Monsignor Giuseppe Ricci compirà sessant’anni di sacerdozio, il 1° luglio, e ottantacinque di età, il 15 maggio. È stato il primo economo diocesano perugino a mettere a frutto i contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa cattolica.
Fu chiamato dall’arcivescovo Cesare Pagani alla guida dell’Ufficio economato nell’anno della revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sancì la nascita dello “strumento finanziario” denominato “8xmille” di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla sua introduzione (1984-2024).
Don Giuseppe, come preferisce essere chiamato, si racconta nell’apprestarsi a “tagliare” questi suoi due traguardi molto significativi, testimoniando il “buon investimento” dei contribuenti italiani, che firmano ogni anno l’8xmille, su di lui e su tanti sacerdoti.
Don Giuseppe, il suo primo pensiero di parroco emerito…
«È curioso, alla veneranda età di 85 anni, trovarsi quasi conteso da parroci che dicono di avere bisogno del mio aiuto. Attualmente sono collaboratore di un parroco che ha cinque parrocchie… Grazie a Dio la salute mi è sufficiente per aiutarlo e sono ben contento di farlo. Ogni giorno ringrazio il Signore, perché ho svolto tanti ruoli in quasi sessant’anni di sacerdozio, iniziando come cappellano a San Donato all’Elce di Perugia e poi parroco a San Valentino della Collina. Con l’arrivo dell’arcivescovo Cesare Pagani sono diventato suo segretario e canonico della cattedrale di San Lorenzo.
Sempre Pagani mi incaricò di realizzare la sede della radio diocesana in alcuni locali del Capitolo dei Canonici di San Lorenzo. Al riguardo ricordo un particolare, quello di avergli presentato il preventivo delle spese per finanziare il progetto della radio (spese pagate interamente di tasca sua), il cui consuntivo risultò inferiore. Fu un caso davvero molto raro, perché è quasi sempre l’inverso per i tanti imprevisti in corso d’opera. Non so se questo risparmio sulla somma preventivata sia stato il motivo ispiratore per affidarmi la guida dell’Ufficio economato diocesano, incarico che mi ha visto impegnato per 17 anni».
Economo ma anche parroco
Così si è trovato ad amministrare il patrimonio materiale della Chiesa, “trascurando” il suo essere pastore di anime?
«Non è andata proprio così, mi riservo di parlarne più avanti, perché per tutto il periodo di economo diocesano ho guidato pastoralmente una piccola, ma molto significativa comunità parrocchiale di periferia, che mi ha dato tantissimo nell’aiutarmi a non farmi assorbire totalmente dai “bilanci materiali”.
Quando ho poi ricevuto il dono di tornare a fare il parroco a tempo pieno, a Marsciano e dintorni, dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, affidandomi una comunità parrocchiale di circa 10mila anime, ho accolto con gioia questo dono che non mi ha visto impreparato grazie all’esperienza della piccola parrocchia di periferia. Altro dono l’ho ricevuto dal nostro giovane arcivescovo Ivan Maffeis nel benedire il mio progetto, quello di venire a Ponte Felcino, con il parroco don Alberto Veschini, a fare vita comune».
Lei è tra i sacerdoti “pionieri” dell’esperienza d’Unità pastorale che vede protagonisti in primis presbiteri affiancati, dove è possibile, dai diaconi, ma come si trova a Ponte Felcino?
«Io mi trovo molto bene in quest’esperienza di vita, perché sono insieme ad un fratello e tra noi c’è una gara di Amore l’uno per l’altro. Anche per questo ringrazio il Signore, perché adesso mi è rimasta la parte più facile della missione sacerdotale, quella di distribuire la grazia di Dio attraverso i sacramenti, non avendo gli impegni prettamente pastorali della parrocchia. Mi resta il “dolce” delle celebrazioni liturgiche: le confessioni e l’Eucaristia, perché ho tutto il tempo a mia disposizione per prepararle bene ed anche questo è un dono del Signore che mi dà serenità e mi fa sentire in qualche modo utile alla Chiesa».
La vocazione di don Giuseppe
Come è nata in lei la chiamata-vocazione al Sacerdozio?
«Ripercorrendo la mia vita a volo d’uccello, ho avuto il momento di grande dolore dal punto di vista umano a cui ha fatto seguito uno successivo dove è partito il progetto di Dio su di me. Il dolore provato ad appena cinque anni d’età fu causato dalla perdita del papà, cavatore di lignite a San Martino in Campo, unica fonte di reddito della nostra modestissima famiglia di quattro figli… Intervenne l’assistenza sociale che fece accogliere me e mio fratello, i figli più piccoli, nell’orfanotrofio delle suore di Gesù Redentore, nel quartiere Bellocchio di Perugia, all’epoca la Casa Generalizia di questa congregazione ancora oggi presente in città con le sue opere socio-educative e caritative.
Per me chiusa una “porta” si è poi aperto un “portone”, perché la madre generale, illuminata, intravvide in me qualche segno di vocazione da coltivare affidandomi alle cure del cappellano don Rino Valigi, una bella figura di sacerdote, quasi un secondo padre per me, che mi suggerì di fare la domanda per entrare al Seminario Minore. Essendo stato “adottato pienamente” dalle suore di Gesù Redentore, la loro casa era la mia casa, fino a quando sono diventato sacerdote, sostenendo loro le spese per la mia istruzione-formazione in Seminario. Ho potuto godere anche dell’ospitalità delle loro case religiose in Italia e all’estero. Una provvidenza del Signore che mi ha aiutato molto a portare a compimento i miei studi e a maturare la mia vocazione al sacerdozio».
Nel suo studio campeggia su una parete una grande immagine di Chiara Lubich…
«Altra esperienza determinante per la mia formazione è stato il contatto con la spiritualità del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich con cui ho avuto la possibilità di incontri personali e scambi epistolari. La ricchezza di questo carisma donato alla Chiesa ha condizionato nel bene la mia vita sia personale sia pastorale. Anche questa scelta di venire a fare “focolare sacerdotale” con don Alberto, che condivide pienamente questa spiritualità, è quanto di meglio potessi ricevere in dono dal Signore».
Don Giuseppe Ricci: “Benedetto 8xmille
Tornando al delicato ruolo di economo, come ha utilizzato i finanziamenti derivanti dall’8xmille?
«Ho benedetto il momento in cui monsignor Attilio Nicora, poi divenuto cardinale, è stato l’ispiratore di quell’accordo provvidenziale per le risorse dell’8xmille, preziosissime per compiere tante opere di sostegno, di intervento nelle strutture necessarie agli enti ecclesiastici. Come non ricordare due grandi opere della nostra Chiesa particolare negli anni in cui ho ricoperto la responsabilità di economo, il Centro “Mater Gratiae” e la Casa del Clero.
Il primo fu realizzato con il recupero del complesso un tempo Seminario Minore ridotto a un immenso deposito di 4mila mq, senza nessun utilizzo pastorale, mentre io vedevo l’urgenza per il nostro Clero di avere un luogo dignitoso dove incontrarsi mensilmente e dove poter promuovere e ospitare convegni, incontri, ritiri… All’interno di questo complesso vennero realizzate la grande sala riunioni, poi intitolata all’arcivescovo Pagani, e diverse aule, oltre alla struttura ricettiva del Centro “Mater Gratiae”, con annessi ambienti adibiti ad uffici e foresteria; il tutto con un ampio parcheggio a poco meno di due chilometri dal centro storico.
Altra opera è stata la ristrutturazione della “Casa del Clero” del complesso della Cattedrale, un’altra esigenza condivisa con i pastori per garantire ai nostri sacerdoti un luogo per le loro necessità una volta espletato in parrocchia il servizio pastorale e in assenza di una dignitosa assistenza con l’avanzare dell’età. Con mia gioia vedo oggi valorizzare la “Casa del Clero” dall’arcivescovo Ivan, perché è ritornata pienamente funzionante e con le sue originali finalità».
Non ha trascurato nemmeno la nascita di opere di carità…
«Quando sono stato parroco di Marsciano e Schiavo, abbiamo dato vita all’Emporio Caritas “Betlemme” (Casa del Pane), il quarto aperto in diocesi per volontà del cardinale Gualtiero Bassetti, per la cui realizzazione è stato determinante l’aiuto dell’8xmille. Inoltre è stata fondamentale l’opera svolta da operatori e volontari guidati dal diacono Luciano Cerati, il cui sostegno è stato non poco significativo prendendo a cuore questo funzionante progetto di carità concreta, che va avanti ancora oggi grazie allo stesso diacono Luciano e al mio successore, il giovane parroco don Marco Pezzanera».
Gli anni in parrocchia
A Marsciano ha lasciato un segno anche in questa parrocchia “prestigiosa ma complessa”
«Arrivai a Marsciano salutando i miei nuovi parrocchiani con queste parole: ” rimboccarsi le maniche e seguire Cristo, vero ed unico pastore, dovunque avesse voluto Lui”.
Dopo 17 anni, al momento del congedo, una parrocchiana mi scrisse: “Da saggio e umile servo nella vigna del Signore, Lei, don Giuseppe Ricci, ha mantenuto fede al Suo impegno, vivendo fino in fondo l’esperienza del ‘buon pastore’ che, come dice Papa Francesco, conosce le sue pecore e sa quando è il momento di stare in mezzo ad esse e, a volte, anche dietro di loro. Una volta Lei ha presentato la vita della nostra Comunità con l’immagine di un operoso cantiere, dove ognuno è invitato a collaborare: questo ci ha aiutato a comprendere il valore e la funzione dell’Unità Pastorale, intesa come ‘un modo nuovo di offrire il Vangelo’, integrando le risorse del territorio e sostenendo il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione.
Ripercorrere gli anni che vanno dal 2001 al 2018 significa capire quanti doni di Grazia abbiamo ricevuto nel cercare di fare della nostra Comunità ‘la casa di tutti’, sostenuti dal Suo ‘Avanti con coraggio!’ e alla scuola di quella ‘spiritualità di comunione’ che secondo San Giovanni Paolo II ci educa a vedere ‘il fratello come primo strumento prezioso’ per andare a Dio”.
Sono stato e sono tutt’ora un convinto sostenitore delle Unità pastorali, espressioni concrete anche della comunione tra sacerdoti. Non mi dilungo oltre, aggiungo solo un’opera realizzata per i giovani, l’“OSMA” (Oratorio Santa Maria Assunta), anch’essa con il contributo dell’8xmille. Ben presto l’“OSMA” si rivelò un punto di riferimento per tutta la comunità marscianese, perché gli oratori parrocchiali svolgono anche una funzione sociale come del resto noi sacerdoti».
Don Giuseppe Ricci, avviandoci alla conclusione di questo piacevole dialogo-intervista, ci rivela il nome di quella «piccola parrocchia di periferia» che le ha permesso di continuare ad essere curato di anime mentre “curava”, teneva in ordine i conti dell’intera Diocesi?
«È la parrocchia di Castelvieto, nel comune di Corciano, una comunità di appena cinquecento abitanti dove ho trovato persone e famiglie meravigliose. Ricordo, quando ero segretario dell’arcivescovo…, venivano in Curia genitori a chiedere a monsignor Pagani un prete per i loro figli, perché il parroco era malato. Chiese a me di seguire questa comunità almeno la domenica, ma io iniziai quasi subito ad andarci ogni sera, perché, trovando del terreno fertile, diedi vita a degli incontri formativi. Vi celebrai il mio 25° di sacerdozio e fu meraviglioso…
Quando dovetti lasciarla, perché nominato parroco a Marsciano, ricevetti dai giovani di Castelvieto una lettera commovente che conservo tra le mie carte più care. Scrissero un toccante “arrivederci, ad una persona, un padre, un amico, un fratello che è stato per ben 17 anni con noi, anzi, è meglio dire fra noi… È arrivato quasi in punta di piedi, don Giuseppe…, ma ha fatto subito capire che a Castelvieto non era giunta una personalità come tante altre, ma un ciclone dalle idee meravigliose e dalle maniere esaltanti, coinvolgenti; un gentiluomo, oltre che un parroco…, un motivatore! Non era facile farsi apprezzare, e soprattutto seguire, dalla gioventù così bella e piena di potenzialità, ma anche così restia al coinvolgimento…, ebbene lei, don Giuseppe, ci è riuscito.
Il “grazie” dei giovani a don Giuseppe Ricci
Non si deve pensare di chissà quali alchimie o miracoli sia stato autore, serviva una cosa tanto semplice ma così complicata allo stesso tempo… affetto! Con tanto affetto e amore, don Giuseppe, lei ha plasmato un gruppo di giovani assetati di opere buone tra di noi e verso gli altri. La ringraziamo per averci portato un ideale, per essere intervenuto ai nostri incontri, per aver organizzato i nostri incontri, per aver fatto confluire la nostra creatività in quelle belle feste di Natale e dell’Epifania, per averci consigliato, per averci prestato una spalla quando dovevamo piangere, per averci telefonato tutte quelle volte quando si accorgeva che ci stavamo allontanando, per averci sgridato quando ce lo meritavamo… Siamo felici per i giovani della sua nuova parrocchia, perché potranno godere della sua vicinanza, anzi, forse è meglio dire che siamo un po’ invidiosi…”».
Anche dalla testimonianza dei giovani della piccola Castelvieto traspare nitidamente l’affetto di don Giuseppe alla sua Chiesa e alla sua gente, un “investimento”, soprattutto umano e spirituale, andato a buon fine per il bene dell’intera società.
Riccardo Liguori