A gremire la cattedrale di Santa Maria Maggiore in Civita Castellana (Vt), alla solenne celebrazione eucaristica di inizio ministero pastorale del vescovo Marco Salvi, domenica 8 gennaio, c’era anche una folta rappresentanza dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, di sacerdoti e laici, guidata dall’arcivescovo Ivan Maffeis, e tra i presuli concelebranti gli umbri Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia e presidente della Ceu e il cardinale Gualtiero Bassetti, già presidente della Cei. Insieme a loro c’era anche il vescovo emerito di Gubbio Mario Ceccobelli, già vicario generale a Perugia, predecessore in tale incarico dello stesso Salvi nell’essere vescovo ausiliare dal 5 maggio 2019 alla presa di possesso canonico della diocesi di Civita Castellana dello scorso 8 gennaio. Presa di possesso che è avvenuta con la lettura della “Lettera Apostolica” di Papa Francesco con cui monsignor Salvi è stato nominato vescovo di Civita Castellana in data 11 novembre 2022, la consegna del pastorale da parte del suo predecessore, il vescovo emerito Romano Rossi, e l’invito di questi a sedersi sulla cattedra.
Tra i rappresentanti delle Istituzioni civili presenti la presidente della Regione Umbria Donatella Tesei, il sindaco di Perugia Andrea Romizi e il presidente dell’ANCI Umbria Michele Toniaccini, ai quali il neo vescovo di Civita Castellana ha riservato un affettuoso saluto al termine della celebrazione. Monsignor Salvi, con voce commossa, si è rivolto ai numerosi presenti giunti anche dalla Toscana, in particolare dalla sua città natale, Sansepolcro, e da Anghiari, dove è stato parroco per sette lustri. Ai perugino-pievesi e agli altri umbri Salvi ha riservato parole di sentita gratitudine, in parte già pronunciate durante la celebrazione di saluto nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, il 5 gennaio scorso, perché, come ha sottolineato, «ho mosso i miei primi passi da vescovo…». Un particolare pensiero di gratitudine lo ha rivolto al cardinale Bassetti, «che già da Arezzo mi ha un po’ custodito fino a Perugia, sopportandomi per parecchi anni», ha aggiunto con tono scherzoso prima di salutare l’arcivescovo Maffeis «con cui ho condiviso dei mesi belli e intensi», ha detto nel rinnovargli l’invito «a camminare insieme le due diocesi».
Le parole che il vescovo Salvi ha pronunciato durante l’omelia possono essere accolte da tutti i fedeli, non solo del suo nuovo “gregge”. «E’ solo Cristo la risposta adeguata al desiderio di felicità che irriducibilmente portiamo dentro il nostro cuore – ha evidenziato il presule –. I tempi che viviamo ci riportano agli inizi della Chiesa. Tutto quello che abbiamo costruito si è dimostrato precario e la fragilità delle nostre strutture è cominciata molto prima della pandemia, che è solo un alibi. Se siamo leali dobbiamo riconoscere che i grandi mezzi su cui abbiamo fatto affidamento per anni sono superati e inadeguati». Al riguardo ha citato alcune parole di Papa Benedetto XVI, pronunciate quando non era neppure cardinale, nel 1969, «una sorta di profezia – l’ha definita Salvi –: “Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente…”. Per dirla in modo positivo, il futuro della Chiesa ancora una volta, come sempre, verrà modellato dai Santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia la realtà di Gesù Cristo. Da uomini toccati dall’incontro con Cristo abbiamo la possibilità della rinascita della Chiesa per noi e per la società intera. Come può accedere questo? Che volto la nostra Chiesa può assumere? Cari amici, non ho piani pastorali, sembra strano, ma ho una priorità. A dei sacerdoti di Torgiano (una delle Unità pastorali dell’Archidiocesi perugino-pievese, n.d.r.) palavo di come affrontare oggi le sfide della Chiesa, che non basta essere equilibrati. C’è bisogno di una novità grande per la vita di ciascuno di noi. Stiamo sopravvivendo, ma il tempo ci dirà che questo non basta. Una parola, oggi molto usata, quasi uno slogan, motivo di provocazione per la Chiesa, è “Sinodo”. Moltissimi la usano quasi se fosse la panacea di tutti i mali…, tanto che a volte appare quasi imposta dall’alto. Come il Papa ci ha ricordato, il sinodo non si può imporre dall’alto. Francesco dice che il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. Il sinodo, camminare insieme, è anche la dimensione costitutiva della Chiesa, è la sua essenza e si traduce nello stare insieme nella storia, è la missione della Chiesa. Anche le strutture delle nostre parrocchie, della nostra diocesi, se non sono sinodali, diventano espressione di un potere assoluto, di uno o più reucci. Non ci siamo scelti, ma la possibilità della presenza dello Spirito passa attraverso il nostro stare insieme».
Riccardo Liguori
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