Perugia – celebrata la solennità di San Lorenzo, diacono e martire, titolare della Cattedrale. L’arcivescovo Ivan Maffeis nell’omelia: «Aiutaci a riconoscerci parte attiva e responsabile di una comunità»

Una “lettera” dal tono molto confidenziale, toccante temi anche di carattere sociale, può essere colta l’omelia pronunciata dall’arcivescovo Ivan Maffeis durante la solenne celebrazione eucaristica della memoria liturgica del Santo titolare della Cattedrale di Perugia, il diacono e martire Lorenzo, che la Chiesa celebra il 10 agosto. È la prima tenuta da mons. Maffeis in occasione della solennità di San Lorenzo, avendo ricevuto l’ordinazione episcopale l’11 settembre dello scorso anno nella cattedrale del capoluogo umbro. Il presule, nel rivolgersi a San Lorenzo, esorta i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a vivere sull’esempio di questo martire della primordiale Chiesa di Cristo, non tralasciando nei ringraziamenti il neo diacono permanente Massimo Pio Gallì, ordinato da mons. Maffeis, come è tradizione, il giorno di San Lorenzo, nella cattedrale perugina, e «le tante persone che, come te (San Lorenzo, n.d.r), già vivono la logica del Vangelo e consegnano la loro libertà in tanti piccoli atti di servizio».

«Caro San Lorenzo, in questo giorno santo donaci la grazia di non rassegnarci a tanta superficialità – è anche la preghiera di mons. Maffeis –. Non stancarti di ricordarci che l’amore, anche se tante volte appare perdente, rimane il segreto intimo, la forza della vita, la forza che genera e rende feconda la vita. Aiutaci a calarci con disponibilità nella terra della nostra famiglia, in quella del lavoro, nella terra della nostra Chiesa e in quella – altrettanto sacra – della nostra Città».

Di seguito il testo integrale dell’omelia dell’arcivescovo Maffeis.

Caro San Lorenzo, la prima tentazione che in questo momento s’affaccia nell’animo nostro è quella di confinarti in una lontana vicenda – del resto, capirai anche tu, sei vissuto nella prima metà del III secolo… –; una vicenda che rievochiamo volentieri una volta all’anno, come si sfoglia un album di fotografie ingiallite dalla polvere del tempo; una vicenda, la tua, tra le più conosciute, che però stentiamo a raccordare con il nostro presente.
Così, da una parte, siamo pronti a celebrare le tue virtù e a venerarti nostro patrono, ma, dall’altra, badiamo di farlo tenendocene a debita distanza.
Davanti a te, che sei stato bruciato vivo a causa della tua testimonianza, usiamo la prudenza di chi – una volta colto il pericolo dell’acqua calda – gira al largo perfino da quella tiepida…
Perché, lo intuiamo, se per un attimo – un attimo soltanto – incrociassimo il tuo sguardo, se ci lasciassimo catturare dal fascino che la tua figura emana, se specchiassimo la nostra vita nella tua, fino a imitarla, potremmo rischiare di scottarci per davvero.
Eri diacono, ministro, strettamente unito al Vescovo e consacrato al servizio degli altri, dei poveri soprattutto. Probabilmente, Papa Francesco pensava proprio a te, quando qualche giorno fa, ai giovani di tutto il mondo riuniti a Lisbona, ricordava che “l’amore astratto non esiste. L’amore platonico sta in orbita, non nella realtà. L’amore è concreto, si sporca le mani con i poveri, i prediletti di Dio”.
Concreto il tuo servizio lo è stato davvero, al punto che, quando l’imperatore Valeriano cercò di spogliare la Chiesa, mosso dal sospetto che avesse accumulato tanti tesori nascosti, tu non ti sei fatto pregare due volte nel consegnarglieli. Hai radunato ciechi, storpi e zoppi e li hai presentati all’imperatore, dicendogli: “Ecco i tesori eterni, che non diminuiscono mai e che fruttano sempre…”. Una risposta puntuale e veritiera, ma che – concorderai – agli orecchi del potere doveva risuonare piuttosto beffarda, una sorta di presa in giro…
Hai pagato il tuo coraggio con il martirio, chicco di grano caduto nel nascondimento della terra, senza clamore alcuno.
Servizio, coraggio, martirio… Sai, noi oggi abbiamo altro per la testa. Stentiamo perfino a guardarci attorno, a lasciarci coinvolgere da quello che accade, preoccupati come siamo di tutelare le nostre libertà e i nostri diritti individuali: vi siamo aggrappati quasi fossero il nostro tutto, pretendiamo di trattenerli con avidità, al punto che per difenderli evitiamo con cura di assumerci impegni stabili, di legarci, di riconoscerci parte attiva e responsabile di una comunità.

Certo, se – a fari spenti – tu ci chiedessi se siamo contenti di vivere così, di organizzare la nostra vita a prescindere dalle conseguenze che le nostre scelte hanno sugli altri, probabilmente faremmo fatica a risponderti di sì. Per paura o per calcolo, quel chicco di grano che siamo rischia di conservare la sua forza straordinaria nel chiuso del suo involucro. Ci condanniamo allora – per esprimerci ancora con parole del Papa – a una vita “distillata”: “Quante vite distillate, inutili, che passano senza lasciare un’impronta, perché quelle vite non hanno peso!”

Caro San Lorenzo, in questo giorno santo donaci la grazia di non rassegnarci a tanta superficialità. Non stancarti di ricordarci che l’amore, anche se tante volte appare perdente, rimane il segreto intimo, la forza della vita, la forza che genera e rende feconda la vita. Aiutaci a calarci con disponibilità nella terra della nostra famiglia, in quella del lavoro, nella terra della nostra Chiesa e in quella – altrettanto sacra – della nostra Città.

Se tu intercedi per noi, sapremo abbandonarci con fiducia nelle mani di Dio. Eviteremo, allora, di assolutizzare le nostre opinioni e le nostre cose, arrivando a dare loro il giusto posto. Ricondotti all’essenziale, sperimenteremo la gioia di chi trova se stesso donandosi con gratuità; sentiremo che la vita altro non è che restituzione, risposta all’amore che abbiamo ricevuto.

Grazie per le tante persone che, come te, già vivono la logica del Vangelo e consegnano la loro libertà in tanti piccoli atti di servizio. Grazie per la disponibilità di Massimo Pio al diaconato, grazie per sua moglie Sandra e per la loro famiglia. Grazie a p. Giulio Michelini e a don Pietro Ortica, che ne hanno curato la formazione. Grazie per i nostri diaconi e i nostri presbiteri; grazie per gli uomini delle nostre Istituzioni… Sono tutte stelle che, con il loro operato, più che la notte di San Lorenzo, illuminano quella del nostro mondo.

+ Don Ivan Maffeis, vescovo