia unisce, nella stessa lode, il seminatore al mietitore; entrambi sono “collaboratori di Dio”: “né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere” (1Cor 3,7). Lo stesso pensiero lo rivolgo a S. E. mons. Giovanni Scanavino, la cui graditissima presenza mi ricorda che l’ingresso di un vescovo in diocesi è paragonabile a quello del Signore in Gerusalemme.
Con il mandato del Papa, a cui rinnovo fedele obbedienza, inizio il mio ministero pastorale, ben sapendo che l’autorità episcopale non è a beneficio di chi la esercita ma a vantaggio di coloro ai quali si rivolge. Sciolto il vincolo con la Chiesa particolare di Foligno – per ora solo allentato, in quanto Amministratore Apostolico –, il Signore mi invita a creare nuove paternità e fraternità, che mi autorizzano a farvi qualche confidenza.
Alla vigilia dell’anno duemila venni invitato a Bolsena alla Marcia della fede, che precede l’alba del Corpus Domini. Pensando al travaglio della “incredulità credente” sperimentato all’altare da un sacerdote boemo, ripetevo in silenzio il versetto del salmo che avrebbe illuminato quella notte: “Voglio svegliare l’aurora” (Sal 57,9). Giunto il momento di dare il via al cammino, consegnai ai pellegrini questo messaggio: “I vostri passi precederanno l’aurora e, all’alba, vedrete la sagoma del Duomo; a quella vista, stanchi ma raggianti, ricordate che l’Eucaristia, da cui nasce e si edifica sempre la Chiesa, sveglia l’aurora dell’eternità nella notte del tempo”.
Da vescovo sono venuto in questa Cattedrale con il presbiterio folignate in occasione del Giubileo Eucaristico straordinario. Durante la Messa ho divagato con la mente nella navata centrale e ho tenuto fisso lo sguardo sul rosone, chiedendomi: come mai questa casa della Chiesa, edificata per custodire viva memoria del Miracolo di Bolsena, è intitolata a Santa Maria Assunta? Ho cercato la risposta per tutto il tempo della celebrazione, ma sono riuscito a trovarla solo al momento della Comunione eucaristica, “vero Corpo e Sangue del Risorto nato da Maria Vergine”. La Madre di Dio, “mistica aurora della redenzione”, è realmente il Ss. Corporale di Gesù, inamidato dal suo candore verginale e inondato dallo splendore della luce pasquale.
Inizio il mio ministero pastorale in mezzo a voi custodendo e meditando le letture proposte dalla Messa vespertina nella vigilia della solennità dei Principi degli Apostoli. Pietro, presso la porta del tempio di Gerusalemme detta Bella, dichiara a uno storpio: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do” (At 3,6). Con queste stesse parole mi accredito anch’io, chiedendo al Signore di non abbandonarci alla tentazione di cui parla Paolo nella sua autobiografia: “Perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo” (Gal 1,13). Sebbene le potenze degli inferi non possano prevalere sulla Chiesa (cf. Mt 16,18), “colonna e sostegno della verità” (1Tm 3,15), tuttavia essa rimane esposta all’insidia della devastazione sino alla fine dei tempi. Non facciamoci illusioni: è la carestia del “cemento della concordia” a devastare la Chiesa!
La comunione, frutto e condizione della Pentecoste, è il presupposto della missione apostolica affidata dal Risorto a Simon Pietro sulla riva del mare di Tiberiade (cf. Gv 21,15-19), là dove l’aveva tratto all’amo come “pescatore di uomini” (cf. Lc 5,10). Che il Signore sia vivo, non solo “corporalmente” ma anche “sentimentalmente”, lo rivela il dialogo che Egli stabilisce con Simone. Per due volte gli chiede quanto lo ami – “agapào” (cf. vv. 15-16) –, mentre la terza, domandandogli se gli voglia bene – “filèo” (cf. v. 17) –, il Risorto non abbassa il livello della sua richiesta ma lo innalza. La risposta di Simone fa appello al Maestro, che “scruta i sentimenti e i pensieri del cuore”: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (v. 17).
Nessuno può osare dire per intero questa frase: riusciremo a farlo se ci sosterremo a vicenda nella carità. Lo chiedo anzitutto a voi, ministri ordinati, a cui rivolgo il mio sguardo benedicente. “La testimonianza di un sacerdozio vissuto bene – assicurava Benedetto XVI – nobilita la Chiesa. Suscita ammirazione nei fedeli, è fonte di benedizione per la comunità, è la migliore promozione vocazionale”. Il dono ricevuto con l’imposizione delle mani, collegato strutturalmente all’Eucaristia, lo si ravviva curando la vita interiore: prima attività pastorale, la più importante. Il nostro ministero di “servi premurosi del popolo di Dio” si ridurrebbe a una rincorsa affannosa se, cammin facendo, trascurassimo la preghiera e il servizio della Parola, la cui eco risuona nel grido dei poveri, con i quali Gesù ha voluto identificarsi, e nel libro della storia che non è allergica ai “semi del Verbo”.
“Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge”. La concretezza di questa immagine, suggerita dalla liturgia, me l’ha mostrata un anziano pastore, sorpreso a trascinare un grande ramo pieno di foglie all’interno del recinto del suo gregge: “È la cena per i miei agnelli; ieri ho avvistato un lupo, oggi non ho osato condurli al pascolo”. Ammaestrato da questa lezione d’amore, accolgo con cuore libero e ardente quanto mi raccomanda Papa Francesco nella Bolla di nomina: “Ama la tua nuova Chiesa con viscere di misericordia, benignità e umiltà”.
La Vergine Maria, San Giuseppe suo Sposo, San Fortunato e la beata Madre Speranza di Gesù mi ottengano dal “Pastore dei pastori” di perseverare in questo santo proposito, “fino alla fine”.
Testi e immagini della giornata di ingresso del vescovo Gualtiero sono disponibili sul sito web della diocesi di Orvieto-Todi. Qui lo streaming video trasmesso da TeleOrvietoWeb e dalla Tv Diocesana…
(www.lavoce.it)