“Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!’” (Gv 20,19). Queste parole gettano un fascio di luce sulle tenebre che, nelle circostanze attuali, riempiono tutto di “un vuoto desolante”. Erano chiuse le porte del Cenacolo, restano chiuse le porte delle chiese, come quelle delle fabbriche e delle scuole, a causa di un’emergenza sanitaria che sta affliggendo il mondo intero. Sembra di vivere – ha osservato Papa Francesco in occasione del momento straordinario di preghiera, da lui presieduto, in una Piazza San Pietro gremita di silenzio – nella stessa condizione in cui si sono venuti a trovare gli apostoli i quali, sballottati dalle onde del mare in tempesta, svegliano il Signore, dicendogli: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (cf. Mc 4,38).
La tempesta provocata dal Covid-19, il cui ceppo virale è salito anche a bordo di una nave da crociera e non di un barcone, mostra la drammatica concretezza dell’immagine del “contagio”, a cui Paolo ricorre per indicare come si è propagato il “peccato di Adamo” (cf. Rm 5,12). L’Apostolo assicura, però, che “il dono di grazia non è come la caduta” (Rm 5,15). Anche di questo stiamo facendo esperienza in una stagione che contribuisce a trasformare la nostra fragilità in una più forte coscienza di solidarietà, che vede in prima linea medici, infermieri e operatori sanitari. Essi commentano, anche nelle “corsie” degli ospedali da campo, la parabola del “buon Samaritano”, alleviando, come il Cireneo, il peso della sofferenza e l’estrema solitudine della morte.
“Sono ormai diverse settimane – mi ha confidato un giovane medico – che sono dedicato a gestire, emotivamente e mentalmente, una situazione davvero pesante in due reparti di terapia sub-intensiva. Basteranno i dispositivi di protezione individuale di fronte a un paziente in ventilazione che nebulizza una carica virale così alta? Mi sono vestito bene, con l’oppressione della mascherina che taglia il naso e gli zigomi? Ho sbagliato procedura e mi sono contaminato? Al tempo stesso, però, c’è l’entusiasmo di buttarsi anima e corpo in trincea per aiutare pazienti dagli occhi terrorizzati; e allora si fa e basta, senza domandarsi nient’altro che questo: come ossigenarli? Mai come ora, nello stringere mani e carezzare volti, mi torna alla mente e mi infiamma il cuore il detto: chi cerca l’uomo (quaerere hominem) di fatto cerca Dio (quaerere Deum)”.
Testimonianze così esemplari tengono viva la speranza pasquale: Dio crea vita anche dalla morte. La fede della Chiesa assicura che siamo polvere del suolo, ma polvere preziosa. “Il Signore – ha ricordato il Santo Padre all’inizio della “quarantena quaresimale” – ha amato raccogliere la nostra polvere tra le mani e soffiarvi il suo alito di vita. Siamo terra su cui Dio ha riversato il cielo, la polvere che contiene i Suoi sogni” (cf. Gen 2,7). Il sogno di Dio è la salvezza del mondo, un sogno divenuto realtà con la Pasqua di Cristo, che “ha imposto alla morte un limite invalicabile”. “Morte e vita – così canta la Sequenza pasquale – si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”.
“L’inizio della fede – assicura Papa Francesco – è saperci bisognosi di salvezza: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Con Lui a bordo, non si fa naufragio”. Celebrare il Triduo pasquale a porte chiuse è una dura prova, per tutti, ma è un appello a reimpostare la rotta della conversione pastorale. La comunità ecclesiale è chiamata ad esprimere il suo zelo missionario conservando un contatto continuo con le Scritture e cercando nuove frequenze, messe a disposizione dall’ambiente digitale, capace di gettare ponti soprattutto con le nuove generazioni. Il digiuno eucaristico, sebbene ripresenti al vivo la sofferenza vissuta dai martiri di Abitene – “senza la Domenica non possiamo vivere” –, interpella le famiglie cristiane a diventare ancora di più quello che sono, “Chiesa domestica”, Cenacolo a cielo aperto.
Tutto è grazia, anche questa Pasqua così inedita; risuonino come squillo di tromba le parole, richiamate dal Santo Padre nella Domenica delle Palme e della Passione del Signore, che Angela da Foligno ha sentito nella sua anima il mercoledì della Settimana Santa del 1301: “Io non ti ho amata per scherzo”. Sono parole che oso confidare anch’io in questo esodo pasquale.