Perugia: celebrata la Passione del Signore del Venerdì Santo. Bassetti: «Pensiamo al Crocifisso e auguriamo che chiunque venga a consegnare la propria vita, anche in questo periodo di epidemia, possa avere la consolazione di avere fra le mani il Crocifisso”.

«Per tre lunghe ore Gesù agonizza sulla Croce. Ai piedi della croce stanno sua madre e il discepolo prediletto. “Ecco, questo è tuo figlio”, dice a Lei, e “questa è la madre tua”, dice a Giovanni. È come se svincolasse da sé l’amore di cui lo circondano queste due creature. Egli vuole essere solo. Si è addossato il nostro debito. Nessuno deve assisterlo». Così il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti all’inizio dell’omelia della celebrazione della Passione del Signore, Venerdì Santo 10 aprile, presieduta insieme al vescovo ausiliare mons. Marco Salvi nella spoglia e vuota cattedrale di San Lorenzo di Perugia. Spoglia in segno di partecipazione della Chiesa alla Passione di Cristo e vuota per l’assenza di fedeli a causa della pandemia. Il cardinale, come è ormai consuetudine, attraverso i mezzi della comunicazione sociale, si è rivolto alla sua comunità diocesana offrendole una riflessione sulla Passione di Cristo incentrata sull’immagine del Crocifisso, simbolo sempre attuale, soprattutto in questo periodo, di fede e di salvezza (il testo integrale dell’omelia è sul sito: www.diocesi.perugia.it).

Abbandonato da tutti… tutto è compiuto. «Quello che sia passato nell’animo di Gesù in quell’ora nessuno lo sa – ha commentato il presule –. Poi Egli ad alta voce gridò: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. Nessuno mai solleverà il velo su questo mistero: come il Figlio di Dio possa essere abbandonato da Dio. Noi possiamo solo dire questo: fino ad ora ha sentito la vicinanza del Padre come conforto e sostegno. Ora anche questo gli viene meno. Egli è solo, spogliato di tutto, anche delle sue vesti: potremmo dire della sua stessa dignità. Abbandonato da tutti. Solo davanti al Padre. Nessuno potrà mai rendersi conto di cosa ciò voglia dire. Una cosa sola ora lo sostiene: la sua incrollabile fedeltà alla missione avuta dal Padre e il suo inconcepibile amore per noi. Ed è in questo amore che Egli si consuma finché tutto è compiuto».

Si è umiliato, ma non ci ha umiliato. «L’antifona, che si proclama il Venerdì Santo prima del racconto della Passione, tratta dalla lettera ai Filippesi (Fil 2, 8) è come un preludio per tutta la Settimana Santa: “Umiliò sé stesso, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni altro nome”: il nome di Signore. “Umiliò sé stesso”. Non si avvalse del suo diritto di essere figlio di Dio. Non lo ritenne un privilegio, ci dice San Paolo, “ma svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. E potremmo aggiungere: fino ad inabissarsi sul più profondo della nostra voragine. “Si è umiliato”, ma non ci ha umiliato. Piuttosto dovremmo dire che Lui “ha preso il nostro posto”».

La leggenda di Barabba. Il cardinale Bassetti, soffermandosi sulla figura di Barabba, ha ricordato il libro di Giovanni Papini: “I testimoni della Passione”. «Naturalmente – ha precisato il cardinale – quello che Papini racconta è una leggenda, ma potrebbe essere verosimile» nel descrivere un Barabba che «si sarebbe poi convertito», quando dopo «una notte agitata, la mattina presto si recò al Golgota: c’erano ancora piantate le tre croci. Quella di mezzo aveva scolature di sangue raggrumate, ma ancora fresco per effetto della rugiada notturna. Barabba toccò quel sangue e disse: “Questo è sangue versato per conto mio, per me!”». Bassetti, nel ribadire che «si tratta di una leggenda, di una bellissima leggenda», evidenzia «che racchiude però una grande verità. Dice l’Apostolo Paolo, nella lettera al Galati: “mi ha amato e ha dato tutto sé stesso per me!”.

Il cuore di Cristo squarciato. «Impariamo ad incontrarci col Crocifisso. Purtroppo siamo troppo abituati a vederlo dappertutto, che quasi siamo diventati indifferenti. San Bonaventura definisce il crocifisso “prodigio di giustizia, modello di sofferenza, stimolo e provocazione d’amore”. Pensiamo al Crocifisso, particolarmente in questo giorno, pensiamo al Crocifisso e vediamo tutti i luoghi dove si soffre, pensiamo al Crocifisso e auguriamo che chiunque venga a consegnare la propria vita, anche in questo periodo di epidemia, possa avere la consolazione di avere fra le mani il Crocifisso. Poiché tutti soffriamo e poiché tutti dobbiamo morire, impariamo a guardare più e meglio l’immagine del Crocifisso, e meditiamo su tutto ciò che questa immagine rappresenta. Sarà il pensiero di Barabba: “è morto al mio posto”. Sarà il pensiero di San Paolo: “Mi ha amato e ha dato tutto sé stesso per me”. Sarà il pensiero di San Bonaventura, che sopra ho citato. Il cuore di Cristo è stato squarciato per rimanere sempre aperto. Guardiamo questa ferita, e in questo cuore aperto cerchiamo il nostro rifugio e la nostra salvezza».

Le ferite del Crocifisso. «Stasera chiedo per me, per voi, per tutti coloro che ci stanno seguendo, soprattutto i più sofferenti – ha concluso il cardinale –, che il Padre misericordioso apra la nostra mente e il nostro cuore e ci renda sempre capaci di ascolto e di risposta, perché le piaghe di ogni fratello e ogni sorella, anche quelle di coloro che non conosciamo, sono le ferite del Crocifisso».

Città di Castello – lettera pasquale del vescovo Cancian

Quest’anno l’augurio della buona Pasqua fa i conti con la sofferenza che coinvolge il mondo intero, la pandemia!
Triste? Certo, se pensiamo ai lutti, ai malati, alla scuola, alle imprese, ai servizi che comportano rischi, alla solitudine soprattutto degli anziani…
E tuttavia proprio il Cristo che risorge il terzo giorno quando tutto sembrava finito, ci sollecita ad una Speranza piena.
Ci spinge verso la Speranza anche il tempo seguente alle grandi crisi del passato che ha visto risorgere più floridi tanti Paesi compresi il nostro. (Diciamoci pure che noi italiani siamo capaci di essere creativi e coraggiosi, geniali nel promuovere cultura e arte, come documenta la storia).
Possiamo dunque convintamente augurarci una Pasqua di resurrezione che ci rinnovi profondamente, a livello personale e comunitario, che faccia rifiorire un nuovo mondo con stili di vita più umani e cristiani. Insomma una nuova primavera che non ci farà rimpiangere il vecchio mondo.
Mi piace collegare questo augurio ai quattro simboli di questi giorni.
Uno. L’ulivo segno della pace: nel nostro cuore, tra di noi e nel mondo, mettendo a parte contese, rancori e indifferenza.
Due. La comunione fraterna che Gesù ha espresso nel Suo comandamento (amatevi come io vi ho amato)e nell’Eucaristia.
Tre. L’inevitabile croce abbracciata con l’amore capace di trasformarla nel dono di se, come ci testimoniano tante persone.
Quattro. La gioia della Pasqua che mai ci deve mancare perché il Risorto è con noi, pronto ad accompagnarci e sostenerci con una Forza straordinaria. Ravvivando la certezza che siamo diretti alla Festa della Pasqua eterna.
Concludo con l’invito a imprimere nella nostra mente il luminoso affresco della cupola della nostra Cattedrale. Gesù risorto con decisione si rivolge al Padre pregandolo di guardare il suo volto e la sua croce, ricordandosi di essere misericordioso come sempre nei confronti dei figli suoi peccatori. La preghiera di Gesù, sostenuta da quella di Maria e dei nostri santi, ci fa sentire protetti e ci dà fiducia. I nostri padri l’avevano dipinta all’indomani del grande terremoto del 1789.
Precedentemente, nel secolo sesto i santi patroni Florido, Amanzio e Donnino ricostruirono ancora più belle la Chiesa e la Città ancora più belle, distrutte da Totila.
Anche noi possiamo e vogliamo lasciare segni di questo genere, senza cedere allo scoraggiamento e alla tristezza.
Una Santa Pasqua 2020 con la certezza che il Signore è dalla nostra parte e con l’impegno a tirar fuori il meglio di noi!
Con affetto benedico e incoraggio tutti a vivere nella gioia del Signore risorto

+ Domenico vescovo

Terni – celebrazione del venerdì santo. Mons. Piemontese: “vivere in particolare questa giornata è paragonare le sofferenze dei malati di coronavirus alla passione di Cristo”.

Celebrata nella Cattedrale di Terni dal vescovo Piemontese la passione del Signore e l’adorazione della croce, in una chiesa vuota, solo con la presenza dei concelebranti: don Alessandro Rossini parroco della Cattedrale, don Carlo Romani, don Stefan Sallisanimarum, padre Mario Lendini, don Roberto Cherubini parroco di Santa Croce. Nella cattedrale sono state esposte la statua della Madonna addolorata e del Cristo Morto.
“Da una parte siamo noi: smarriti, abbiamo perso le certezze basate sul denaro, potere, la scienza, la società, la politica, la fede – ha detto il vescovo -. Noi persone smarrite, in balia dell’incertezza, della malattia, della velocità e rapidità della malattia. Dall’altra parte Gesù: Dio fatto uomo, ha preso su di sé le nostre miserie, le ansie, incertezze, i peccati, anche il sentirsi abbandonati da Dio”.
Al centro della riflessione del vescovo, nel giorno che ricorda la morte di Cristo sulla croce, la sofferenza di chi in questi giorni ha vissuto la propria croce della malattia “Gesù ha sperimentato sulla sua carne, l’angoscia dei malati di Coronavirus, le sue ultime ore di sofferenza sono quelle dei malati di oggi: anche lui ha paura, persino orrore della morte. Anche lui sperimenta l’isolamento dagli amici, i discepoli che rimangono lontani, come nel caso di tante persone malate sole. E poi la carne ferita di Gesù per le torture, anche l’intubazione subita da tanti malati, oggi, può essere simile ad una tortura. Vorrei tracciare questo parallelo: vivere in particolare questa giornata è paragonare le sofferenze dei malati di coronavirus alla passione di Cristo”.
Citando una riflessione del card. Ravasi, il vescovo ha evidenziato come questo momento possa essere di insegnamento per i credenti e non credenti perché “ha svelato la grandezza della scienza, ma anche i suoi limiti. Noi eravamo convinti che con la tecnologia, si poteva risolvere quasi tutto. Era la nostra grande fiducia. E poi il coronavirus ha riscritto la scala dei valori, che non ha più al suo vertice il denaro, il successo il potere. Infine, ha insegnato lo stare in casa insieme a padre e figlio, a giovani e anziani, e ha quindi fatto capire e riproposto le fatiche delle relazioni. non solo virtuali, ma delle relazioni dirette, semplificando il superfluo e insegnando l’essenzialità. Ma soprattutto ha rivelato un valore supremo: l’amore. Gesù è il nostro eroe, Gesù ci ha salvati col dono della sua vita e ci invita a seguirlo sulla strada dell’amore verso Dio e i fratelli”.
Dopo la lettura della passione di Cristo si è pregato con una serie d’invocazioni per i tribolati e malati di Coronavirus “Dio Padre onnipotente, liberi il mondo dalle sofferenze del tempo presente: allontani la pandemia, scacci la fame, doni la pace, estingua l’odio e la violenza, conceda salute agli ammalati, forza e sostegno agli operatori sanitari, speranza e conforto alle famiglie, salvezza eterna a coloro che sono morti”, ed anche per il mondo intero, per la pace, la concordia, la comunione, la giustizia, per la chiesa, per le categorie della società civile, i credenti e non credenti, per la città.

Orvieto – il vescovo Tuzia e il sindaco Tardani in visita al cimitero

Venerdì Santo, il Sindaco Roberta Tardani e il Vescovo di Orvieto-Todi, Mons. Benedetto Tuzia si sono recati al Cimitero di Orvieto per recitare insieme una preghiera in suffragio di tutti i
defunti che vi riposano. Con loro il Responsabile della Protezione Civile, Luca Gnagnarini. Un gesto di comunione, civile e religiosa, con il quale le due Autorità cittadine hanno voluto esprimere la loro vicinanza a tutti gli orvietani rappresentandone il sentimento di devozione e il comune sentire nella ricorrenza della Santa Pasqua quando, la visita ai propri defunti, è da sempre un rito molto sentito.
“Un piccolo gesto – ha detto il Sindaco, Roberta Tardani – per testimoniare quel senso di comunità che la città non deve perdere in questo momento di emergenza ma che deve sapersi rafforzare. Per i cristiani e i credenti la Pasqua non ha certo bisogno di ulteriori significati, tuttavia mai come adesso questa ricorrenza assume un valore universale. Abbiamo attraversato e stiamo vivendo giorni difficilissimi, abbiamo di fronte ancora un periodo di sacrifici ma vogliamo e dobbiamo trovare la forza di ripartire. Di rinascere. In questi giorni la nostra città sarebbe stata piena di visitatori e Orvieto avrebbe come sempre mostrato il suo volto migliore. Anche oggi possiamo farlo: prendendoci cura di noi e degli altri rispettando le regole. Solo così
potremmo presto tornare a vivere la nostra città e mostrare la sua bellezza che, sono sicura, continuerà ad affascinare e far innamorare le persone di tutto il Mondo”.

Terni – celebrazione in Coena Domini presieduta dal vescovo “a totalità senza condizione è la misura dell’amore e del servizio che oggi ci propone e ci chiede”

Nella cattedrale di Terni, giovedì santo 9 aprile, il vescovo Giuseppe Piemontese ha presieduto la celebrazione in “Coena Domini” in cui si ricorda l’istituzione dell’Eucaristia da parte di Gesù nell’ultima cena, in tempo di Coronavirus senza la presenza dei fedeli, in una chiesa vuota, nella quale più forte è risuonata la musica dell’organo e la preghiera dei sacerdoti concelebranti: don Alessandro Rossini parroco della Cattedrale, don Carlo Romani, don Stefan Sallisanimarum, padre Mario Lendini, don Roberto Cherubini parroco di Santa Croce.

“Pensando a questo giovedì santo senza la comunità, senza i confratelli del Presbiterio, in un contesto di paura, di solitudine e anche di morte, si stringe il cuore – ha detto il vescovo – ma occorre levare il capo e fissare lo sguardo su Gesù. E proprio ponendoci attorno a Gesù, sommo ed eterno sacerdote, che vogliamo prendere consapevolezza della nostra dignità e ringraziare per essere stati resi partecipi del Popolo sacerdotale di Dio”.

Ed ha poi aggiunto: “Questa celebrazione rappresenta la porta che ci immette nel triduo sacro, nella passione, morte e resurrezione di Gesù – ha ricordato il vescovo -. Una celebrazione che è memoriale dell’Eucarestia consegnataci da Gesù proprio quella sera: nel comandamento del Signore sull’amore fraterno e del servizio. Il comando di Gesù a farsi ultimi e servi di tutti, dell’amore e della carità. Una celebrazione che racchiude in sé molti significati che sono resi presenti e attuali. Gesù rinnova nell’oggi la nuova ed eterna alleanza. Certo non avremmo mai immaginato di celebrare una Pasqua come quella che stiamo vivendo, ma questo importante momento deve essere vivo e vero con Gesù. L’amore consegna anche il comando dell’amore nella forma del servizio a tutti noi e dell’amore degli uni verso gli altri. In questa eucarestia c’è un sentimento diffuso in ogni gesto che è quello di amarci e di servirci gli uni e gli altri fino a lavarci i piedi. Gesù ci affida di farci pane per i nostri fratelli e di servirli. La totalità senza condizione è la misura dell’amore e del servizio che oggi ci propone e ci chiede. In questo periodo abbiamo assistito alla testimonianza di amore di tante persone: medici, infermieri, volontari, sacerdoti, giovani, cristiani comuni forze dell’ordine. il mondo pur complito dalla sofferenzasi è arricchito della generosità e di amore che si carità e che scaturisce dalla croce di Gesù. Siamo in quarantena è questa celebrazione ne è la palpabile evidenza. Siamo isolati ma non distanti, in Gesù siamo radunati nella chiesa e nella sua famiglia e in Gesù possiamo migliorare questo mondo, possiamo trovare la gioia, la salvezza, l’amore che dà senso a tutta la nostra esistenza”.

Perugia: Il cardinale Gualtiero Bassetti alla Messa in Coena Domini nelle cattedrale di San Lorenzo: «Il Giovedì Santo ci insegna a come vivere la sostanza del Vangelo».

«Il Giovedì Santo ci insegna a come vivere la sostanza del Vangelo. La vita vera non è stare in piedi, dritti e fermi nel proprio orgoglio; la vita secondo il Vangelo è piegarsi verso i fratelli e le sorelle, soprattutto più deboli, e mettersi a loro disposizione e servizio». Lo ha evidenziato il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’omelia della Messa in Coena Domini del Giovedì Santo (9 aprile), nella cattedrale di San Lorenzo, vuota, senza fedeli rimasti a casa a causa di questa pandemia. E a tutti loro, nell’introdurre l’omelia, ha rivolto il suo saluto attraverso i mezzi della comunicazione, che trasmettono in diretta le celebrazioni eucaristiche pro populo presiedute dal cardinale da domenica 15 marzo (Umbria Tv, Umbria Radio Inblu e social media ecclesiali).

Degenti, carcerati, famiglie e anziani. Il presule ha voluto ricordare «in questa celebrazione, così significativa – ha sottolineato –, tutti i degenti degli ospedali e delle cliniche, e coloro che, con amore, li assistono. Un saluto ai carcerati e in particolare alle carcerate di Capanne, dove ogni anno mi sono recato a celebrare la Messa in Coena Domini, con la suggestiva e familiare lavanda dei piedi. Penso a tutte le famiglie, soprattutto a quelle numerose, che devono stare in casa con bambini piccoli, e spesso in appartamenti ristretti. Penso agli anziani delle case di riposo, e ringrazio il Signore che non ci siano stati, fra loro, almeno fino ad ora, dei casi di contagio. Più aspra è la tempesta, più siamo tentati di arrenderci, più sentiamo la nostra impotenza e più il Signore ripete a ciascuno di noi: “non temere, figlio mio, io sono con te!”».

L’umanità di Gesù. «Cari fratelli e sorelle, che mi ascoltate – ha proseguito presule –, siamo dinanzi ad una pagina del Vangelo di Giovanni dove Gesù manifesta fino in fondo tutta la sua umanità. Sente un bisogno estremo di stare con i suoi: “prima di passare da questo mondo al Padre – dice l’evangelista Giovanni avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, il che vuol dire fino al dono totale di sé stesso. Sì, stasera Gesù vuole stare con i suoi: quelli di ieri e quelli di oggi, noi compresi. È il suo ultimo giorno di vita, la sua ultima sera, l’ultima volta che sta coi suoi discepoli: se li era scelti, li aveva curati, li aveva amati, li aveva difesi».

L’istituzione dell’Eucaristia. «Egli diviene cibo per noi, carne della nostra carne. Quel pane e quel vino sono il nutrimento per la nostra povera vita: curano le malattie, ci liberano dai peccati, ci sollevano dall’angoscia e dalla tristezza. Non solo. Ci rendono più simili a Lui, ci aiutano a vivere come Gesù viveva, a desiderare le cose che Lui desiderava. Quel pane e quel vino fanno sorgere in noi sentimenti di bontà, di servizio, di affetto, di tenerezza, di amore e di perdono. Appunto, i sentimenti di Gesù».

Pane spezzato e vino versato. «Una delle cose che più mi affligge in questo periodo, e sono certo che è anche la preoccupazione dei miei sacerdoti – ha detto il cardinale –, è quella di non potervi comunicare con il corpo e il sangue di Cristo. “Gesù, fa che passi presto questo calice, e tutti i tuoi figli possano tornare ad unirsi a Te con il sacramento del Tuo corpo e del Tuo sangue”. Il gesto della lavanda dei piedi, che noi purtroppo stasera dobbiamo omettere, mostra cosa significhi per Gesù essere pane spezzato e vino versato per noi e per tutti».

Il comandamento dell’amore. Attraverso il gesto della lavanda dei piedi il cardinale Bassetti ha evidenziato il significato cristiano dell’inginocchiarsi, «l’ultima grande lezione di amore da vivo di Gesù», ricordando le sue parole: «“Vi ho dato l’esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi…”. Fratelli, il mondo ci educa a stare in piedi, ed esorta tutti a restarci, con orgoglio. Il Vangelo del Giovedì Santo esorta i discepoli a chinarsi e a lavarsi i piedi l’un altro: e questo è il comandamento nuovo, il comandamento dell’amore»

testo integrale omelia card bassetti Giovedì Santo 2020

Spoleto – Emergenza Coronavirus: un primo bilancio del servizio della Caritas diocesana di Spoleto-Norcia. Don Edoardo Rossi: «Commosso dalla grande sensibilità dei nostri giovani e dalla generosità di singoli e aziende».

Ad una settimana dall’avvio del servizio della Caritas diocesana di Spoleto-Norcia denominato “Su questa barca ci siamo tutti” a sostegno delle persone in difficoltà a causa Covid-19 don Edoardo Rossi, sacerdote incaricato dall’arcivescovo Renato Boccardo di coordinare l’emergenza, fornisce alcuni dati.

Commosso dalla sensibilità dei giovani. «Innanzitutto – dice il parroco dei Santi Pietro e Paolo in Spoleto – vogliamo ringraziare tutte le persone e le aziende che sono state sensibili a questo nostro servizio. In soli otto giorni abbiamo ricevuto davvero tante donazioni; molte le persone che sono venute qui al centro giovanile di S. Gregorio, nostro quartier generale, a portare soldi e viveri; tanti coloro che hanno effettuato un bonifico a sostegno di questa iniziativa di prossimità. Ma la cosa più bella è che tanta gente ha dato disponibilità di tempo per portare a domicilio alimenti e medicine in tutto il territorio della nostra Diocesi, che è molto vasto. Poi i giovani stanno dimostrando una grande sensibilità. Noi adulti spesso li consideriamo in modo troppo sbrigativo dei lavativi. E invece in tanti si sono messi a servizio di chi è in difficoltà e come prete sono commosso da ciò. Vorrei poi ringraziare – prosegue don Edoardo – Danilo Zamponi di Trevi e Annarita Bocchini di Spoleto che mi coadiuvano nel gestire questo servizio della Caritas. Come non pensare poi con riconoscenza e ammirazione ai nostri volontari diffusi sul territorio diocesano: sono le nostre sentinelle. Infine – conclude il sacerdote – faccio un appello al cuore e alla sensibilità delle donne e degli uomini della nostra Diocesi perché da questo osservatorio emerge che la necessità di viveri e soldi è ogni giorno più pressante. Diverse persone non lavorano più e il mio particolare pensiero va ai commercianti o a quanti hanno delle piccole attività familiari, a quanti svolgono i sevizi domestici. La gente ha sempre più bisogno e sono certo che la generosità di chi può non si farà attendere».

I dati. Alla data del 09 aprile 2020 il servizio Caritas per l’emergenza Covid-19:

– Ha attivato un coordinamento con la Protezione civile e i Servizi Sociali del Comune di Spoleto e con alcuni Sindaci degli altri Comuni della Diocesi (si sta lavorando per farlo con tutti e 25 i Comuni che ricadono nel territorio dell’Archidiocesi).

– Si interfaccia costantemente con le Caritas delle undici Pievanie dell’Arcidiocesi.

– Ha fornito assistenza nella compilazione di oltre 50 domande per il bonus spesa istituito dal Comune di Spoleto.

– Sono state raggiunte, con l’ausilio dei volontari, oltre 60 famiglie della Diocesi per la consegna della spesa alimentare e di farmaci.

– Sono stati raggiunti circa 200 soggetti tra malati, persone anziane e disabili nelle diverse strutture di ricovero e istituti della Città di Spoleto con il dono di una pianta di fiori e la preghiera di benedizione dell’Arcivescovo e dei parroci della Città.

– Ha ricevuto oltre 100 telefonate nei numeri attivati per l’emergenza.

– Sono state ricevute richieste di aiuto per persone ricoverate in ospedale e senza familiari.

– È stata segnalata alla Diocesi di Foligno la richiesta di aiuto alimentare inoltrata da persone residenti nel comune di Foligno.

Informazioni logistiche. Ricordiamo che è possibile consegnare generi alimentari a lunga scadenza presso il Centro diocesano di Pastorale Giovanile di Spoleto (Piazza Garibaldi) il martedì, il giovedì e il sabato dalle 9.30 alle 12.00 e dal lunedì al sabato dalle 16.00 alle 19.00. I numeri a disposizione sono: 380 4790605 (h 24); 380 1750389, 328 7253937 e 388 1135440 (dalle 9.00 alle 21.00). È possibile poi contribuire alla raccolta fondi per questo progetto versano il proprio contributo sul conto intestato all’Archidiocesi di Spoleto-Norcia: IBAN IT71D0344021800000000005404, causale Emergenza Coronavirus. Infine, si ricorda che tutti i volontari coinvolti sono muniti di autocertificazione e permessi, nonché dotati di mascherine e guanti per svolgere questo servizio in piena emergenza sanitaria, secondo quanto stabilito dall’autorità governativa.

Foligno – Lettera di Mons. Sigismondi per la Pasqua: “Sepolcro aperto e Cenacolo chiuso”

“Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse: ‘Pace a voi!’” (Gv 20,19). Queste parole gettano un fascio di luce sulle tenebre che, nelle circostanze attuali, riempiono tutto di “un vuoto desolante”. Erano chiuse le porte del Cenacolo, restano chiuse le porte delle chiese, come quelle delle fabbriche e delle scuole, a causa di un’emergenza sanitaria che sta affliggendo il mondo intero. Sembra di vivere – ha osservato Papa Francesco in occasione del momento straordinario di preghiera, da lui presieduto, in una Piazza San Pietro gremita di silenzio – nella stessa condizione in cui si sono venuti a trovare gli apostoli i quali, sballottati dalle onde del mare in tempesta, svegliano il Signore, dicendogli: “Maestro, non t’importa che siamo perduti?” (cf. Mc 4,38).

La tempesta provocata dal Covid-19, il cui ceppo virale è salito anche a bordo di una nave da crociera e non di un barcone, mostra la drammatica concretezza dell’immagine del “contagio”, a cui Paolo ricorre per indicare come si è propagato il “peccato di Adamo” (cf. Rm 5,12). L’Apostolo assicura, però, che “il dono di grazia non è come la caduta” (Rm 5,15). Anche di questo stiamo facendo esperienza in una stagione che contribuisce a trasformare la nostra fragilità in una più forte coscienza di solidarietà, che vede in prima linea medici, infermieri e operatori sanitari. Essi commentano, anche nelle “corsie” degli ospedali da campo, la parabola del “buon Samaritano”, alleviando, come il Cireneo, il peso della sofferenza e l’estrema solitudine della morte.

“Sono ormai diverse settimane – mi ha confidato un giovane medico – che sono dedicato a gestire, emotivamente e mentalmente, una situazione davvero pesante in due reparti di terapia sub-intensiva. Basteranno i dispositivi di protezione individuale di fronte a un paziente in ventilazione che nebulizza una carica virale così alta? Mi sono vestito bene, con l’oppressione della mascherina che taglia il naso e gli zigomi? Ho sbagliato procedura e mi sono contaminato? Al tempo stesso, però, c’è l’entusiasmo di buttarsi anima e corpo in trincea per aiutare pazienti dagli occhi terrorizzati; e allora si fa e basta, senza domandarsi nient’altro che questo: come ossigenarli? Mai come ora, nello stringere mani e carezzare volti, mi torna alla mente e mi infiamma il cuore il detto: chi cerca l’uomo (quaerere hominem) di fatto cerca Dio (quaerere Deum)”.

Testimonianze così esemplari tengono viva la speranza pasquale: Dio crea vita anche dalla morte. La fede della Chiesa assicura che siamo polvere del suolo, ma polvere preziosa. “Il Signore – ha ricordato il Santo Padre all’inizio della “quarantena quaresimale” – ha amato raccogliere la nostra polvere tra le mani e soffiarvi il suo alito di vita. Siamo terra su cui Dio ha riversato il cielo, la polvere che contiene i Suoi sogni” (cf. Gen 2,7). Il sogno di Dio è la salvezza del mondo, un sogno divenuto realtà con la Pasqua di Cristo, che “ha imposto alla morte un limite invalicabile”. “Morte e vita – così canta la Sequenza pasquale – si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto, ma ora, vivo, trionfa”.

“L’inizio della fede – assicura Papa Francesco – è saperci bisognosi di salvezza: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Con Lui a bordo, non si fa naufragio”. Celebrare il Triduo pasquale a porte chiuse è una dura prova, per tutti, ma è un appello a reimpostare la rotta della conversione pastorale. La comunità ecclesiale è chiamata ad esprimere il suo zelo missionario conservando un contatto continuo con le Scritture e cercando nuove frequenze, messe a disposizione dall’ambiente digitale, capace di gettare ponti soprattutto con le nuove generazioni. Il digiuno eucaristico, sebbene ripresenti al vivo la sofferenza vissuta dai martiri di Abitene – “senza la Domenica non possiamo vivere” –, interpella le famiglie cristiane a diventare ancora di più quello che sono, “Chiesa domestica”, Cenacolo a cielo aperto.

Tutto è grazia, anche questa Pasqua così inedita; risuonino come squillo di tromba le parole, richiamate dal Santo Padre nella Domenica delle Palme e della Passione del Signore, che Angela da Foligno ha sentito nella sua anima il mercoledì della Settimana Santa del 1301: “Io non ti ho amata per scherzo”. Sono parole che oso confidare anch’io in questo esodo pasquale.

Caritas Italiana – prosegue l’impegno delle Caritas in tutte le diocesi italiane nell’emergenza Coronavirus, si avviano anche progetti di aiuto per i Paesi più poveri

“Indifferenza, egoismo, divisione, dimenticanza non sono davvero le parole che vogliamo sentire in questo tempo. Vogliamo bandirle da ogni tempo!”.

Così Papa Francesco nel Messaggio Urbi et Orbi in questa domenica di Pasqua, in cui ha ricordato che “tutto il mondo sta soffrendo e deve ritrovarsi unito nell’affrontare la pandemia”.

Il Pontefice ha poi invitato a ridurre, se non addirittura a condonare il debito che grava sui bilanci dei Paesi più poveri e ha chiesto al Signore di illuminare “quanti hanno responsabilità nei conflitti, perché abbiano il coraggio di aderire all’appello per un cessate il fuoco globale e immediato in tutti gli angoli del mondo”. Ha ricordato quindi la Siria, lo Yemen, l’Iraq, il Libano, il conflitto israelo-palestinese, l’Ucraina, il Venezuela, gli attacchi terroristici in diversi Paesi dell’Africa, le crisi umanitarie in Asia e in Africa, come nella Regione di Cabo Delgado, nel nord del Mozambico, migranti e rifugiati in Libia, al confine tra Grecia e Turchia, nell’isola di Lesbo.

La Presidenza della Cei, oltre all’aiuto straordinario per la ripresa di 200 milioni dai fondi 8×1000, ai 6 milioni di euro e alla raccolta fondi per le strutture sanitarie, ai 10 milioni di euro per le Caritas e alla raccolta fondi per Caritas Italiana, ha messo a disposizione 6 milioni di euro per aiutare i Paesi africani e altri Paesi poveri nell’attuale situazione di crisi mondiale.

Dal 14 aprile prenderà il via la presentazione dei progetti con l’obiettivo prioritario di dotare le strutture sanitarie presenti in questi Paesi di dispositivi di protezione per il personale sanitario, indispensabile alla gestione dell’emergenza, e di strumenti terapeutici basilari per affrontare la pandemia.

Le iniziative dovranno essere concordate con le Istituzioni pubbliche locali, nazionali, regionali e internazionali, con le autorità preposte, con tutte le realtà attive sul territorio negli stessi ambiti d’azione, allo scopo di favorire ogni sinergia, sia secondo le prassi ordinarie sia secondo quelle straordinarie richieste dalla situazione di emergenza.

Sono piccoli segni a fronte di bisogni enormi, ma possono contribuire a diffondere quello che Papa Francesco ha chiamato “il contagio della speranza”.

È possibile sostenere gli interventi di Caritas Italiana (Via Aurelia 796 – 00165 Roma), utilizzando il conto corrente postale n. 347013, o donazione on-line tramite il sito www.caritas.it, o bonifico bancario (causale “Emergenza Coronavirus”) tramite:

• Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma –Iban: IT24 C050 1803 2000 0001 3331 111

• Banca Intesa Sanpaolo, Fil. Accentrata Ter S, Roma – Iban: IT66 W030 6909 6061 0000 0012 474

• Banco Posta, viale Europa 175, Roma – Iban: IT91 P076 0103 2000 0000 0347 013

• UniCredit, via Taranto 49, Roma – Iban: IT 88 U 02008 05206 000011063119

Assisi – Caritas partita la raccolta fondi per sostenere l’Emporio solidale diocesano “7 Ceste”

In questo periodo di emergenza da coronavirus, la Caritas della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino, insieme alla Fondazione Assisi Caritas, lancia una raccolta fondi per sostenere l’Emporio solidale diocesano “7 Ceste” di Santa Maria degli Angeli. L’Emporio, che ha lo scopo di offrire sostegno alle famiglie in difficoltà, nel mese di marzo ha registrato un aumento delle richieste di sostegno. Per il mese di aprile si prevede un ulteriore incremento, vista la situazione di crisi generale. L’Emporio è stato inaugurato nell’anno 2016. La struttura, i cui locali sono stati ampliati lo scorso mese di dicembre, è organizzata come un normale negozio (minimarket) dove, però, i prodotti si ‘acquistano’ con l’utilizzo di una ‘card sociale’ a punti. L’Emporio aiuta ogni mese circa 400 famiglie che vivono situazioni di disagio sociale ed economico, consentendo loro di fare gratuitamente la spesa. Ciascuna famiglia accolta, possiede una tessera contenente dei punti, chiamati ‘nodi’, assegnati da una commissione in base al reddito e alla situazione familiare. Questo budget annuale viene poi suddiviso mensilmente. Dall’analisi dei dati sugli assistiti dall’Emporio emerge che, dall’apertura ufficiale, avvenuta il 1 maggio 2016 sono state attivate 516 tessere ed assiste circa 1.300 persone. L’Emporio trae la sua fonte di sostentamento grazie ai fondi 8X1000 della Chiesa Cattolica, dalla raccolta delle collette alimentari e Banco alimentare, dalle donazioni di alimenti da parte di aziende e supermercati. Si sostiene grazie anche ai contributi dei Comuni di Assisi, Bastia Umbra e Bettona. Chiunque lo desidera può a fare una donazione, all’IBAN (Fondazione diocesana Assisi Caritas) IT 32 Y 0200838278 000104548803, con causale Fondo emergenza Covid-19. Chi vuole può anche donare beni alimentari e/o di prima necessità. A tal fine, per rispettare le misure del governo, è necessario fissare un appuntamento telefonando al numero 371-3344796, chiamando dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 12.