Perugia: celebrata la Passione del Signore del Venerdì Santo. Bassetti: «Pensiamo al Crocifisso e auguriamo che chiunque venga a consegnare la propria vita, anche in questo periodo di epidemia, possa avere la consolazione di avere fra le mani il Crocifisso”.

«Per tre lunghe ore Gesù agonizza sulla Croce. Ai piedi della croce stanno sua madre e il discepolo prediletto. “Ecco, questo è tuo figlio”, dice a Lei, e “questa è la madre tua”, dice a Giovanni. È come se svincolasse da sé l’amore di cui lo circondano queste due creature. Egli vuole essere solo. Si è addossato il nostro debito. Nessuno deve assisterlo». Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’inizio dell’omelia della celebrazione della Passione del Signore, Venerdì Santo 10 aprile, presieduta insieme al vescovo ausiliare mons. Marco Salvi nella spoglia e vuota cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Spoglia in segno di partecipazione della Chiesa alla Passione di Cristo e vuota per l’assenza di fedeli a causa della pandemia. Il cardinale, come è ormai consuetudine, attraverso i mezzi della comunicazione sociale, si è rivolto alla sua comunità diocesana offrendole una riflessione sulla Passione di Cristo incentrata sull’immagine del Crocifisso, simbolo sempre attuale, soprattutto in questo periodo, di fede e di salvezza (il testo integrale dell’omelia è sul sito: www.diocesi.perugia.it).

Abbandonato da tutti… tutto è compiuto. «Quello che sia passato nell’animo di Gesù in quell’ora nessuno lo sa – ha commentato il presule –. Poi Egli ad alta voce gridò: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Nessuno mai solleverà il velo su questo mistero: come il Figlio di Dio possa essere abbandonato da Dio. Noi possiamo solo dire questo: fino ad ora ha sentito la vicinanza del Padre come conforto e sostegno. Ora anche questo gli viene meno. Egli è solo, spogliato di tutto, anche delle sue vesti: potremmo dire della sua stessa dignità. Abbandonato da tutti. Solo davanti al Padre. Nessuno potrà mai rendersi conto di cosa ciò voglia dire. Una cosa sola ora lo sostiene: la sua incrollabile fedeltà alla missione avuta dal Padre e il suo inconcepibile amore per noi. Ed è in questo amore che Egli si consuma finché tutto è compiuto».

Si è umiliato, ma non ci ha umiliato. «L’antifona, che si proclama il Venerdì Santo prima del racconto della Passione, tratta dalla lettera ai Filippesi (Fil 2, 8) è come un preludio per tutta la Settimana Santa: “Umiliò sé stesso, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome”: il nome di Signore. “Umiliò sé stesso”. Non si avvalse del suo diritto di essere figlio di Dio. Non lo ritenne un privilegio, ci dice San Paolo, “ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. E potremmo aggiungere: fino ad inabissarsi sul più profondo della nostra voragine. “Si è umiliato”, ma non ci ha umiliato. Piuttosto dovremmo dire che Lui “ha preso il nostro posto”».

La leggenda di Barabba. Il cardinale Bassetti, soffermandosi sulla figura di Barabba, ha ricordato il libro di Giovanni Papini: “I testimoni della Passione”. «Naturalmente – ha precisato il cardinale – quello che Papini racconta è una leggenda, ma potrebbe essere verosimile» nel descrivere un Barabba che «si sarebbe poi convertito», quando dopo «una notte agitata, la mattina presto si recò al Golgota: c’erano ancora piantate le tre croci. Quella di mezzo aveva scolature di sangue raggrumate, ma ancora fresco per effetto della rugiada notturna. Barabba toccò quel sangue e disse: “Questo è sangue versato per conto mio, per me!”». Bassetti, nel ribadire che «si tratta di una leggenda, di una bellissima leggenda», evidenzia «che racchiude però una grande verità. Dice l’Apostolo Paolo, nella lettera al Galati: “mi ha amato e ha dato tutto sé stesso per me!”.

Il cuore di Cristo squarciato. «Impariamo ad incontrarci col Crocifisso. Purtroppo siamo troppo abituati a vederlo dappertutto, che quasi siamo diventati indifferenti. San Bonaventura definisce il crocifisso “prodigio di giustizia, modello di sofferenza, stimolo e provocazione d’amore”. Pensiamo al Crocifisso, particolarmente in questo giorno, pensiamo al Crocifisso e vediamo tutti i luoghi dove si soffre, pensiamo al Crocifisso e auguriamo che chiunque venga a consegnare la propria vita, anche in questo periodo di epidemia, possa avere la consolazione di avere fra le mani il Crocifisso. Poiché tutti soffriamo e poiché tutti dobbiamo morire, impariamo a guardare più e meglio l’immagine del Crocifisso, e meditiamo su tutto ciò che questa immagine rappresenta. Sarà il pensiero di Barabba: “è morto al mio posto”. Sarà il pensiero di San Paolo: “Mi ha amato e ha dato tutto sé stesso per me”. Sarà il pensiero di San Bonaventura, che sopra ho citato. Il cuore di Cristo è stato squarciato per rimanere sempre aperto. Guardiamo questa ferita, e in questo cuore aperto cerchiamo il nostro rifugio e la nostra salvezza».

Le ferite del Crocifisso. «Stasera chiedo per me, per voi, per tutti coloro che ci stanno seguendo, soprattutto i più sofferenti – ha concluso il cardinale –, che il Padre misericordioso apra la nostra mente e il nostro cuore e ci renda sempre capaci di ascolto e di risposta, perché le piaghe di ogni fratello e ogni sorella, anche quelle di coloro che non conosciamo, sono le ferite del Crocifisso».